Le nuove Indicazioni 2025

Tre atti di un copione già scritto

Le nuove Indicazioni 2025 non hanno incontrato un consenso diffuso; hanno generato una mobilitazione responsabile, fatta di critiche motivate, proposte articolate e richieste di confronto. Ma il Ministero ha scelto di non rispondere, limitandosi a silenzio e propaganda. Questo articolo ricostruisce un copione già scritto: quello della partecipazione negata. E mentre il Ministero tace, c’è chi continua a scrivere, anche quando nessuno ascolta. Non ci resta che la parola.

ATTO I – Scrivere a vuoto

 â€œQuelli come me non hanno che parole da offrire. Ma le parole non sono poco, in questo sconfortante silenzioâ€. (Paolo Rumiz, Verranno di notte, Feltrinelli, 2024).

Negli ultimi due mesi, dopo la presentazione della bozza delle nuove Indicazioni per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, tante persone hanno sentito il bisogno di prendere la parola. Non si è trattato solo di opinioni espresse sui giornali o sui social. Sono nati veri e propri documenti di lavoro, lettere, appelli, fatti da associazioni professionali e disciplinari, spesso riunite in tavoli interassociativi, e rivolte direttamente al Ministro dell’istruzione e del merito. A questi si sono aggiunte conferenze stampa e incontri in presenza e online; nel complesso c’è stata una mobilitazione diffusa.

Chi ha scritto lo ha fatto con impegno e responsabilità, perché crede nella scuola e nella possibilità di discuterne insieme. È così che funziona la democrazia: si partecipa, si dialoga, si cerca confronto.

Ma dall’altra parte, quella delle decisioni ministeriali, è calato il silenzio. Nessuna risposta. Nessuna apertura. Solo dichiarazioni unilaterali, slogan, autocelebrazione. I documenti inviati sono rimasti senza risposte.

E allora viene naturale chiedersi: ha ancora senso scrivere se nessuno legge? Parlare, se nessuno risponde? Partecipare, se tutto sembra già deciso?

Eppure, proprio nel silenzio si rivela qualcosa di importante. Perché chi scrive testimonia che c’è un’altra idea di scuola. Una scuola che si costruisce insieme, che vive nel confronto, che appartiene a tutte e tutti, non solo a chi governa in un dato momento. Scrivere, oggi, è un modo per lasciare traccia. Per dire: “noi c’eravamoâ€. Anche se fanno finta di non vedere. Anche se vogliono farci sentire inutili.  

Scrivere diventa anche un modo per smascherare un copione già scritto: quello in cui si finge ascolto, ma si recita sempre la stessa parte.

ATTO II – La finta partecipazione

Il Ministero aveva annunciato un grande dibattito pubblico sulla revisione delle Indicazioni. In realtà le associazioni che sono state convocate hanno avuto incontri di pochi minuti, senza la possibilità di interagire e discutere con la commissione. I documenti consegnati sono rimasti lì, senza risposta, come se nessuno li avesse mai letti.

C’è stato poi il questionario on line inviato alle scuole, dal titolo Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’infanzia e Primo ciclo d’istruzione. Materiali per il dibattito pubblico. In un mio contributo pubblicato su Treccani citavo una celebre battuta di Nanni Moretti: “Le parole sono importantiâ€. Lo facevo per denunciare l’ambiguità del linguaggio usato nel questionario ministeriale: un linguaggio gentile e rassicurante che indirizzava le risposte nella direzione voluta. Sottolineavo come il modulo proposto non chiedesse ai docenti “che cosa ne pensate?â€, ma soltanto “quanto siete d’accordo?â€. Una consultazione che, pur parlando di partecipazione, non lasciava spazio al dissenso, limitandosi a offrire alternative già incanalate in una direzione stabilita: non si poteva dire “non condividoâ€, si poteva solo scegliere come dire “sìâ€[1].

A seguito delle proteste è stata predisposta poi una casella email per raccogliere osservazioni. Nessuno però ha saputo quanti messaggi siano arrivati, chi li abbia letti e con quale criterio. E, dopo pochi giorni, il Ministro ha dichiarato che il testo delle Indicazioni sarebbe comunque stato pubblicato regolarmente. Come dire: scrivete pure, tanto non cambia nulla.

Mentre dalla scuola arrivavano critiche serie, argomentate, il Ministero ha continuato a ripetere lo stesso messaggio: tutto va bene, tutto è nuovo, tutto è migliore. Nessun dubbio, nessun confronto. Chi esprimeva perplessità veniva liquidato in fretta. Le critiche? “Strumentaliâ€. Chi dissentiva? “Un piccolo gruppo di nostalgiciâ€. Così si è espressa anche la coordinatrice Perla, liquidando il dissenso come nostalgia di un “piccolo gruppo†incapace di leggere i tempi. Come se difenderela partecipazione democratica alla vita della scuola fosse un nostalgico ritorno al passato. Eppure, molte di quelle critiche arrivano da chi la scuola la vive ogni giorno. Con serietà, con fatica, con passione.

ATTO III – Ma la scena è aperta

Il 10 giugno 2025 sulle pagine del Corriere della Sera è apparso un articolo sulle nuove Indicazioni Nazionali con il titolo: Il ritorno della calligrafia, più arte e musica alle primarie. La scuola che piace ai genitori. Nell’articolo, di Valentina Santarpia, si mettevano in evidenza percentuali trionfali: “lo studio dell’arte e della musica fin dalla scuola primaria: una scelta giudicata positivamente o molto positivamente dall’84% dei genitori. Grande consenso (81%) anche per la scrittura a mano, con un focus particolare sul corsivo e sulla calligrafiaâ€.

Ci si riferiva a un sondaggio commissionato dal Ministero a SWG/KPMG e rivolto a 1.200 genitori, effettuato on line nei primi giorni del mese di giugno per sondare il gradimento delle Indicazioni. Nessun documento ufficiale era ancora disponibile, nessun link al sondaggio.

Il giorno dopo, sul sito del Ministero è comparsa la bozza definitiva delle Indicazioni (inviata adesso al CSPI) ed è stato pubblicato anche il sondaggio SWG/KPMG a cui la giornalista del Corriere faceva riferimento.

Non è un caso che prima sia uscito il titolo trionfale sui giornali e solo dopo la conferma ufficiale del documento: un’operazione di comunicazione ben orchestrata, in cui alla scuola è stato assegnato un ruolo passivo. Per usare una metafora teatrale: la scuola, che dovrebbe essere protagonista, resta invece sullo sfondo. Assiste a una messinscena recitata da altri, con un copione già scritto e senza possibilità di intervenire. 

Il sondaggio, presentato con toni trionfali e risultati plebiscitari, non ha aperto un vero dialogo con le famiglie: è servito solo a confermare scelte già prese.

Il sondaggio come scenografia

Vale la pena, a questo punto, accennare a come il sondaggio è stato presentato dallo stesso Ministero, rimandando ad altra sede un’analisi approfondita. Già l’incipit del documento ufficiale merita di essere letto e commentato perché dice molto, forse più di quanto vorrebbe. Nel report si legge così: “Per quanto solo una minoranza delle famiglie con figli che frequentano il primo ciclo dell’istruzione fossero a conoscenza del processo di revisione delle Indicazioni nazionali […], si registra un consenso molto elevato sia sul metodo adottato che su alcune delle più significative determinazioni a cui è giunta la Commissioneâ€.

È una frase che sembra neutra, ma non lo è affatto. Inizia riconoscendo un problema: solo una minoranza dei genitori era informata. Ma subito dopo ribalta il significato: nonostante questo, il consenso è alto. È come dire: anche se non sapevano nulla, sono d’accordo lo stesso. Ma allora, che tipo di consenso è? Come si può approvare davvero qualcosa che non si conosce?

Ed ecco un altro pezzo ancora più trionfale, sempre nelle poche righe del “summary†iniziale: “Inequivocabile il consenso rispetto alle decisioni prese che sono state sottoposte al campione di genitori […]. Tutte le altre proposte hanno un consenso ancora superiore, segno di scelte che non solo esprimono una valutazione scientifica della commissione, ma che riscuotono anche un amplissimo consenso popolareâ€.

“Inequivocabileâ€, “scientificaâ€, “consenso popolareâ€: tre parole forti, messe tutte insieme per chiudere ogni possibile discussione. Eppure, nulla viene detto sulla formulazione delle domande.

Il trucco del consenso

Basta poco per capire che molte delle domande presenti nel sondaggio sono formulate in modo da indirizzare implicitamente la risposta, legando ogni proposta a valori difficilmente contestabili. Ad esempio, non si chiede semplicemente se si è favorevoli a un maggiore spazio per l’arte e la musica, ma si propone: “Le nuove Indicazioni Nazionali valorizzano lo studio dell’arte e della musica: verrà dato maggiore spazio a queste discipline sin dalla scuola primaria, per arricchire l’offerta formativa e stimolare la creatività. Come valuta questa scelta?â€

Questa domanda, come altre nel sondaggio, è costruita per orientare la risposta sia sul piano emotivo sia su quello cognitivo. La formulazione contiene infatti già in sé il giudizio positivo su ciò che viene proposto. Si parla di valorizzare (Chi potrebbe essere contrario alla “valorizzazione†di qualcosa?), di arricchire, e quindi di migliorare (Chi si opporrebbe a un’offerta formativa “arricchita�), di stimolare la creatività, un altro valore positivo, legato al potenziamento di abilità cognitive, emotive e sociali. Insomma, la risposta è già suggerita: dire “non sono d’accordo†equivarrebbe, implicitamente, a disinteressarsi dell’arte, della musica, della creatività e della formazione degli allievi.

Manca del tutto la possibilità di fare domande e avere altre informazioni (esempio: l’insegnamento della musica sarà affidato a docenti specializzati o sarà improvvisato da chi ha già troppe ore e poche competenze musicali?).

Insomma, la domanda sembra un vero e proprio annuncio promozionale, che rassicura e mostra la scelta come indiscutibilmente buona.

Perché continuare a scrivere

In un clima di silenzio istituzionale scrivere può sembrare un gesto inutile. Ma è proprio quando il potere non ascolta che scrivere diventa necessario. È un modo per non restare soli, per unire le forze, per sostenere chi si sente isolato. È un gesto che dice: noi ci siamo ancora, e non intendiamo tacere.

Scrivere serve a tenere accesa l’attenzione, a costruire una memoria collettiva. È una forma di responsabilità verso il presente e verso il futuro. Serve a proteggere la scuola pubblica, a ricordare che essa è un bene comune, non proprietà di un Governo, e che non si può cambiare a colpi di decreti.

Non si scrive più per convincere chi non vuole ascoltare — perché, come dice il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Si scrive per difendere un’idea di scuola aperta, democratica, plurale.

Scrivere è, oggi più che mai, un gesto civile. Serve a dire a voce alta che non tutto è stato accettato in silenzio. Che c’è ancora chi ha qualcosa da dire. E che queste parole possono fare la differenza.

Pertanto, dopo aver analizzato con attenzione la nuova bozza delle Indicazioni 2025, resa pubblica l’11 giugno, continueremo a scrivere. Il testo mostra qualche ritocco formale, ma lascia intatto l’impianto generale. Il linguaggio si fa appena più sfumato, compaiono qua e là accenni alla pluralità, alla partecipazione, persino alla “spiritualità†come parte dell’educazione integrale. Ma si tratta di aggiustamenti superficiali: il cuore del documento resta lo stesso. La scuola che ne emerge è ancora una scuola dell’ordine e dell’insegnamento della storia esplicitamente orientato a rafforzare l’identità culturale degli studenti, facendo leva sulle “radici greco-romane e cristiane†e sulla “storia della civiltà occidentaleâ€. Una scuola che guarda più al passato che al futuro, che privilegia la trasmissione rispetto alla costruzione condivisa del sapere, che non riconosce davvero la diversità culturale e linguistica presente oggi nelle scuole italiane. Una scuola che tende a uniformare: più attenta a dare regole che ad ascoltare, più centrata su compiti assegnati che su percorsi condivisi, più focalizzata su ciò che si può misurare che sulla ricchezza dei processi educativi.

Le voci che in questi mesi hanno chiesto ascolto non sembrano aver lasciato traccia.

Eppure proprio per questo è importante continuare. Continuare a parlarne, a scriverne, a costruire letture critiche. Perché anche quando il copione sembra già scritto, possiamo ancora cambiare la scena. Ma per farlo davvero, occorre coinvolgere chi la scuola la vive ogni giorno. Occorre dare voce e fiducia agli insegnanti, costruire insieme, non imporre dall’alto: è così che dovrebbe nascere una scuola davvero democratica.

La scuola o è di tutti, o non è scuola. Lo ricordava Tullio De Mauro, sottolineando che il cuore della scuola sono gli insegnanti: senza ascoltarli, senza valorizzare la loro esperienza quotidiana, nessuna riforma può dirsi davvero democratica[2].

In un sistema dove la qualità dipende prima di tutto da chi insegna, progettare senza ascoltare è un errore pedagogico, prima ancora che politico. E lo diceva con forza anche don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avariziaâ€.


[1] Cfr. S. Loiero, “LE PAROLE PER NON DIRLOâ€. Il questionario sulle Indicazioni 2025 e la retorica del consenso. Treccani.

[2] Internazionale, Tullio De Mauro, “Buona la scuola se eccelle chi insegnaâ€, 17 luglio 2016.