La lettura del nuovo testo delle Indicazioni Nazionali per il Curricolo per la disciplina “Musica” offre una conferma e una novità. Lo sguardo è quello di una persona entrata nella scuola negli anni ’80 del secolo scorso, formata alla scuola dell’attivismo e folgorata sulla via di Damasco dallo strutturalismo bruneriano, musicista classico e curioso frequentatore delle metodologie pedagogico-musicali del ‘900 (Dalcroze, Orff, Kodaly).
La conferma è la tendenza alla destrutturazione (al netto del passaggio da Programmi a Indicazioni nella scuola dell’Autonomia), dal punto di vista epistemologico, del curricolo ministeriale (che aveva celebrato il suo picco bruneriano nei Programmi per la scuola elementare del 1985): una tendenza già presente nelle Indicazioni Nazionali del 2012 e ancor più evidente nel nuovo testo, quasi a recuperare l’immagine del bambino “tutto sentimento, intuizione e fantasia” dei Programmi Ermini del 1955.
La novità è invece costituita da una vistosa (e virulenta) ingerenza di quel sistema musicale che potremmo definire “Accademia” nella scuola del primo ciclo.
L’approccio accademico
Il problema dell’approccio “accademico” alla musica è un portato storico e culturale altamente stratificato nel nostro Paese. Proprio l’incredibile ricchezza del nostro patrimonio musicale “classico” (cioè relativo agli ultimi quattro secoli di musica “colta”) ha fatto sì che in Italia il percorso di formazione, riconoscimento e professionalizzazione musicale fosse caratterizzato da altissima competitività, da elevata rigidità delle istituzioni e dei percorsi formativi e, non ultima, dal progressivo imporsi di una immagine “ieratica” del musicista: un “eletto” che per dono divino (la “predisposizione” musicale) si poneva come intermediario tra la Musica e l’uomo (nonostante la contraddizione rappresentata dallo scarsissimo riconoscimento economico della professione).
Cercherò di evidenziare questa conferma e questa novità partendo da una analisi comparata dei vari testi (Orientamenti per la scuola materna del 1991, Programmi per la scuola elementare del 1985, Indicazioni Nazionali per il Curricolo del 2012 e, ovviamente, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo del 2025).
L’estetica classica
L’approccio “accademico” al curricolo della scuola del primo ciclo è evidente sin dalle prime righe, con la citazione del violinista Uto Ughi: “L’educazione musicale nelle scuole è un elemento fondamentale per la formazione integrale dei giovani e per la conservazione del nostro patrimonio culturale”. I riferimenti ad una estetica “classica” nel testo non potrebbero essere più espliciti.
Perché si studia la musica (2025)
“Il nostro Paese vanta un patrimonio musicale di inestimabile valore, con compositori e interpreti che hanno segnato la storia della musica classica innanzitutto (ma non solo). Pertanto è di fondamentale importanza formare a un’adeguata conoscenza musicale le nuove generazioni. […] Investire nella musica e valorizzarne l’insegnamento a scuola già nel primo ciclo è essenziale per preparare una nuova generazione di appassionati sostenitori della musica in generale e conoscitori della classica in particolare. Senza, con questo, voler escludere i vari generi. […] Questo perché, ad esempio, l’ascolto di brani classici può produrre “impressioni che dureranno tutta una vita” ed è risaputo che nella prima età possono agire sul bambino influenze benefiche, sia sotto l’aspetto psicologico che biologico. Non c’è dubbio che l’educazione all’ascolto e lo sviluppo di molteplici competenze connesse alla disciplina musicale (es. produzione, esecuzione, interpretazione, improvvisazione, lettura e decodifica) possa dare ai bambini e ai giovani poi, un’impressione duratura, creare una significativa relazione, migliorare le abilità cognitive e di memorizzazione, oltre che orientare al bello”.
Essere musicisti è per pochi
La musica “classica”, insomma, è intesa quasi esclusivamente come quella tonale, occidentale e “colta” prodotta dal ‘600 al ‘900, con l’esclusione di quella post tonale e di quelle di tutti gli “altri”. È posta come metro estetico rispetto al quale misurare la qualità dell’esperienza musicale dei piccoli e giovani studenti, ma soprattutto la distanza che li separa dal diventare Musicisti (con la M maiuscola), è un destino riservato ai pochi eletti che scelgono di proseguire il percorso accademico fino a diventare musicisti “laureati”. Ma questo destino sembra riservato agli studenti non tanto per le loro capacità intrinseche, piuttosto per l’appartenenza ad ambienti e famiglie culturalmente privilegiati. Essere “musicisti”, che è per pochi, è contrapposto all’essere “musicali”, che è per tutti.
Si torna indietro rispetto ai programmi del 1985
C’è una incommensurabile distanza dai Programmi per la scuola elementare del 1985, che così individuavano gli obiettivi generali dell’educazione al suono e alla musica
Perché si studia la musica (1985)
“L’educazione al suono e alla musica ha come obiettivi generali la formazione, attraverso l’ascolto e la produzione, di capacità di percezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione dei diversi linguaggi sonori. I fenomeni acustici della natura, della civiltà urbana e contadina e la produzione musicale dei popoli dei differenti Paesi ed epoche storiche sono il campo delle attività di esplorazione, conoscenza e apprendimento. Le diverse attività dell’educazione musicale debbono essere sempre finalizzate a far realizzare ai fanciulli concrete e autentiche esperienze d’incontro con la musica. L’operatività degli alunni è una componente indispensabile di tutte le attività, dalle più semplici alle più complesse, sia nella fase dell’ascolto (percezione, selezione, strutturazione dei suoni) che in quella dell’analisi, della registrazione, della notazione e produzione vocale e strumentale dei suoni”.
La prima involuzione già nelle Indicazioni 2012
Un primo accenno alla tendenza accademica nell’insegnamento della musica si avverte anche nelle stesse Indicazioni del 2012.
Perché si studia la musica (2012)
“L’apprendimento della musica consta di pratiche e di conoscenze, e nella scuola si articola su due dimensioni:
- produzione, mediante l’azione diretta (esplorativa, compositiva, esecutiva) con e sui materiali sonori, in particolare attraverso l’attività corale e di musica d’insieme;
- fruizione consapevole, che implica la costruzione e l’elaborazione di significati personali, sociali e culturali, relativamente a fatti, eventi, opere del presente e del passato.
Il canto, la pratica degli strumenti musicali, la produzione creativa, l’ascolto, la comprensione e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo della musicalità che è in ciascuno; promuovono l’integrazione delle componenti percettivo-motorie, cognitive e affettivo-sociali della personalità; contribuiscono al benessere psicofisico in una prospettiva di prevenzione del disagio, dando risposta a bisogni, desideri, domande, caratteristiche delle diverse fasce d’età. In particolare, attraverso l’esperienza del far musica insieme, ognuno potrà cominciare a leggere e a scrivere musica, a produrla anche attraverso l’improvvisazione, intesa come gesto e pensiero che si scopre nell’attimo in cui avviene: improvvisare vuol dire comporre nell’istante”.
Approccio elitario ed estetizzante
L’approccio elitario ed estetizzante nel testo delle Nuove Indicazioni 2025 è talmente pervasivo e, direi quasi ossessivo, da oscurare completamente gli spunti costruttivi (nel senso della costruzione del curricolo) presenti in maniera sporadica, comunque, in termini poco strutturati e non sempre coerenti. Viene invece esplicitamente dichiarato e proceduralizzato il percorso che porterà ad aprire ulteriori spazi all’ingerenza dell’Accademia nella scuola del primo ciclo.
Rapporti con le “Accademie” (2025)
“Nello specifico, le Nuove Indicazioni propizieranno l’attuazione delle seguenti azioni trasformative: a) promozione di azioni orientative di concerto con il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) e il Ministero della Cultura (MiC), oltre che l’attivazione di partenariati con il territorio (teatri, radio, accademie). Questa rete di sinergie tra istituzioni educative e culturali consentirà di promuovere iniziative comuni, scambi di esperienze e un più ampio accesso a risorse e competenze specialistiche. Inoltre, potenzierà la capacità degli studenti di interagire con enti, associazioni culturali e di categoria, nonché con luoghi dell’arte”.
La scuola dell’infanzia: fruizione ed educazione estetica
Negli Orientamenti 1991 era evidente la preoccupazione di preservare il bambino da atteggiamenti passivizzanti, legati alla mera fruizione, che impedissero una partecipazione attiva alla costruzione di un proprio linguaggio musicale. L’approccio “attivizzante” è conservato nella sostanza anche dalle Indicazioni 2012, sia pure in modo meno organico (e quindi meno prescrittivo per i docenti).
Nella bozza delle Indicazioni 2025 l’accento è spostato sulla fruizione con un esplicito riferimento all’“educazione estetica” e con una precisa scelta valoriale il cui riferimento rimane quello della musica classica (occidentale, colta e tonale). Sembra una scelta motivata dalla preoccupazione del possibile impoverimento delle abilità sensoriali e attentive e dalla scarsità di occasioni di contatto con le opere d’arte da parte delle nuove generazioni, a causa dello smodato utilizzo dei dispositivi digitali.
Confusione tra competenze e obiettivi
Salta agli occhi di chiunque si sia occupato di didattica negli ultimi trenta anni la confusione presente nel testo (comune a tutti gli ambiti curricolari) tra competenze, abilità, conoscenze. Tanto per fare un esempio, “Partecipare con interesse e piacere a spettacoli” può costituire al massimo un obiettivo di insegnamento, non una competenza o un obiettivo di apprendimento.
In questa confusione, non si riesce davvero a comprendere quali siano le competenze attese. Ad esempio, “sviluppare sensibilità e interesse per il paesaggio sonoro e le opere musicali” mette insieme due universi semantici e semiotici totalmente diversi che richiedono interventi didattici intenzionali e specifici. Tale confusione si accentua là dove si aggiunge che tale competenza deve essere messa in relazione alla familiarizzazione con gli “alfabeti musicali” e i “simboli di notazione informale”: un fritto misto senza né capo né coda, il cui unico intento sotteso sembra essere quello di un approccio precoce alle “opere” e alla notazione musicale.
Ciò è ribadito là dove tra gli obiettivi specifici (attività didattiche o OSA?) si prevedono l’ascolto, la fruizione di opere e l’utilizzo di “semplici simboli di notazione informale”, salvando (bontà loro) la “produzione di semplici sequenze sonore”. Non si comprende, però, su quale base esperienziale ed esplorativa possa strutturarsi la produzione e perché non si faccia alcun cenno alla dimensione essenziale della “scoperta”.
Differenza con gli Orientamenti del 1991
C’è una differenza abissale con gli Orientamenti del 1991 dove si prevedeva un complesso di attività espressamente dedicate alle dimensioni esperienziali.
La dimensione esperienziale negli Orientamenti del 1991
“L’elaborazione degli itinerari di lavoro può tener conto di alcune tracce orientative particolari:
- scoperta e conoscenza della propria immagine sonora;
- ricognizione esplorativa dell’ambiente sonoro;
- uso dei suoni della voce e di quelli che si possono produrre con il corpo;
- uso di oggetti e strumenti tradizionali ed elettronici;
- uso di strumenti di registrazione ed amplificazione;
- utilizzazione di strumenti musicali adatti ai bambini (ad esempio strumentario didattico);
- apprendimento di canti adatti all’estensione vocale dei bambini;
- invenzione di semplici melodie;
- sonorizzazione di fiabe o racconti; attività ritmico-motorie;
- forme elementari e ludiche di rappresentazione dei suoni;
- giochi per la scoperta e l’uso di regole musicali”
La scuola del primo ciclo: la confusione semantica
Effettuare una disamina comparata (rispetto alle Indicazioni 2012 e ai Programmi precedenti) degli elementi prescrittivi assegnati alle scuole ai fini dell’elaborazione del curricolo musicale risulta molto difficoltoso a causa della continua confusione tra ciò che possa rappresentare una competenza e ciò che possa rappresentare un obiettivo di apprendimento, una conoscenza o semplicemente un obiettivo di insegnamento.
Definire come “competenze attese” (e quindi in qualche modo prescrittive) concetti generici e ambigui come “Sensibilità estetica e critica verso la qualità sonora” oppure “Interpretazione, analisi e valutazione di brani musicali, con consapevolezza stilistica” (classe V scuola primaria), rende molto difficile individuare gli elementi costitutivi della competenza. Allo stesso modo accade se prendiamo in considerazione le competenze attese per la classe III della scuola secondaria di primo grado come “Descrivere l’evoluzione storica della scrittura musicale. Identificare principali compositori e opere, e analizzare la musica europea dalla tradizione scritta al periodo contemporaneo, collegando gli stili musicali alla storia e alla cultura di ciascun periodo; approfondire la conoscenza degli strumenti musicali, delle loro famiglie e del loro utilizzo in contesti diversi”. Come si può proceduralizzare una competenza così onnicomprensiva?
Peraltro, nelle indicazioni relative alle “conoscenze” da implementare, ci si trova di fronte ad elencazioni disordinate e scollegate, nelle quali non si capisce quali siano i nuclei linguistici ed epistemologici disciplinari e quali gli obiettivi di apprendimento o le competenze attese. Facciamo l’esempio della classe V della scuola primaria.
Un elenco disordinato e scollegato di conoscenze per la classe V della scuola primaria (2025)
- ritmo e coordinazione motoria, giochi ritmici di gruppo, coreografie, controllo spaziale e temporale. Invenzione di ritmi con strumenti a percussione
- creazione di brevi melodie, composizione di sequenze musicali in gruppo
- ascolto di brani musicali di diverse epoche e stili
- discriminazione degli strumenti musicali, classificazione e conoscenza delle loro caratteristiche timbriche
- relazione tra musica e testo, sensibilità estetica ed emotiva: ascolto del repertorio operistico
- canto corale: esecuzione di semplici brani con accompagnamento ritmico-motorio
- polifonia intuitiva con ostinati ritmici e canoni a due voci
- lettura musicale con notazione semplificata, riconoscimento di figure ritmiche
- produzione musicale in ensemble e piccole orchestre di classe. Esplorazione di strumenti musicali (Orff, corde, archi, tastiere, fiati, percussioni)
Un guazzabuglio, insomma, che fa rimpiangere non solo la adamantina organicità dei Programmi del 1985 (che organizzavano il percorso di apprendimento intorno alle macroaree della percezione, della comprensione e della produzione, ciascuna con un proprio spazio nel curricolo, finalizzate alla “appropriazione” di strumenti personali di partecipazione all’esperienza musicale), ma anche le precedenti Indicazioni del 2012, nelle quali gli aspetti prescrittivi del curricolo erano correttamente espressi e lasciavano spazi non ambigui di successiva elaborazione del curricolo.
Tralascio (per carità di patria) l’esame dei “box”, per accennare solo a quello dedicato al “modulo interdisciplinare”: di tutte le possibili contaminazioni, è stata scelta l’unica che non ha a che vedere con la musica intesa come linguaggio espressivo. Approfondire gli aspetti “fisici” del suono è sicuramente utile didatticamente, ma non aggiunge nessuna “interdisciplinarità” nella quale il linguaggio musicale si “contamini” con l’apporto di altre discipline.
In sintesi
A conclusione di questa breve analisi, il mio pensiero va alle schiere di pedagogisti della musica, a partire da Émile Jaques-Dalcroze, Carl Orff, Zoltan Kodaly, Edwin Gordon, Murray Schafer, che hanno inutilmente (a parere evidente dei membri della Commissione) cercato di valorizzare la “musicalità” del bambino, senza comprimerla in una estetica del suono e della musica.
Ma soprattutto penso a cosa direbbe Boris Porena, lui che ha abbandonato la carriera di musicista contemporaneo “classico” (subendo l’ostracismo dell’Accademia, in particolare della corte di musicisti contemporanei riunita intorno a Goffredo Petrassi), per lavorare, negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, nelle scuole elementari della Sabina, a una didattica “metaculturale” della composizione, dimostrando che chiunque, anche un bambino senza alcuna competenza specifica musicale, può “comporre” musica, “la sua musica”. Io c’ero, e posso testimoniarlo.