In Italia il dibattito sulla valutazione scolastica è perennemente aperto e per certi versi divisivo: ne discutono dirigenti, docenti, genitori, studenti. Si ragiona di valutazione disciplinare, trasversale, comportamentale. Si fanno ricerche a livello universitario e ministeriale. Intervengono esperti e meno esperti su quotidiani e riviste. Si comparano esiti su scala nazionale ed europea.
Sulla scia delle trasformazioni indotte per forza maggiore dalla pandemia, con ancora più forza si è levata la voce degli studenti, che chiedono una scuola capace di andare oltre il voto numerico, spesso percepito solo come classificatorio e settario, ad uso più del docente che dello studente. Non si tratta di una richiesta per una scuola più facile o dimezzata nei contenuti e negli obiettivi – come alcuni spesso hanno superficialmente interpretato – ma di un’esigenza reale di revisione del significato e dello scopo stesso del valutare.
Questa spinta dal basso ha trovato terreno fertile, da più tempo, in diverse realtà scolastiche di primo e secondo grado anche in relazione ad un’interpretazione profonda dell’autonomia. Alcuni istituti hanno intrapreso da anni percorsi sperimentali, eliminando i voti a favore di giudizi descrittivi e pratiche autovalutative sia di processo sia sommative. Queste esperienze – pur tenendo conto che, nel tempo, non tutte sono state mantenute anche per le spaccature dei collegi – dimostrano che è possibile costruire un modello di valutazione che non si limiti a classificare, sommare e ordinare ma che diventi parte integrante del processo di apprendimento.
Il significato della valutazione: oltre il voto numerico
Prima di ragionare sulle pratiche valutative, è importante definire le finalità dell’atto stesso del valutare. L’approccio scelto da un docente, da un gruppo di docenti a livello interdisciplinare, da un dipartimento di materia, da un Consiglio di classe, da una scuola, infatti, non è mai neutro: influenza direttamente la didattica, incide sulla motivazione degli studenti, condiziona le azioni, le strategie e i metodi degli studenti, agisce sulla natura della relazione educativa, permea all’unisono l’insegnamento e l’apprendimento. La valutazione, quindi, può essere uno strumento di selezione o un motore di crescita; un punto di arrivo o un elemento di partenza per migliorare e cambiare. Assolve a diverse funzioni, che è utile distinguere per comprendere la complessità del processo.
Le funzioni principali della valutazione sono tre con una quarta quasi da cornice pedagogica:
- misurare: stabilire un valore numerico da attribuire ad un momento didattico-educativo o a più momenti uniti da una logica di contesto e di apprendimento;
- osservare: cogliere un dato o più elementi di processo, fissando gli aspetti che li determinano in un’ottica di cambiamento e di “spostamento”;
- giudicare: esprimere un giudizio di merito basato su modelli pedagogici e strumenti didattici coerenti con il contesto e il profilo degli studenti.
A questi passaggi si aggiunge come stella polare il valorizzare che permette di elaborare elementi significativi, puntuali, trasformativi in relazione a valori condivisi, ad indicatori e descrittori osservabili e monitorabili come esiti intermedi e finali.
Queste funzioni si combinano tra loro nei due approcci fondamentali per la valutazione dell’apprendimento, differenti per scopo, tempo e momento di applicazione:
- la valutazione sommativa (che fotografa l’esito conclusivo dell’apprendimento) si colloca alla fine di un percorso didattico (un segmento di Curricolo, un’UDA, un quadrimestre, un anno) e ha lo scopo di classificare e certificare i risultati raggiunti. Ne sono esempi classici i punteggi attribuiti ad una prova unica, come quelle d’esame;
- la valutazione formativa[1] ha uno scopo decisamente educativo e costruttivo. Non è una misurazione finale, ma un processo continuo, integrato nella didattica in divenire, che serve a guidare e migliorare l’apprendimento in corso d’opera. La normativa italiana ha pienamente recepito questo principio con l’art. 1, comma 1, del D.lgs. n. 62/2017[2], ma in precedenza con l’articolo 1, comma 3 del D.P.R. n. 122/2009 laddove si afferma che “la valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo”.
È proprio il modello formativo – che trasforma la valutazione da strumento di giudizio a strumento di apprendimento – a rappresentare il vero motore per fondare, ampliare e sviluppare le competenze del singolo all’interno di un gruppo-classe, plasmando anche gli ambienti di apprendimento e fornendo indicazioni su strategie funzionali e metodo.
La valutazione formativa: un motore per l’apprendimento
Questa tipologia di valutazione non è un semplice atto di controllo, ma un processo dinamico che si intreccia con la didattica quotidiana e che poggia sulle azioni di studenti e docenti a seguito della programmazione in itinere. Il suo scopo non è etichettare lo studente, ma fornire, a lui e al docente stesso, le informazioni necessarie per orientare le azioni successive e future. Diventa così uno strumento di dialogo costante sul processo di apprendimento e guida la crescita di ogni singolo alunno. Adottare un approccio formativo produce effetti positivi tangibili sia per chi insegna sia per chi apprende. Ai docenti:
- permette di monitorare nel corso del processo di apprendimento cosa sanno gli allievi e in che misura, superando le approssimazioni o la settorialità di una singola verifica o interrogazione;
- fornisce informazioni preziose per modificare il progetto formativo coerente con i bisogni della classe e del singolo;
- consente di creare lezioni più efficaci, personalizzate per gruppi, coppie o singoli studenti in base alle difficoltà emerse e/o ai punti di forza;
- li aiuta ad informare gli studenti sui processi in corso e sulle procedure e strategie attivate, rendendoli consapevoli del loro percorso anche in un’ottica di miglioramento e sviluppo a lungo termine;
- attiva contemporaneamente elementi di valutazione, autovalutazione, eterovalutazione.
Per quanto riguarda gli studenti, questo modello aumenta la motivazione ad imparare, perché l’errore non è visto come un fallimento da sanzionare, ma un’opportunità di apprendimento e di cambiamento; favorisce l’assunzione di responsabilità sul proprio apprendimento, rendendo lo studente protagonista attivo e proattivo del suo percorso; sviluppa competenze fondamentali per la vita, come l’autovalutazione, il monitoraggio dei propri progressi e la capacità di agire per obiettivi; facilita un approccio complesso e progettuale sul significato di “essere a scuola” e di “fare scuola” superando lo steccato della mera acquisizione di conoscenze.
Letta in questo modo, la valutazione non è un evento isolato, ma un processo costante che accompagna l’intero percorso di apprendimento-insegnamento. Si articola in tre momenti distinti, ciascuno con una funzione definita.
I tre momenti della valutazione
| Funzione | Descrizione |
|---|---|
| Funzione predittiva e diagnostica | Si realizza all’inizio di un percorso per accertare la situazione di partenza degli studenti, le loro conoscenze pregresse e i loro bisogni formativi. È fondamentale per una progettazione didattica efficace e personalizzata e per capire quali obiettivi definire a medio e lungo termine. |
| Funzione Formativa | È un processo continuo che si svolge durante l’attività didattica. Serve a monitorare l’apprendimento, fornire feedback tempestivi e contestualizzati, adattare costantemente il lavoro, correggere eventuali deviazioni dal progetto iniziale o in corso, rinforzare e definire le scelte fatte. |
| Funzione Sommativa | Si colloca alla fine di un’unità di apprendimento o di un periodo didattico medio-lungo per fare un bilancio dei risultati e degli obiettivi formativi ed educativi raggiunti. Serve a certificare gli esiti e a supportare la rendicontazione del lavoro svolto anche in un’ottica di post-progettazione e di successiva progettazione. |
Per tradurre in pratica questi principi, non basta una dichiarazione di intenti. Sono necessari tempi, metodi e strumenti operativi specifici, capaci di rendere la valutazione un’azione realmente formativa.
Tipologie di prove
La transizione verso una valutazione autenticamente formativa richiede un cambiamento non solo di mentalità del corpo docente, anche delle pratiche operative quotidiane. È indispensabile che i docenti si dotino di un repertorio di strumenti diversificati, funzionali ad osservare e valutare non solo il prodotto finale dell’apprendimento, ma soprattutto i processi che lo hanno generato. Le prove di verifica possono essere classificate in base alla combinazione tra lo stimolo (domanda o compito che può essere aperto o chiuso) e la risposta (anch’essa aperta o chiusa). Per sollecitare abilità differenti, una didattica efficace sa alternare diverse tipologie di prove:
- prove oggettive/strutturate (stimolo chiuso – risposta chiusa), includono quesiti a scelta multipla, vero/falso, corrispondenze o completamenti. Lo studente deve scegliere la risposta corretta tra opzioni predefinite. Sono strumenti validi per verificare conoscenze e comprensione di base in modo rapido e univoco.
- prove semi-strutturate (stimolo chiuso – risposta aperta), comprendono saggi brevi, ricerche mirate o analisi di documenti. Lo stimolo è definito e vincolante, ma la risposta richiede allo studente di organizzare un discorso autonomo, sollecitando abilità più complesse come l’analisi, la sintesi, l’argomentazione e la rielaborazione critica.
- prove non strutturate (stimolo aperto – risposta aperta). Rientrano in questa categoria l’interrogazione aperta, il tema o la relazione su un argomento complesso e articolato. Queste prove valutano la capacità dello studente di argomentare, organizzare le proprie conoscenze in modo personale e strutturare un pensiero complesso.
Rubrica valutativa
Uno degli strumenti più efficaci per una valutazione formativa è la rubrica valutativa. Definita da McTighe e Ferrara[3] come una «scala di punteggi prefissati e una lista di criteri che descrivono le caratteristiche di ogni punteggio della scala», la rubrica rende il processo valutativo trasparente e condiviso. La sua funzione è duplice: eterovalutativa per il docente, perché è una guida che rende il giudizio più oggettivo e coerente; autovalutativa per lo studente, in quanto chiarisce fin da subito quali sono le aspettative e i criteri di successo, permettendogli di monitorare il proprio lavoro e di capire come migliorarlo. Come illustrato da Wiggins[4], esistono due principali tipologie di rubriche che offrono livelli diversi di analisi:
- rubriche olistiche: danno una visione globale della prestazione, descrivendo in modo complessivo i diversi livelli di qualità (Avanzato, Intermedio, Base, Iniziale) senza scomporre il giudizio in dimensioni separate;
- rubriche analitiche: scompongono la prestazione in diverse dimensioni (per esempio, Oggettività della ricerca, Raccolta dati, Espressione linguistica, Funzione lessicale, Organizzazione, Rispetto delle procedure, Struttura del testo, Contenuti, Gestione del tempo, Cura dei materiali, Ascolto, ecc.) e per ciascuna descrivono i diversi livelli di padronanza. Questo approccio favorisce un’analisi più dettagliata e fornisce un feedback più specifico e contestualizzato allo studente.
Valore del feedback e dell’autovalutazione
L’essenza della valutazione formativa risiede nel feedback perché aiuta lo studente a capire dove si trova, dove deve arrivare, come colmare la distanza, come ampliare il risultato. Lo aiuta ad avere, quindi, una rappresentazione della sua performance o dei risultati ottenuti a seguito di un compito svolto. Il feedback formativo ha un effetto fondamentale sull’apprendimento, veicola i migliori processi ai fini del successo attraverso un ciclo di riflessione e di aggiustamenti della strategia.
Parallelamente, l’autovalutazione è uno strumento importantissimo per rendere lo studente protagonista: lo porta a prendere coscienza di quello che sta facendo con gli altri compagni, trasformandolo da soggetto passivo a protagonista consapevole del proprio percorso formativo anche in un’ottica di autocorrezione e di risposta autonoma ai bisogni.
Quadro normativo e la valutazione inclusiva
L’adozione di un approccio formativo sulla valutazione non è una mera opzione pedagogica lasciata alla sensibilità del singolo docente, ma un principio cardine sancito dalla legislazione scolastica italiana. La normativa, inoltre, affida alle istituzioni scolastiche un’ampia autonomia per personalizzare i percorsi e definire i criteri valutativi più adatti al proprio contesto. Quest’ultimo punto si lega alla costruzione di un Curricolo d’istituto coerente con il contesto e con i bisogni e le aspettative degli studenti.
Diverse leggi e più decreti hanno progressivamente consolidato il ruolo della valutazione formativa nel sistema scolastico italiano. Quelli già citati sono il D.P.R. n. 122/2009 e il successivo il D.lgs. n. 62/2017.
Le finalità formative della valutazione si inseriscono anche nel quadro del Regolamento dell’autonomia scolastica (D.P.R. n. 275/1999) che attribuisce alle singole istituzioni la responsabilità di definire modalità e criteri per assicurare «omogeneità, equità e trasparenza della valutazione» (D.P.R. n. 122/2009, art. 1, comma 5), integrandoli nel Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF).
Un approccio formativo centrato sul processo e sul miglioramento individuale è per sua natura inclusivo. La normativa, tuttavia, prevede strumenti specifici per garantire il diritto allo studio degli alunni con Bisogni educativi speciali (BES) e con Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). La valutazione degli studenti con questi bisogni deve seguire principi chiari, sanciti anche dall’art. 10 del D.P.R. n. 122/2009[5].
Innanzitutto, la valutazione per gli alunni con DSA deve essere pienamente coerente con quanto stabilito nel Piano didattico personalizzato (PDP), documento che esplicita le strategie didattiche, gli strumenti compensativi e le misure dispensative concordate. In secondo luogo, le scuole hanno il dovere di adottare modalità di verifica che consentano all’alunno di dimostrare il livello di apprendimento effettivamente raggiunto. Questo avviene attraverso l’uso di strumenti compensativi (che compensano la difficoltà) e misuredispensative (che evitano una prestazione resa ardua dal disturbo certificato). Le misure da adottare devono essere concrete e funzionali come, per esempio, concedere “più tempo” per lo svolgimento delle prove; fornire un “testo del compito chiaro ed essenziale”; privilegiare la “valutazione orale” rispetto a quella scritta, ove necessario; “non penalizzare l’uso degli strumenti” compensativi durante le verifiche.
È fondamentale sottolineare che l’obiettivo di queste misure non è abbassare i livelli di apprendimento o addirittura sminuirli, ma offrire maggiori opportunità formative attraverso la flessibilità dei percorsi, garantendo a ogni studente la possibilità di esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Dalla valutazione formativa alla certificazione delle competenze
Negli ultimi anni, il sistema scolastico italiano ha intrapreso una decisa evoluzione verso un modello basato sulle competenze, in linea con i framework europei per l’apprendimento permanente. Questo passaggio epocale richiede un superamento della valutazione delle sole conoscenze disciplinari per arrivare a descrivere e certificare ciò che lo studente sa fare con ciò che sa, mobilitando le proprie risorse in contesti reali o verosimili, il proprio saper essere. Per comprendere questo cambiamento, è utile definire i tre elementi-chiave dell’apprendimento: le conoscenze rappresentano il sapere, ovvero l’insieme di fatti, nozioni, informazioni e concetti teorici acquisiti; le abilità costituiscono il saper fare, la capacità di applicare regole e procedure per portare a termine compiti specifici; le competenzedefiniscono il sapersi orientare autonomamente individuando strategie per la soluzione dei problemi in contesti reali o verosimili. Una competenza non è la semplice somma di conoscenze e abilità, ma la capacità di mobilitarle in modo integrato per affrontare situazioni complesse.
In questo quadro, s’inserisce il saper essere dello studente, cioè il modo in cui agisce nel contesto in cui opera e apprende attivando relazioni, azioni, forze emotive, strutture comunicative esplicite ed implicite, ascolto, dispositivi socio-affettivi. In base al D.M. n. 9/2010[6] e ai successivi aggiornamenti, come il D.M. n. 14/2024[7], la scuola italiana ha l’obbligo di certificare le competenze acquisite dagli studenti in precisi momenti del percorso del primo e secondo ciclo e con specifiche modalità. Questo adempimento non può essere ridotto a una mera traslazione dei voti disciplinari da un documento ad un altro.
Diventa quindi evidente come i principi della valutazione formativa siano il presupposto metodologico per questo adempimento. L’uso di compiti autentici e complessi, l’osservazione dei processi, l’utilizzo di metodologie attive, il ribaltamento del rapporto insegnamento-apprendimento a favore di quest’ultimo, le rubriche valutative non sono più solo “buone pratiche”, ma diventano strumenti indispensabili per raccogliere le evidenze necessarie a descrivere il livello di padronanza delle competenze. Non a caso, la normativa più recente sottolinea la necessità di una «didattica orientativa e laboratoriale» come condizione imprescindibile per lo sviluppo e la successiva certificazione delle competenze.
Il percorso che va dalla valutazione formativa quotidiana alla certificazione delle competenze rappresenta un vero e proprio cambiamento di paradigma, che ridefinisce il ruolo della scuola e il fine ultimo dell’educazione.
Valutare per far crescere, non per selezionare
Il concetto di valutazione sta attraversando da anni un profondo cambiamento nel sistema scolastico italiano senza però trovare un equilibrio frutto di una pratica unanime e condivisa. Inutile negare che siamo di fronte a una messa in discussione (se non ad una crisi) del modello tradizionale, basato sul voto numerico come strumento di classificazione e selezione (spesso purtroppo in una logica anche punitiva) con l’emergere di alternative pedagogicamente più rispondenti ai nuovi profili e ai nuovi bisogni degli studenti.
Adottare il paradigma valutativo-formativo significa trasformare il ruolo del docente, che da mero “giudice” diventa “mediatore cognitivo”, “tutor socio-affettivo”, “guida alla riflessione metacognitiva”, “facilitatore del cambiamento di processo”, “amico critico che non dà la soluzione ma indica le possibilità”, “esperto” dell’apprendimento (non solo dell’insegnamento), “scienziato” della materia (il sapere insegnato e appreso). Allo stesso tempo, lo studente cessa di essere un soggetto passivo che subisce la valutazione in tempi standardizzati e omologati per diventare il protagonista consapevole del proprio percorso di apprendimento, capace di autovalutarsi, di cambiare direzione, di riflettere sulle strategie attivate, di assumere in pieno la responsabilità della propria crescita, di “sostare” sull’errore per renderlo ricorsa.
Il vero scopo della valutazione nella scuola di oggi non può essere quello di creare classifiche o di selezionare i migliori, ma quello di sostenere e promuovere lo sviluppo di ogni singolo individuo stimolando crescita e cambiamento personalizzati: è sterile una valutazione che non porti a un perfezionamento delle pratiche e ad un miglioramento della persona.
Questa visione deve guidare l’azione di ogni educatore, affinché la valutazione diventi finalmente ciò che dovrebbe essere: il più potente strumento a disposizione per garantire il successo formativo di ogni studente in relazione ai propri tempi, bisogni, strategie strumentali, metodi, profilo cognitivo e metacognitivo non tanto in un’ottica temporanea e contingente quanto in una visione permanente e per la vita.
[1] La valutazione formativa è già stata definita da Paul Black e Dylan William nel 2009 come una pratica in cui «docenti e studenti utilizzano le informazioni sul rendimento per decidere come proseguire il percorso al fine di rendere i risultati migliori». Black P. e William D., Developing the theory of formative assessment in “Educational Assessment Evaluation Accountability”, Routledge, Volume 21, pp. 5-31, 2009.
[2] Art. 1 – Principi. Oggetto e finalità della valutazione e della certificazione.
[3] McTighe J. e Ferrara S., Performance – based assestement in the Classroom: A Planning Framework, Alexandria, 1996, p. 8.
[4] Wiggins G., Educative Assessment: Designing Assessments to Inform and Improve Student Performance, Jossey-Bass Publishers, San Francisco 1998, pp. 153-160.
[5] D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122, art. 10, Valutazione degli alunni con difficoltà specifica di apprendimento (DSA). Per le studentesse e gli studenti con disturbi specifici di apprendimento (DSA) certificati ai sensi della legge 8 ottobre 2010, n. 170, la valutazione degli apprendimenti e del comportamento sono coerenti con il piano didattico personalizzato predisposto dal consiglio di classe. Per la valutazione degli studenti con DSA certificato le istituzioni scolastiche adottano modalità che consentono di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento conseguito, mediante l’applicazione delle misure dispensative e degli strumenti compensativi indicati nel piano didattico personalizzato.
[6] DM 27 gennaio 2010, n. 9, Art. 1 […] 3. I consigli di classe, al termine delle operazioni di scrutinio finale, per ogni studente che ha assolto l’obbligo di istruzione della durata di 10 anni, compilano una scheda, secondo quanto riportato nella seconda pagina del modello di certificato di cui al comma 1. Le schede riportano l’attribuzione dei livelli raggiunti, da individuare in coerenza con la valutazione finale degli apprendimenti che, per quanto riguarda il sistema scolastico, è espressa in decimi ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 22 giugno 2009, articoli 4, 5 e 8.
[7] D.M. 30 gennaio 2024, n. 14, Art. 1 (Finalità della certificazione delle competenze e raccordo dei modelli).
1. Le istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo e del secondo ciclo di istruzione e i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) certificano l’acquisizione delle competenze progressivamente acquisite dagli studenti e dagli adulti attraverso i modelli di cui al presente decreto.



