Dal Rapporto ISTAT, una riflessione sull’inclusione

Un processo con luci ed ombre

Di recente l’Istat ha pubblicato il consueto Report annuale sul pianeta disabilità dal titolo “L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità”[1], (a.s. 2023/2024),con il seguente sottotitolo: “Migliora l’offerta di insegnanti specializzati per il sostegno, ancora ritardi per l’inclusione”. È articolato in paragrafi che coniugano i dati numerici e le statistiche con l’analisi delle problematiche educative più diffuse in questo settore del nostro sistema scolastico. Ovviamente il Documento è stato subito ripreso dalla stampa nazionale e locale, dalle Reti televisive, dalle riviste specializzate, anche del Terzo Settore, per evidenziare criticità e “ritardi” nelle politiche di riferimento. Ci sono stati focus che hanno evidenziato l’aumento delle certificazioni, gli insegnanti di sostegno ancora senza titolo (ma con un aumento della quota di quelli con formazione specifica), il turn-over da un anno all’altro[2]. Un tema abbastanza ricorrente in alcuni di media è quello della medicalizzazione[3] (ma ci torneremo).

Quadro di sintesi

Si riportano, per punti focali, elementi e snodi critici del Report ritenuti più significativi, ai fini anche delle argomentazioni che saranno sviluppate nel prosieguo della trattazione[4].

  1. Incremento degli studenti con disabilità: +26% (+75.000) dall’a.s. 2018/2019. In termini numerici nell’ a.s. 2023/2024 si contano 359.000 alunni nelle scuole di ogni ordine e grado (aumento di oltre il 25% negli ultimi dieci anni), in maggioranza nella Scuola Primaria e Secondaria di I grado, in prevalenza maschi[5].
  2. Tipologia di disabilità (valori per 100 alunni). Il problema più diffuso è quello della disabilità intellettiva (40% degli studenti), seguono i disturbi dello sviluppo psicologico, i disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione. Il 28% manifesta problemi di autonomia (nella comunicazione, nello spostarsi…).
  3. Insegnanti specializzati di sostegno. Ci sono 246mila gli insegnanti in servizio nelle scuole statali e non statali, con una crescita dal 63% al 73% in quattro anni;
  4. Insegnanti non specializzati. Ci sono più di 66mila i docenti incaricati senza formazione specifica (il 27%), la quota è diminuita dal 30% al 27% rispetto all’anno precedente. Il fenomeno è più consistente nelle scuole del nord Italia.
  5. Discontinuità nel rapporto alunno- docente di sostegno. Il 57% degli alunni ha cambiato insegnante rispetto all’anno precedente (la percentuale sale al 61% nelle Secondarie di I grado e al 69% nelle Scuole dell’Infanzia).
  6. Ore di didattica dentro e fuori dalla classe. Gli alunni trascorrono la maggior parte del loro tempo con i compagni dentro la classe. Tuttavia solo per il 31% degli studenti il “sostegno” è destinato a tutto il gruppo classe, in quanto per oltre la metà dei ragazzi coinvolge prevalentemente l’alunno con disabilità.

Ci sono altri fenomeni degni di attenzione:

  • 20mila alunni hanno ancora bisogno di assistenza da parte di figure specializzate (es. assistente all’autonomia);
  • 31% di alunni mancano di ausili didattici integrativi;
  • solo il 41% degli edifici scolastici è accessibile agli studenti con disabilità motoria.

Alcune riflessioni a margine

Scorrendo il Report rileviamo la presenza di molteplici “punti di debolezza”. Dobbiamo però considerare che il riferimento è a un solo anno scolastico e che i punti di debolezza vanno contestualizzati dentro un Sistema educativo che dal 1977 (Legge 577/1977) si è impegnato a gestire l’ardua sfida centrata sul paradigma dei vantaggi reciproci della coeducazione fra gli alunni con disabilità e gli altri compagni (Relazione Falcucci del 1975)[6]. Si tratta di un modello socio-pedagogico-culturale che ci viene riconosciuto, anche a livello internazionale, come efficace indicatore dell’avanguardia italiana nel campo dell’inclusione (Kanter, Damiani e Ferri, 2014; UNESCO, 2020)[7].

È stata una impresa pionieristica che oggi mostra delle vulnerabilità (è naturale per tutti i grandi “disegni” innovatori)[8], ma soprattutto mostra delle tendenze che sembrano rinnegare i princìpi originari fondanti l’architettura stessa della Legge 577/1977. Su tali “vulnerabilità” e “tendenze” si focalizza il paragrafo che segue.

Ideologie economiche e ricadute sul Sistema-scuola

Da oltre trent’anni le società occidentali sono attraversate da traiettorie di pensiero economico che hanno trovato una sintesi nel neoliberismo, ideologia che rappresenta il “mercato” come il modello superiore regolatore di tutte le altre attività e relazioni sociali.[9] Ne sono scaturiti paradigmi come “merito”, “efficacia-efficienza”, “qualità”, “competitività”, “managerialità”, “auto-imprenditorialità”, “standard”, “successo”, “marketing”, etc.

In campo educativo categorie concettuali simili sono state elaborate dall’ILO/Organizzazione Internazionale del Lavoro e dal World Economic Forum[10], poi trasferite all’OCSE e infine all’Unione Europea e ai Ministeri interessati dei singoli Stati[11]. Le parole-chiave sono: “competenze”, “saper fare”, “capitale umano”, “abilismo”, “performance” “eccellenza”, “resilienza”, “empowerment”, “prontezza/readiness”, etc. La scuola, organismo “digestivo” che tutto assimila (F. Dolto, 1989), in ogni caso “permeabile” alle istanze sociali, ha ricevuto e accolto le une e le altre, senza un adeguato percorso di formazione e di rielaborazione critica. I segni di tale “passiva” adesione si possono riscontrare sia nelle matrici e nelle prassi pedagogico-didattiche ordinarie (curricula, employability, flipped-classroom, scuola-digitale, UdA/UA, test-misurazioni, Webquest, Portfolio…) sia negli interventi per l’area delle disabilità (modello biomedico, terapia vs approccio educativo, prompting e fading/stimoli e loro riduzione, scaffolding/supporto, shaping/modellaggio, peer-tutoring, cooperative learning…)[12].

La moltiplicazione delle parole chiave

A partire dal suddetto contesto abbiamo assistito negli anni ad un “accanimento linguistico” da parte delle Istituzioni europee ed italiane, del mondo accademico, di tanti “esperti” in questioni scolastiche e della stampa specializzata e non. È diventata una sorta di “bulimia semantico-concettuale”. Citiamo, esemplificando, termini-ombrello come integrazione, personalizzazione, discriminazione positiva, resilienza, condivisione, reciprocità, speciale normalità, inclusione; ma anche sigle come BES, DSA, PDP, PEI[13] che hanno impregnato le scuole a diversi livelli: psico-pedagogico, programmatorio, metodologico, valutativo, facendo maturare la convinzione che quelle “parole d’ordine” e sigle avrebbero condotto alla soluzione di problemi educativo-didattici complessi. Certamente molti insegnanti si sono posti delle domande sul “valore” delle nuove formulazioni adottate, ma tanti sono stati indotti ad un loro uso “formale-amministrativo”, non cogliendone la fondamentale cifra processuale[14], quindi neanche la necessità di sperimentare la terminologia proposta nei percorsi di lavoro quotidiani con la consapevolezza di potere incorrere in possibili fallimenti.

Prassi terapeutica vs cultura pedagogica

La complessità del fenomeno in esame e i fraintendimenti pedagogico-didattici, ma anche socio- culturali che abbiamo prima schematizzato, hanno da tempo suscitato le preoccupazioni di studiosi e addetti ai lavori. Positivo lo sguardo preoccupato di tanti “osservatori”, ma bisogna rilevare che molti di loro, negli anni, hanno promosso, in ambito accademico ed editoriale, l’idea che il c.d. sostegno, nella versione dell’accoppiata “insegnante di sostegno – alunno con disabilità”, potesse generare benefiche ricadute[15].

Tale strategia invece ha incrementato tre fenomeni distorsivi:

  1. la maggiore richiesta da parte della scuola alle famiglie di approfondimenti clinico-diagnostici;
  2. il manifestarsi della c.d. medicalizzazione del sostegno, che ha comportato e comporta la crescita esponenziale di certificazioni mediche anche rispetto a disagi spesso di natura educativa e/o socio-ambientale[16]. La motivazione continua ad essere sempre la stessa: poter avere un quadro esaustivo sui sintomi dei “comportamenti-problema” dello studente. Spesso la scuola non si pone, però, il problema se ha sviluppato un efficace sistema di “monitoraggio” sulle relazioni e sugli apprendimenti e neanche del rischio di depotenziare in tal modo le cure pedagogiche di pertinenza scolastica[17];
  3. la delega all’insegnante di sostegno degli interventi di supporto ai soli alunni con deficit certificati, implicante l’abdicazione o almeno la compromissione all’/dell’idea progettuale di una didattica inclusiva che predispone sostegni per tutti gli alunni, come ribadito da autorevoli studiosi del settore e non solo[18].

Inclusione scolastica: una sfida ancora in corso

Tutto oggi è “inclusione” e “inclusivo”, dalla politica al mercato, dai media alla tecnologia, dalle Organizzazioni pubbliche o private agli ambienti di lavoro, dalla mobilità al turismo, per finire ai servizi educativi, e se questi “macrosistemi” non sono “inclusivi” devono essere “sostenibili”. Una società inclusiva è garanzia di godimento dei diritti per tutti, di equità, di coesione sociale, di benessere.

Tuttavia qualcuno (ad es. F. Acanfora, 2020, S. Soresi, 2020, D. Ianes, 2023) fa notare che il concetto di “inclusione” implica un rapporto di potere tra chi può includere e chi invece è incluso. Meglio parlare di “convivenza delle differenze e delle diverse unicità personali”. In ambito educativo e scolastico il paradigma ha avuto una diffusione immediata e universale, ma nel nostro caso, se rapportato alle condizioni reali di esercizio del servizio di “sostegno”, non può non essere problematizzato con alcuni interrogativi.

Quando un sistema non si può definire inclusivo

Di seguito elenchiamo una serie di condizioni che compromettono l’inclusività di un sistema educativo:

  1. Un Sistema educativo che nel tempo ha sposato le logiche aziendali della competizione, dell’eccellenza, degli standard di successo, delle misurazioni e delle classifiche, del “prodotto” (esempio: il “capolavoro”) e non del “processo”[19].
  2. Un Sistema educativo che negli anni è riuscito a ridurre la durata dei corsi di specializzazione da due ad uno e di recente a sei mesi (L. 71/2024) per i supplenti con tre anni di servizio senza titolo specifico.
  3. Un Sistema educativo che non riesce a formare, in modo professionale, tutti i suoi operatori sul problema dell’inclusione, rafforzando così le condizioni di marginalità e di “minorità” della figura del docente di sostegno e del servizio a lui assegnato (Né possono essere considerate sufficienti le 25 ore di formazione rese obbligatorie per i docenti non specializzati che operano in classi con alunni disabili e attivate nell’a.s. 2021-2022).
  4. Un’offerta formativa che lavora sui sintomi e non sulla persona, sui deficit e non sulle potenzialità, comprimendo le attese-aspettative dei giovani, futuri adulti, accrescendone le fragilità esistenziali.
  5. Una didattica “penalizzante” che molto spesso non assicura ad ogni studente (non solo a quello con disabilità) feedback per il miglioramento, che non valorizza le risorse già maturate, anzi stigmatizza le “insufficienze” perché non gli consentono di raggiungere standard di successo.

Orizzonti incerti

Senza volere cedere ai catastrofismi di maniera ed evidenziando sempre le buone pratiche che le scuole riescono a realizzare[20], occorre tuttavia prendere atto di tante riflessioni veicolate da parole inquietanti che di recente serpeggiano nel mondo della scuola: deriva isolante, tramonto dell’inclusione, esclusione emarginante, la grande malattia, ritorno alle scuole speciali, approccio patologizzante[21].  Sono segnali di una diffusa insoddisfazione rispetto all’attuale sistema di gestione del pianeta disabilità (cfr. sondaggio a cura di D. Ianes, nota 20) che chiamano in causa i nostri decisori politici perché, in agenda, inseriscano al più presto questo importante problema della nostra società e forniscano risposte adeguate.


[1] Cfr. il testol’inclusione scolastica degli alunni con disabilità anno 2023-2024” del 18 marzo 2025. Per un esame invece del Report Istat 2023 è possibile leggere l’articolo su Scuola7 n. 373 del 04/03/2024 di D. Trovato “Numeri che raccontano il “pianeta” della disabilità”.

[2] Cfr., ad esempio, i quotidiani: La Stampa del 28 marzo 2025; La Repubblica del 28 marzo 2025; il Fatto Quotidiano del 18 marzo 2025; La Verità del 7 aprile 2025; Rai News del 18 marzo 2025; Welforum del 3 aprile 2025; l’Ass.ne Gessetti Colorati del 30 marzo 2025.

[3] Cfr. ad esempio. La Verità, già cit.; un articolo in cui Umberto Galimberti afferma: “La scuola è sempre più medicalizzata. È tempesta sul filosofo Galimberti. Ma se avesse ragione lui?; un articolo R. IosaAltro che inclusione! Ai nostri Ministri filo-americani interessano i Martiri di Belfiore” del 31 marzo 2025; L. Rondanini “Cinquant’anni fa… l’inizio dell’inclusione” e “Dal sostegno individuale ai sostegni di prossimità”.

[4] Fonti dei dati in esame: Banca Dati dell’ISTAT, attiva dall’a. s. 2017/2018 e Focus/Report annuali Ufficio Statistica del MIM. Le percentuali riguardano alunni certificati con la L. 104/92 e sono da rapportare a ca. 8 mln di alunni, quindi il 4,5%.

[5] Si contano inoltre 320-330mila studenti con certificazione di DSA e con la “qualifica” di BES/ Bisogni Educativi Speciali.

[6] Analisi in L. Rondanini, Cinquant’anni fa… l’inizio dell’inclusione, Scuola 7 n. 412, 06.01.2025, cit.

[7] Cfr. Camedda D., Santi M., Essere insegnanti di tutti: atteggiamenti inclusivi e formazione per il sostegno, Vol. 15, n.  2, maggio 2016, pp. 141-149, in rivista digitale “L’integrazione scolastica e sociale”, Erickson.

[8] A tal proposito così si esprimono P. Gordon‐Gould e G. Hornby, in “Inclusive Education at the Crossroads”, 2023, p. 50: “Lungi dall’essere un modello che altri Paesi potrebbero emulare, il sistema educativo inclusivo italiano è un esempio di come la pratica dell’inclusione possa essere inefficace, se non addirittura controproducente, rispetto al suo scopo essenziale”.

[9] Nel 1974, un gruppo di studiosi, tra cui K. Popper, L. von Mises e F. Von Hayek, ha elaborato i princìpi del libero mercato, che fondarono il pensiero neoliberale. Tale ideologia ebbe successo e culminò con l’assegnazione del Premio Nobel a Hayek e a M. Friedman (Scuola di Chicago). Cfr. tesi di laurea di C. Concezzi, UNIPD, a.a. 2024/2025.

[10] Ad esempio, il costrutto “competenze”, nella sua prima formulazione del Framework USA sulle competenze per il 21° sec., 2015, molto orientata al mondo del lavoro (le quattro C), si differenzia da quello adottato a Singapore che ha valorizzato competenze come resilienza, cura, responsabilità, vds su youtube “Il cuore dell’educazione – Kai-Ming Cheng, Professore Emerito all’Università di Hong Kong”.

[11] L’istituzionalizzazione a livello scolastico ed europeo si ebbe nel 1996 con il documento di J. Delors “Nell’educazione un tesoro”. Cfr. H. Giroux, 2009; G. Coeli, Dentro la trasformazione: breve viaggio nella scuola neoliberale, ROARS online, 13.01.2025; numerosi articoli in Google sub voce “neoliberismo e politiche educative”. Si può dire che in Italia l’allineamento alle posizioni neoliberiste si compie con la “Buona Scuola” del governo Renzi, 2015.

[12] Di tali strategie, mutuate in gran parte da ricerche ed esperienze anglosassoni e americane, si fa largo uso anche nella didattica ordinaria, a volte con una certa “superficialità” non essendo conosciuti gli assunti teorici di base.

[13] A livello della comunicazione amministrativa dedicata cfr. D.L. 62/2024, nota MIM 7431/2024, Glossari di: Intesa San Paolo, 2021, CBM Italia Onlus, 2022, ANFFAS nazionale, 2023 – A livello di ricerca accademica cfr. Soresi S. & alii Le parole della disabilità e dell’inclusione, in Soresi, S. (2016); Soresi S., Dire le diversità, ed. Messaggero, PD, 2020.

[14] Qui si ribadisce che le categorie ministeriali rappresentano da sempre dei “traguardi” da conquistare, a volte non raggiunti, non etichette da marketing da esibire per autoreferenziarsi (M. Bruschi, 12.03. 2018, Orizzonte scuola).

[15] Aver adottato la logica della “copertura oraria”, estranea alla “Relazione Falcucci” (… separare il meno possibile le iniziative di recupero o di sostegno dalla normale attività scolastica…) ha generato problemi. (L. Rondanini, op.cit.)

[16] Inducono ad una qualche riflessione le percentuali di alunni stranieri con disabilità: nell’a.s. 2020/2021 sono il 14,3%, considerando che i frequentanti le scuole italiane si fermano al 10,3% del totale della popolazione scolastica. E come non tener conto della correlazione tra disabilità e povertà di tante famiglie italiane? Cfr. a tale proposito il Rapporto dedicato della Fondazione Zancan e CBM del 2023 e l’audizione alla Camera del Presidente Istat Blangiardo, del 2019, da cui risultava che il 28,7% delle famiglie con persone disabili erano in condizioni di deprivazione materiale.

[17] Cfr. il contributo di R. Iosa, PPT “La grande malattia” del 2015 e altri più recenti del 2024, recuperabili in Rete sub voce “medicalizzazione del sostegno”. Ma anche D. Ianes, Inclusione scolastica in Italia, inclusioscetticismo… ItalianJournal of Special Education for Inclusion,29.06.2024e F. Furedi, 2005. Intrigante la loro tesi: oggi molti difetti-carenze sono diventati disturbi a livello clinico. Cfr. pure D. Novara, Alle neomamme date un kit pedagogico, Riv. Vita, 24 febbraio 2017.

[18] Cfr. A. Canevaro e D. Ianes, 2019, C. Scataglini, Il sostegno che vorrei, 2023; A. Goussot, 2015, D. Novara, 2022.

[19] Cfr. blog di G. Marconato che dedica diversi contributi alla scuola “malata” di ranking/classificazioni, di indicatori, di accountability/rendicontazione, di performance/prestazionismo, di falsa meritocrazia, di profilazione/orientamento, di potere del “talento” (riscoperto ultimamente come “potenziale cognitivo”, con dubbi diffusi: solo quello dell’IO o anche quello del NOI?, cfr. M. Muraglia, Il talento a scuola, su “Le nuove frontiere della scuola” n. 26/2011, pp. 26ss) ed altro.

[20] Cfr.ad esempio, Fare sostegno nelle scuole superiori; A. Canevaro, D. Ianes, Buone prassi di integrazione ed inclusione scolastica, Erickson, 2015; Buone prassi inclusive, 2025; Inclusività e bisogni educativi speciali; Saperi pratici. Buone prassi per una scuola inclusiva.

[21] Cfr. R. Iosa, Il tramonto dell’inclusione 2024, un’analisi di ampio respiro sulle problematiche qui in esame; G. Della Loggia, articolo in “Corriere della Sera”, 13.01. 2024; D. Ianes, ricerca-sondaggio nazionale, Inclusione scolastica e sociale: un valore irrinunciabile? Quanto è fattibile, efficace e condivisa nei suoi valori? 2023.