Per Antonio, maestro d’accoglienza

Antonio, editore attento, sembrava aver litigato con le parole o forse non dava loro troppo peso.

Di fatto non affidava alle parole un segreto tutto suo: la personalizzazione dell’accoglienza.

La sua ospitalità era frutto di una regia attenta, che ti cuciva addosso l’abito della sua attenzione senza aver bisogno di parlare, di chiedere.

Una precondizione che Antonio riteneva ineludibile quella dello star bene nel dialogo, perché tutto doveva parlare di familiarità, di condivisione, di autenticità.

La sua era una semplicità raffinata, una capacità di cogliere il particolare che stona, attento a togliere ogni ostacolo al realizzarsi pieno del convivio.

Un imprinting, il suo, della migliore tradizione mediterranea, che gli veniva dal mare che amava tanto e che lo rendeva capace di alleggerire persino il lavoro.

E questa è la seconda dote di Antonio regista quando si aveva fortuna di collaborare con lui: ti sentivi parte di una squadra. Il piano sequenza e non la scena costruita o predefinita erano il suo punto di forza, perché anche gli errori possono dare significato alle storie.

Questo suo modo di accompagnare le scelte dava a ciascuno contemporaneamente più libertà e più responsabilità.

Così Antonio rendeva quasi impossibile tradire la sua fiducia e qui la sua terza dote: l’eleganza (e la pazienza) del riccio, per utilizzare un celebre romanzo. Lavorare senza apparire, dare cura, sostanza e qualità come piacevole dovere sempre.

Grazie allora, e grazie perché in ogni immagine impressa nella memoria non ti vedo (e non eri) mai solo.