L’ascensore sociale non parte ancora

Solo il 12% degli studenti si laurea se i genitori sono poco istruiti

La disuguaglianza in istruzione è uno dei temi, legati a nodi radicali irrisolti, che carsicamente riemergono. Nel 1964 Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron sezionano la partecipazione disuguale all’istruzione universitaria. Les héritiers (“I delfini” nella traduzione italiana) sono l’emblema della continuità tra famiglia di origine e itinerari scolastici. Attraverso l’eredità culturale passa la riproduzione delle classi sociali.

Background e pari opportunità

Nel 1993 Blossfeld e Shavit in un’indagine comparativa, indicano nel background socio-economico e culturale l’ostacolo permanente alle pari opportunità e ritengono possibile un’attenuazione solamente nel lungo periodo e a seguito di cambiamenti di carattere generale. Nei primi anni del secolo presente Schizzerotto pur riconoscendo che tra gli ambiti istituzionali “il sistema formativo è quello che fa registrare i più incisivi miglioramenti delle condizioni di vita delle generazioni che si sono susseguite nel corso del secolo”[1] richiama la ‘divisione costante’ che continua a rendere sistematicamente influente il background di origine nell’accesso ai livelli superiori d’istruzione. Nonostante la valanga d’indagini compiute la scuola come strumento democratico di mobilità sociale è ancora in aperta discussione.

La mobilità intergenerazionale nell’istruzione: ridotta e lenta

Un recente studio[2], ripreso dai media, affronta in prospettiva intergenerazionale la relazione tra i livelli d’istruzione dei genitori e quelli dei rispettivi figli nel nostro Paese. Seguendo alcune coorti di popolazione a partire dal 1947 e utilizzando dati dell’indagine campionaria condotta dalla Banca d’Italia (“Indagine sui bilanci delle famiglie italiane”) Irene Brunetti fornisce nuove evidenze e arriva a conclusioni puntuali. Anzitutto conferma il forte legame tra i titoli di studio attraverso le generazioni. Secondo l’analisi condotta siamo “distanti da una completa convergenza nei livelli d’istruzione”. In sintesi “Per la coorte più giovane un figlio di genitori con la laurea ha il 75% di probabilità di laurearsi, uno proveniente da una famiglia con al massimo il diploma il 48%, uno con genitori con la licenza media il 12%, scendiamo poi al 6% nel caso d’individui i cui genitori/e non hanno alcun titolo di studio”[3]. I passaggi, inoltre, da un livello d’istruzione a un altro sono limitati alle classi tra loro vicine e i progressi nell’insieme sono comunque lenti. Per rendere ragione di questi risultati l’autrice richiama ipotesi tratte dalla letteratura:

  • poca disponibilità di alcune fasce dalla popolazione all’investimento in educazione;
  • la diffusa percezione, incerta se non negativa, della spendibilità dei percorsi lunghi di studio;
  • il mismatch tra diplomi e competenze richieste dal mercato del lavoro con possibili situazioni di overeducation.

Il contributo comparso sulla rivista Sinappsi dell’INAPP stimola riflessioni notevolmente opportune nel momento che il Paese sta attraversando.

Dialettica tra vecchie barriere e nuove soluzioni

L’incompiuta missione di un’educazione bene comune per tutti potrebbe favorire una visione immobilistica e conservativa della scuola, anche per segni inaspettati di regresso quali la contrazione delle immatricolazioni universitarie in anni recenti, l’aumento della discontinuità regressiva nel passaggio generazionale (figli non laureati di genitori laureati) o mutamenti profondi nelle culture giovanili rispetto alla formazione[4]. Nonostante il rischio di un effetto paralizzante e demotivante di una lettura deterministica, non siamo, tuttavia, alla notte hegeliana delle vacche nere e la prospettiva galileiana del “e pur si muove” non è del tutto azzardata[5]. La rimozione degli ostacoli alla parità di fronte all’istruzione rimane un’impresa tantalica, ma spostare in avanti la linea del possibile è, tuttavia, a portata di mano.

Si legge in un rapporto OECD che “molti paesi, nel tempo, sono riusciti a ridurre l’influenza del contesto socioeconomico sui risultati”. Il legame, inoltre, tra lo status socio-economico e i risultati scolastici non è assoluto né automatico e “non deve essere sopravvalutato”. Infatti, l’“ESCS[6] spiega circa il 15% della variazione dei punteggi PISA, in media tra i paesi OCSE, con differenze sostanziali tra i paesi”[7]. Rimanendo nell’ambito europeo il divario in lettura spiegato da indicatori di background oscilla tra il 6,2% dell’Estonia, l’8,9% dell’Italia, il 17,2% della Germania e il 17,5% della Francia. La percentuale di studenti resilienti, cioè quelli che pur in condizioni di svantaggio raggiungono livelli elevati di competenza, sul campione complessivo degli studenti varia, nella performance in lettura, (PISA 2018) dal 16% in Estonia al 13% in Finlandia, dal 12% in Italia al 10% in Germania e in Francia[8].

Le domande prima delle scelte strategiche

In questo quadro un diverso ordine d’interrogativi diventa pertinente. Quali sono le ipotesi, le strategie, le misure che si dimostrano funzionali? Quali decisioni si rivelano capaci di incidere? Quali i contesti analizzati in cui la scuola riesce a fare la differenza? Quali studenti ridimensionano le previsioni statistiche? Come si può erodere, non solo episodicamente, la costante della dipendenza dalle variabili di contesto?

Risposte, almeno parziali, si trovano nel ventaglio di soluzioni; risultati di ricerca e lezioni si possono trarre dal panorama di esperienze significative oggi rintracciabili a livello sia nazionale sia locale. Senza dimenticare le “risurrezioni scolastiche” che l’aneddotica e le testimonianze documentano.

Per le strategie di contrasto alla disuguaglianza in istruzione, che devono rappresentare una sfida per il presente e per il futuro, si possono comunque suggerire alcune priorità.

Riannodare i legami tra diagnosi e azione

Nonostante la distanza dagli obiettivi e l’evidenza di fallimenti, ieri come oggi, l’uguaglianza, sotto diverse accezioni (povertà e fragilità educative, dispersione scolastica, selezione, discriminazione, disuguaglianze…), domina nei discorsi pedagogici, nei manifesti politici e nelle agende governative. C’è tuttavia un gap tra le conoscenze disponibili, le decisioni politiche e i risultati del sistema scolastico. Possiamo disporre di approfondire diagnosi sociologiche ed economiche, siamo molto sensibili alle riflessioni pedagogiche e al fascino del messaggio dell’abate di Barbiana. Pur tuttavia siamo poveri di analisi compiute sulle politiche pubbliche perseguite, sulla costruzione dei processi di decisione e sulle dinamiche d’implementazione.

Riannodare i legami tra ricerca e decisioni è la condizione per colmare le lacune e cogliere le potenzialità attuali.

La straordinaria ricchezza di dati e di modelli di analisi, permettendo una conoscenza molecolare dei percorsi degli studenti, potrebbe essere alla base di strategie di prevenzione e di accompagnamento (si veda l’esperienza di Eduscopio). Le capacità di analisi accumulate dovrebbero, accanto all’osservazione puntuale dei processi sociologici, occuparsi con più frequenza delle azioni pubbliche, del policy style del nostro Paese, dei processi di formazione e attuazione delle decisioni, delle basi amministrative delle iniziative politiche. Ci sono corsi di azione pertinenti alla questione delle disuguaglianze rimasti per lo più inesplorati se non esclusi dai consueti perimetri d’investigazione scientifica: gli interventi ormai decennali nelle aree a forte processo immigratorio e a elevato disagio; il controllo dei tetti di spesa per i libri di testo; la determinazione della numerosità delle classi dibattuta con immagini folcloristiche (“classi pollaio”); l’introduzione periodica di nuove norme sulle modalità della valutazione scolastica; la scomposizione dei percorsi liceali avvenuta nel corso dell’ultimo quinquennio. Sono questi alcuni degli esempi di aree raramente frequentate da ricercatori.

Definire agende in termini operativi

La scelta tra le ipotesi d’intervento che il repertorio internazionale rende disponibili presuppone, inoltre, la capacità di definire agende in termini operativi, implementare le decisioni con un monitoraggio corrente, verificare gli esiti. Sono inadeguate sia le agende astratte (“generalizzazione del tempo pieno nel primo ciclo…”) sia il richiamo a formule ormai lontane dalla realtà (è sufficiente il dettato costituzionale dei “capaci e meritevoli” nel momento in cui si persegue la generalizzazione di una performance adeguata per tutti?).

Un rinnovato dialogo tra la ricerca educativa[9] e le strategie degli attori rigenererebbe il patrimonio di expertise alla base dei processi reali di apprendimento e della loro organizzazione. Soprattutto potrebbe agevolare la transizione indispensabile dal farraginoso attivismo che ogni legislatura propone a strategie ragionevoli e continue ancorate a ipotesi plausibili e praticabili di mitigazione delle disuguaglianze.

Riconoscere il coraggio della responsabilità

L’attenzione alle diagnosi e l’aggancio delle decisioni alle evidenze di ricerca vanno accompagnate dall’assunzione di responsabilità evitando che la letteratura diventi un alibi o che l’attivismo sia contrabbandato per strategia. Non mancano, per la verità, segnali in questa direzione. In quest’ottica, ad esempio, è significativo l’impegno, dichiarato dal Ministro dell’università e della ricerca Maria Cristina Messa, a portare la percentuale di laureati tra i giovani fino ai 34 anni dal 27,6% almeno fino al 35% (pur in ritardo rispetto al 40%, obiettivo europeo da raggiungere nel 2020)[10]. Non mancano, in questo settore, le lezioni e le esperienze per costruire strategie efficaci; per esempio: il recupero di studenti per la laurea in chimica o la ripresa pur limitata di studenti in matematica, l’impatto della comunicazione mirata, le diffusissime esperienze di orientamento attivo…

Conoscere e decidere

Se il decidere senza conoscere è rischioso oltre misura, il conoscere senza decidere è un segnale di decadenza nella cultura politica di un paese. Dopo gli sviluppi delle indagini di valutazione di massa, nazionali e internazionali, realizzati nel corso dei due decenni passati, i tempi sono maturi per un coraggioso utilizzo strategico, a tutti i livelli di decisione, dei big data ormai disponibili, nella costruzione di una politica assertiva per l’uguaglianza di opportunità. Le informazioni valutative sono risorse pregiate della cultura di governo della scuola i cui programmi d’intervento sempre più integrano indicatori di risultato e metodologie di tracciamento delle trasformazioni in atto.

Anche il sostanziale potenziamento dell’istruzione tecnica, inserito esplicitamente nel programma del governo di Mario Draghi[11], è una scelta coraggiosa e responsabile. Può portare al ridisegno di percorsi e regimi di opportunità per l’approdo di nuove quote di studenti a certificazioni post-secondarie a elevato potenziale occupazionale. Si apre, così, uno scenario con un effetto di attenuazione dell’impatto del livello d’istruzione dei genitori sulle scelte e sulle carriere scolastiche dei figli.

Cogliere i segni dei tempi           

La pandemia ha messo, e mette, in scena dimenticate capacità e insospettata determinazione: si è andata, e si va, così costruendo una national capacity per affrontare problemi senza precedenti. È naturale chiedersi se questo cantiere d’intelligenza collettiva e operativa non origini una padronanza dell’azione su larga scala in grado di contaminare altri campi d’intervento pubblico. Non è incauto scommettere su un processo di spillover di cui potrebbe beneficiare l’emergenza di massa che riguarda l’educazione e di cui la patologia più grave è proprio la missione incompiuta della parità di opportunità.

Molti fattori sono in campo e non è certo facile smontare la costruzione della riproduzione sociale e culturale analizzata dai sociologi. Nel 2008 quando un decreto legislativo ha previsto la valorizzazione del percorso scolastico e della capacità di progresso dei singoli studenti per l’accesso alle facoltà di medicina, le opposizioni sono state feroci e in sei anni il dispositivo è stato eroso, disapplicato e poi definitamente rimosso. Come per il sistema sanitario la pandemia ha imposto discontinuità rispetto alle pratiche del passato, così sono da abbandonare le inerzie e le posizioni cui si deve quella contratta mobilità intergenerazionale per l’istruzione che la ricerca citata ha riportato in evidenza.

Dall’ultimo miglio l’innovazione

La scuola che rispetti autenticamente la Costituzione è, alla radice, quella che combatte i condizionamenti sociali, erode l’impatto dell’eredità culturale, affronta le deprivazioni, fronteggia le nuove povertà e accresce l’autonomia di ogni studente. A questo scopo è indispensabile un’agenda operativa condivisa dalla moltitudine di attori nell’arena di policy. Lavorare sui tempi e i sui luoghi dell’apprendimento, raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalle ristrutturazioni che hanno investito l’insegnamento nell’ultimo anno[12], può essere un promettente punto di attacco per un’azione cooperativa nella costruzione del capitale umano del Paese. È, infatti, sull’ultimo miglio dell’impresa educativa che si possono innescare innovazioni[13] capaci di aggredire le barriere costanti di cui si è detto.


[1] A. Schizzerotto, Vite ineguali: disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia, Il Mulino, Bologna, 2002:355

[2] I. Brunetti, Istruzione e mobilità intergenerazionale: un’analisi dei dati italiani, Sinappsi, X, 3 2020: 48-63.

[3] Ibidem, 2020:58.

[4] Cfr. R.A. Ventura, Teoria della classe disagiata, Minimum Fax Roma 2017 e L. Ricolfi, La società signorile di massa, La Nave di Teseo Milano 2019.

[5] Cfr. Breen, R. Luijkx, Müller. W. e R. Pollak, Nonpersistent Inequality in Educational Attainment: Evidence from Eight European Countries, American Journal of Sociology, 114, 5 (2009): 1475-1521.

[6] L’acronimo ESCS sta per Economic, Social and Cultural Status, l’indicatore utilizzato nelle indagini OCSE-PISA.

[7] OECD, Low performing students: Why they fall behind and how to help them to succeed, OECD, Paris 2016: 63.

[8] OECD, PISA 2018 Results Vol II Where students Can Succeed, OECD, Paris 2019: 17.

[9] Esistono margini di miglioramento per la ricerca accademica italiana in campo educativo come evidenzia il ranking internazionale (Cfr. QS Wordl University Rankings by Subjects 2021).

[10] Cfr. Le dichiarazioni del Ministro riportate da Linkiesta del 26 febbraio 2021.

[11] Cfr. le dichiarazioni programmatiche del Presidente Mario Draghi del 17 febbraio 2021 in www.governo.it.

[12] Per un esame delle risposte alla pandemia da parte dei sistemi scolastici cfr. la documentazione OECD: Country education responses to the coronavirus (COVID-19) pandemic.

[13] Per uno sguardo nuovo a strumenti e pratiche per il cambiamento cfr. R. Murray, J. Callier-Grice e G. Mulgan, Il libro bianco sull’Innovazione sociale. NESTA London (www.societing.org).