“Grazie è una parola fondamentale dell’esistenza, a partire da quella in famiglia. Insieme a permesso e scusa è una chiave che apre la strada per vivere bene, per vivere nella pace. Dovremmo immaginarle, quelle tre parole, come targhe sulle porte d’ingresso delle nostre case e delle nostre vite” – e anche, mi permetto di specificare, sulle porte d’ingresso delle nostre scuole – “Possono apparire semplici da pronunciare, ma in realtà sappiamo che non sono poi così semplici da mettere in pratica. Però racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa anche attraverso le difficoltà e le prove; la loro mancanza, invece, a poco a poco allarga le crepe che quella casa la indeboliscono e possono farla perfino crollare”[1].
In ogni pronunciamento di papa Francesco è facile cogliere l’attenzione alla cultura della cura e all’etica della solidarietà, che sono state la cifra del suo pontificato.
Sulle orme di don Milani
Nel 2017 papa Francesco ha fatto visita alla scuola di Barbiana. Il primo papa a recarsi sulla tomba del prete dopo anni di oblio nel mondo della Chiesa e qualche attrito con le strutture ecclesiastiche a causa della sua proposta educativa e della difesa dell’obiezione di coscienza. Un gesto importante, che ne ha rivalutato l’operato, includendolo nella schiera dei profeti inascoltati e definendolo con calore un educatore e un insegnante capace di sporcarsi le mani.
La visita di Francesco a Barbiana e le parole spese a favore di don Milani, unite all’avvio del processo di beatificazione, hanno segnato un momento di riconoscimento epocale del rivoluzionario esperimento pedagogico di don Lorenzo a favore degli ultimi, attraverso percorsi educativi che non scartano nessuno, bensì a tutti riconoscono uguale diritto allo studio[2].
Nella scuola anche Papa Francesco auspica inclusione e orizzonti aperti e invoca risolutamente che tutti devono avere uno sguardo e un posto, proprio tutti!
Unire il linguaggio del cuore, della mente, delle mani
Questo messaggio era già risuonato forte e chiaro nelle parole pronunciate da Francesco qualche giorno prima della visita a Barbiana a una platea di giovani di scuole e reti educative di tutte le confessioni religiose e laiche: In questa società costruita per escludere, selezionare, aggredire, la scuola deve vivere per includere, dar la mano, abbracciare e riconoscere che ogni persona ha un senso. Tutte le persone sono “Sì”, non esistono persone “No”. Le persone non sono “stracci”! C’è un pericolo grande nell’educazione, è “l’élitizzazione”, creare percorsi di esclusione, ma l’educazione non è solo sapere cose, è essere capaci di unire il linguaggio del cuore, della mente e delle mani. (…) Viviamo nell’era della globalizzazione. Sarebbe buona cosa, se il mondo non la concepisse come una palla da biliardo sferica, dove ognuno ha la stessa distanza dal centro, annullando le differenze: ma così chi non è nel sistema non esiste. Accade anche per i popoli. Io credo che la vera globalizzazione debba essere un poliedro in cui si lavora insieme, salvando le peculiarità di ciascuno. A questa globalizzazione deve portare la scuola: alla ricchezza della condivisione che si crea nel dialogo e nel confronto, non aggredendo: pensiamo ai bulli. “No bullying”[3].
Condizione ancora da superare è la natura classista della nostra scuola, la dispersione e gli abbandoni. L’urgenza, dunque, per costruire una società più equa e migliore, è combattere la dispersione scolastica, sia quella che lascia fuori gli studenti, sia quella che canalizza una parte di loro in ghetti dequalificati.
Appello agli insegnanti e agli adulti
Francesco ha sempre avuto a cuore i più deboli, i più fragili, gli emarginati e i migranti e ha esortato gli insegnanti ad amare di più gli studenti più difficili, chi non ha voglia di studiare, chi smarrisce la strada verso la scuola, chi vive nel disagio, disabili, giovani con background migratorio. Sono questi gli studenti che rappresentano la vera sfida per la scuola.
Gli insegnanti devono presidiare le periferie della scuola, che non possono essere abbandonate all’emarginazione, all’ignoranza e alla malavita. Questo è il messaggio che ha più volte pronunciato, Francesco parlando da collega e collega, in quanto ci teneva a ricordare di essere stato a sua volta insegnante e di conservare un ricordo vivo e positivo delle giornate trascorse in aula con gli studenti[4].
I giovani secondo Francesco non devono essere giudicati, anzi, gli adulti per prima cosa dovrebbero chiedere perdono per tutte le volte in cui non hanno ascoltato i loro bisogni più autentici, per non averli presi sul serio, per non averli saputi entusiasmare, o per averli parcheggiati come complemento delle infinite adolescenze di adulti non sufficientemente cresciuti[5]. E aggiunge con parole nette e inequivocabili: per averli troppo spesso abbandonati a un mondo di esteriorità, di apparenze, a una vita vissuta tutta fuori che lascia vuoti dentro. (…) per aver precarizzato le loro esistenze (…) per una società dell’effimero e dello scarto, dove risultano spesso i primi tra gli scartati.
Francesco è solidale anche con i ragazzi che fanno chiasso, che scendono in piazza, che reclamano il futuro, perché sono l’eco del grido del bacino amazzonico e di quello del Congo, delle torbiere e delle mangrovie, degli oceani e delle barriere coralline, delle calotte glaciali e dei terreni agricoli, dei poveri e degli scartati.
Sono i ragazzi che facendo rumore contro il cambiamento climatico e le migrazioni forzate ci insegnano ciò che è ovvio e che solo un atteggiamento suicida e nichilista ormai può trascurare: non c’è domani se distruggiamo l’ambiente che ci sostiene[6].
Dalla maestra di vita alla maestra di scuola
Nella sua autobiografia – che non è una letteratura privata, ma piuttosto una sacca da viaggio – Francesco ricorda che nonna Rosa, che non aveva potuto andare a scuola oltre le elementari, è stata per lui la prima grande maestra. I nonni Giovanni e Rosa hanno costituito un baricentro dell’infanzia di Bergoglio, una delle pietre angolari della sua esistenza: “Riuscirono a vendere i loro pochi beni nella campagna piemontese e raggiunsero il porto di Genova per salpare nel 1929 a bordo del Giulio Cesare, con biglietto di sola andata e pochi averi cuciti nelle fodere dei cappotti”.
Francesco si è sempre sentito discendente dei nonni migranti, che avevano intrapreso ilviaggio di speranza verso l’America come terra promessa. Per questo ha scelto Lampedusa come meta del suo primo viaggio da pontefice, per compiere un gesto di vicinanza e gratitudine e soprattutto per risvegliare le nostre coscienze e richiamare alle nostre responsabilità.
Nonna Rosa maestra di vita. Poi la prima maestra di scuola: quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola, non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola. E poi io sono andato a trovarla durante tutta la sua vita fino al momento in cui è mancata, a 98 anni. E quest’immagine mi fa bene! Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amarla.
La scuola come pensiero aperto
In un discorso[7] rivolto al mondo della scuola italiana, pronunciato in piazza san Pietro nel 2014, ma ancora attualissimo, Francesco ha enumerato altre ragioni del suo amore verso la scuola.
La scuola che suscita amore è quella che è – o meglio dovrebbe essere – sinonimo di apertura alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti e delle sue dimensioni. Il vero segreto di un percorso di apprendimento di successo è, infatti, imparare ad imparare, una conquista che rimane per sempre e fa sì che una persona sia aperta alla realtà, come insegnava anche don Lorenzo Milani.
I primi a dover conservare la mente aperta a imparare sono gli insegnanti: se un insegnante non è aperto a imparare, non è un buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capiscono, hanno “fiuto”, e sono attratti dai professori che hanno un pensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così contagiano questo atteggiamento agli studenti.
Senso del vero, senso del bene, senso del bello
Un terzo motivo è che la scuola, insieme alla famiglia, è un luogo di incontro nel cammino e un nucleo di relazioni. Oggi abbiamo più che mai bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme, accogliendo le diversità. “Per educare un figlio ci vuole un villaggio” – esemplifica Francesco, citando un proverbio africano a lui caro.
E aggiunge, infine, che la missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. tre dimensioni mai separate, ma sempre intrecciate: nella scuola non solo impariamo conoscenze, contenuti, ma impariamo anche abitudini e valori. A scuola avviene il miracolo della crescita delle tre lingue, che una persona matura deve sapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani.
[1] Francesco, Spera. L’autobiografia (autore J. M. Bergoglio, curatore C. Musso), Mondadori, 2025, pp. 67-68.
[2] R. Bramante, La rivoluzione educativa di don Milani, in “Education 2.0”, 26 aprile 2023.
[3] E. Chiari, Il Papa: “All’educazione serve inclusione, non selezione”, in “Famiglia Cristiana”, 10 giugno 2017.
[4] Udienza UCIIM. Il Papa ai prof: aprite le porte delle scuole, in “Avvenire”, 14 marzo 2015.
[5] Francesco, Spera. L’autobiografia, op. cit, p. 357.
[6] Francesco, Spera. L’autobiografia, op. cit, p. 360.
[7] Discorso del santo padre francesco al mondo della scuola italiana. Piazza San Pietro, sabato, 10 maggio 2014. Si ringrazia Salvatore Di Dio, l’insegnante che ha segnalato questo documento.