La scuola tra la prima e la seconda onda pandemica

Dalla resilienza di oggi alla sostenibilità del futuro

Una scuola resiliente, ma fino a quando?

La Scuola anche in questa seconda fase dell’emergenza sanitaria sta assicurando, sulla base di misure nazionali uniformi e locali diversificate[1], il diritto allo studio dei nostri studenti. Ma questo servizio resiliente non è immune da disagi socio-formativi, esito anche di una “medicalizzazione” delle Istituzioni e della vita sociale[2] e da criticità connesse con una insoddisfacente programmazione della c.d. “riapertura”. Ne forniamo quadri di sintesi solo in alcuni ambiti, pure con riferimento al primo periodo di chiusura delle scuole, richiamando poi le emergenze strutturali non più tollerabili e su cui investire un un’ottica di sistema, come sollecitano recenti documenti italiani ed europei.

Che strano paese! In questo periodo si manifesta animatamente per la crisi economica, ma per la Scuola emergono solo l’attivismo di spontanei Coordinamenti come “Priorità alla scuola” (www.facebook.com/prioritaallascuola/), le iniziative di Comitati di studenti in sit-in contro la DAD, interventi “a tema” su riviste. Prevale forse un “blocco sociale” di “garantiti” che da anni rappresenta lo “zoccolo duro” dell’utenza, che mantiene un “basso” profilo rispetto alle inadeguatezze del servizio scolastico e che accetta un sistema educativo ancora modellato su “una scuola di classe”[3]?

Vulnerabilità e Disuguaglianze

Anche per la scuola è suonato il “peana” della ripartenza[4] tra Lettere ministeriali, suggerimenti per nuovi scenari educativi, progetti di breve e lungo termine, esternazioni che hanno ripercorso le sedimentate carenze del pianeta-scuola e disegnato la configurazione di una scuola proiettata nel futuro, tra il tecnologico e il virtuale. Non sempre però si sono saldate con le problematiche di un sistema educativo per tanti aspetti insostenibile, agente di disuguaglianze, fedele custode di paradigmi formativi cristallizzati. Di tali criticità ne diamo conto in alcuni ambiti formativi.

Spesa per la pubblica istruzione: un welfare state in crisi e frammentato

Prima
Periodo pre pandemia e lockdown marzo-maggio
Dopo
Emergenza pandemica in corso
– Nel 2018 l’Italia ha speso in istruzione pubblica, rispetto al PIL, il 4% della ricchezza nazionale (media UE, 4,6%), ma rispetto alla spesa pubblica totale l’8,2% (ultima in graduatoria nell’UE-media UE del 9,9%).
– Prima della crisi del 2009 aveva speso invece il 9%: budget diminuito di 5 mld. (fonte: Relazione di monitoraggio UE settore istruzione e formazione, 2020).
– Anche nel Rapporto Education at a Glance 2019 dell’OCSE, tra gli Stati ad economia avanzata, l’Italia è ben ultima con il 6,9%.
– La legge di Bilancio 2020 ha destinato alla scuola 3,7 mld, per il piano di assunzione di 25.000 docenti di sostegno, di 1.000 docenti nell’Infanzia, di 4.500 LSU, di 1000 Assistenti Tecnici e per l’edilizia scolastica, ma con modeste risorse per il digitale, per la fascia 0-6, per la riduzione delle disuguaglianze.

– Persiste intanto il digital divide con il 13% delle famiglie prive di banda ultra-larga e con ca. 300.00 studenti senza device e connessione (dati Desi Index 2020), nonostante gli 85 mln del Decreto “Ristori”.

Inclusione: un processo in corso, non ancora un traguardo

Prima Dopo
– Un tasso di dispersione esplicita stabile al 14,8%, implicita al 7,1%.
– Una platea di NEET (giovani non occupati, né in istruzione) di oltre 2 mln di soggetti[5]
disagi diffusi nell’area dei BES, sia in ambito educativo (isolamento, interazioni difficili con l’insegnante di sostegno, comportamenti oppositivi…), sia in ambito organizzativo (carente strumentazione, famiglie in “sofferenza”, studenti non supportati …).
Maggiore vulnerabilità per gli studenti stranieri, la cui partecipazione alle attività in DAD è stata spesso ostacolata da fattori socio-economici e culturali (carenza di device e connessione, ambienti di studio inadeguati, scarse competenze linguistiche dei genitori …), ma anche educativi (insuccessi scolastici, difficoltà apprenditive, integrazione mancata…).
Comparsa di due nuove sigle PIA e PAI quali dispositivi progettuali per il recupero e l’integrazione degli apprendimenti degli studenti, che però hanno avuto modesti esiti nella fase applicativa.
A fronte di un dibattito sui rischi di “ghettizzazione” degli alunni con disabilità obbligati alla presenza a scuola, sui “distinguo” burocratici della Nota MI 1990 (“ove possibile”, “si potranno…” “valuteranno se…”), rileviamo ancora:
nel 1° ciclo il reiterarsi dei disagi educativi, con frequenze “a singhiozzo”, difficoltà nella DDI, docenti di sostegno in forte “ansia da prestazione” e parziale coinvolgimento del Terzo Settore e degli EE.LL., causa il mancato decollo dei Patti educativi di comunità[6];

nel 2° ciclo la macchinosa soluzione per l’inclusione (DPCM del 3 nov. e Nota MI n.1990,[7] “… andrà garantita la effettiva inclusione scolastica, in special modo per gli alunni con disabilità, attraverso l’attivazione di tutte le forme di raccordo… con gli altri Enti responsabili (…) sia in materia di assistenza specialistica che di trasporto scolastico…”, “I D.S. (…) favoriranno la frequenza dell’alunno con disabilità… nell’ambito del coinvolgimento, anche, ove possibile, di un gruppo di allievi della classe di riferimento…”)[8], che ha prodotto disorientamento e altre criticità.

La “bolla mediatica” della DAD, ora divenuta DDI

Prima Dopo
– la chiusura delle scuole ha “imposto” l’opzione DAD attorno a cui si è sviluppato un “dibattito metafisico” tra sostenitori e detrattori, senza considerare che già dal 2015 il PNSD prevedeva 35 azioni di sviluppo in risorse umane e strumentali, con oltre 1 mld di investimenti. Eppure il Covid-19 ha colto la scuola in larga parte impreparata (formazione, metodologie, strumentazione, connessione)[9];
le pratiche della DAD, il più delle volte, hanno riproposto le modalità correnti del “fare scuola” e il “frontale” d’aula è stato spesso trasferito nella video-conferenza a distanza, con residui benefici per gli studenti, anzi con forme di ma-lessere e di rigetto[10];
– con il Decreto “Cura Italia” tuttavia la formazione nella DAD ha coinvolto ca. 600 mila insegnanti, mentre il 70% della card docenti è stato speso per hardware;
dalla DAD si è transitati alla DDI, con le rituali Linee Guida, integrate da un CCNI con precisi “paletti” e affidando alle Scuole il compito della formazione del personale (TIC e metodologie innovative);
– l’INDIRE ha inserito nel Piano di formazione per docenti neoassunti alcuni video dedicati;
– nella somma di 40 mln per la digitalizzazione, di cui alla legge di Bilancio
2020, sono state comprese le attività di formazione (stanziamento modesto).
Rimangono in ogni caso da incrementare ulteriormente le reti di connessione, la disponibilità di device per le fami-glie, le risorse economiche per il personale a T.D. (oltre ai 414 mln già stanziati) ed è auspicabile un monitoraggio sulle reali ricadute di tali azioni nelle routinarie prassi educativo-didattiche dei docenti.

Le fragilità e le potenzialità del sistema integrato 0-6

Prima Dopo
La maldestra chiusura di Nidi e Scuole dell’Infanzia nel periodo marzo-maggio ha riacceso il dibattito sulle “debolezze” del sistema 0-6:
– una carenza strutturale di posti negli asili nido (media nazionale del 24,7% del bacino potenziale di utenza, al centro sud intorno al 13%);
– le molteplici difficoltà dei Poli per l’Infanzia;
– il ruolo di “supplenza” assegnato alle famiglie, con effetti molto spesso destabilizzanti e desocializzanti[11];
– l’insufficienza delle reti territoriali di supporto (educatori, Coordina-menti pedagogici, volontariato…).
Dopo il primo “spaesamento”, il sistema ha però reagito con la “cura” e la competenza di sempre.
– la sensata scelta di non “chiudere” il pianeta Infanzia;
– il D.M. 80-2020, con all. ilDocumento di indirizzo e orientamento per la ripresa delle attività in presenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia> dalla cifra organizzativo-sanitaria,
ma, soprattutto
– gli “Orientamenti pedagogici sui LEAD: Legami Educativi a Distanza…” a cura della Commissione Infanzia, che in dieci punti ha declinato una sorta di patto educativo tra personale e genitori, per sostenere il diritto dei più piccoli ad un servizio universale e di qualità;
– le cospicue misure finanziarie a sostegno della famiglia (il family act, i contributi per le rette…) e dell’edilizia scolastica (vd. G. Ventura, n. 210/2020, Scuola 7).

A fronte di questi scenari di resilienza, aperti essenzialmente su ambiti settoriali, dobbiamo ora chiederci se sia possibile prefigurare un diverso sistema educativo, in grado di garantire, in futuro, un servizio sostenibile, equo e di qualità per tutti i suoi utenti. A tal fine occorre impegnarsi, come decisori politici e come cittadini, in tutt’altre direzioni.

Oltre la frammentazione degli interventi

Non sono più idonee quelle traiettorie di politica scolastica ancora parcellizzate e attente all’hic et nunc. Mi riferisco ad es. al Documento per la pianificazione delle attività scolastiche… per l’a.s. 2020-2021, dell’attuale Ministro, vademecum di proposte e indicazioni tra il “pedagogese”, l’organizzativo e il sanitario. Più convincente invece il testo dell’audizione alla Camera dello stesso Ministro che evoca il Recovery Fund per interventi su classi pollaio, dispersione scolastica, ITS, innovazione digitale, alleanza scuola-mondo del lavoro, edilizia scolastica. Manca tuttavia una visione strategica complessiva. Vogliamo forse ripetere esperienze anche recenti di dissipazione di risorse (vedi i banchi a rotelle)?

Le emergenze strutturali

Alcuni Organismi internazionali (OCSE, UNESCO, UE, vedi Relazione di monitoraggio su istruzione e formazione, nov. 2020), ma anche attenti osservatori e studiosi[12] ci richiamano spesso alle emergenze strutturali del nostro sistema scolastico:

– dal consistente fenomeno del fallimento formativo, uno spreco si risorse umane e finanziarie, alle criticità della Scuola secondaria di 1°, “anello debole” del sistema, che delle tre missioni affidatele nel 1962[13] ne ha realizzata solo una[14];

– dalla non universalità di accesso ai servizi della prima infanzia alla formazione in servizio del personale, obbligatoria ma “condizionata”;

– dalla mai decollata valutazione del personale al sistema di reclutamento che spesso si trasforma in un “serbatoio” per l’assunzione di precari;

– dalla carriera docente, un destino “segnato” da un percorso lineare, al modesto livello di formazione permanente del personale, la cui storia culturale si è in larga parte fermata all’Università,

– dai processi di orientamento disorientanti, che generano dispersione e disuguaglianze alla disomogenea valutazione degli apprendimenti degli studenti,

– dai livelli insoddisfacenti delle competenze dei nostri studenti alla limitata crescita della Formazione Terziaria Professionalizzante (ITS)[15] e ancora ai rilevanti divari territoriali, alla povertà educativa, al digital divide, allo stato “decadente” dell’edilizia scolastica.

Strategie per il futuro

Partiamo da una premessa: il nostro sistema scolastico soffre da anni di una schizofrenica realizzazione dell’autonomia, con l’esercizio di ambigui meccanismi di “potere” giocati tra centro e periferia. Di recente tali meccanismi sono approdati ad un neocentralismo burocratico. Appare quanto mai necessario separare le funzioni di indirizzo dai compiti di gestione, evitando talora di evocare surrettiziamente il principio di sussidiarietà (vedi la questione bus, concausa della chiusura delle scuole). A partire da tali emergenze strutturali evidenziate, le azioni strategiche sensate dovrebbero occuparsi di:

1. spazi flessibili e polifunzionali per l’apprendimento, all’interno di innovative soluzioni architettoniche (open space);

2. tempo-scuola, modulato sui bisogni degli studenti, non sui “desiderata” degli insegnanti e articolato sull’intera giornata;

4. attrattività verso la professione docente, riscrivendo: reclutamento, carriera, formazione in servizio, formazione permanente, valutazione;

5. innovazione in tutti i campi del sapere, nelle metodologie, nella valutazione e nel digitale;

6. contrasto al fallimento formativo e alle povertà educative, per far ripartire l’ascensore sociale;

7. orientamento scolastico come dispositivo di giustizia sociale;

8. formazione terziaria non accademica, per costruire “ponti” tra scuola e mercato del lavoro;

9. diritti di accesso ai servizi per la prima infanzia, per promuovere carriere scolastiche più eque.

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[1] DPCM del 03.11, con chiusura delle Secondarie di 2° e ordinanze più restrittive di Comuni e Regioni rispetto alla Primaria e al sistema 0-6.

[2] Illuminanti i testi di G. Agamben (2020), A che punto siamo? ed. Quodlibet, Macerata e di A. Schiavone (2020), Progresso, Il Mulino, BO.

[3] Scuola di classe dei cui al Documento, “Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa”, 2018, pag. 36.

[4] Sarebbe forse meglio parlare di “rianimazione”, usando questo termine medico in senso traslato, per significare che le stesse riaperture si sono rivelate come delle “terapie” riabilitative contingenti, all’interno di un quadro di funzionamento generale compromesso da tempo.

[5] Report Invalsi 2019 e Rilevazione Istat 2019 su dati 2018. La dispersione implicita (R. Ricci) considera la quota di ragazzi che al termine della Secondaria di secondo grado ha raggiunto al massimo il livello 2 (scala da 1 a 5) in Matematica e Italiano ed un livello inferiore al B1 in Inglese (il livello atteso è il B2).

[6] Le reti territoriali hanno assolto a funzioni di prestito alla scuola di risorse umane e logistiche, senza una reale co-progettazione.

[7] Ma ancor prima con il Piano Scuola 2020(D.M.39/2020) era stata prevista l’obbligatorietà della didattica in presenza per gli alunni disabili.

[8] Vds. a tal proposito le analisi di G. Polito su Corriere.it del 06 novembre 2020 e di D. Ianes su “Redattore Sociale” del 22 ottobre, 2020.

[9] Vds. D. Trovato (2020), Scuola e Covid-19: quale ripartenza? RIS, n. 4, Maggioli, nota 21.

[10] Vds. il testo di Gui M. (2019), Il digitale a scuola: rivoluzione o abbaglio? Il Mulino e altri contributi su ROARS; NL Scintille, sett. 2020; sul recupero degli apprendimenti perduti (learning loss) causa Covid, argomenta R. Ricci in Sole24ore-scuola del 27.11.2020.

[11] Indagine UNI Genova e Istituto Gaslini, Impatto psicologico e comportamentale sui bambini, marzo 2020; analisi di www.valigiablu.it, 29.04.2020.

[12] N. Bottani, Requiem per la scuola?, Il Mulino, 2013, – A. Angelucci- G. Aragno, Le mani sulla scuola, Castelvecchi 2020, N. Bottani, Insegnanti al timone?, Il Mulino, 2002, M. Piras, Scuola e diseguaglianza, in www.leparoleelecose , 2017, C. Raimo, Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è, Einaudi, 2017, R. Poli, Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l’incertezza, Egea, Milano 2019.

[13] Le tre dimensioni: far crescere il livello di scolarità, orientare (non canalizzare!) le scelte scolastiche successive, garantire l’uguaglianza delle opportunità scolastiche,

[14] Fondazione G. Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2011: Le medie anello debole della scuola italiana?, Laterza 2011.

[15] Appena 13.000 iscritti nell’a.s. 2019-20, contro i 760 mila studenti delle Fachhochschulen tedesche.