Alunni ad alto potenziale cognitivo

Disegno di legge A.S.180, ma per quale tipo di scuola?

Il Disegno di legge A.S.180, “Disposizioni per il riconoscimento degli alunni con alto potenziale cognitivo” è stato presentato tre anni fa (13 ottobre 2023) al Senato. È stato assegnato più volte alla 7ª Commissione permanente (Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica) in diverse sedi (redigente e referente). Sono stati esaminati, congiuntamente con altri disegni di legge simili, come il DDL S.1041[1], alcuni punti. Sono stati approvati i primi emendamenti e attualmente è in fase di discussione e trattazione sia in Commissione che in Assemblea.

Se si concluderà l’iter procedurale con una legge, questa segnerà un crocevia importante nel panorama educativo italiano. Il DDL mira a dare un riconoscimento formale agli studenti con “alto potenziale cognitivo” (APC), superando l’assenza di una normativa specifica in materia. Per la prima volta, recependo le indicazioni del Consiglio d’Europa e del Comitato economico e sociale europeo, ci si avvia verso il riconoscimento e il sostegno di questo segmento di popolazione studentesca spesso misconosciuto o, peggio, erroneamente etichettato. Cerchiamo qui di capire in che cosa consiste questo Disegno di legge, ma anche di coglierne le possibili criticità.

Definizione di studente APC

Il DDL definisce l’alunno o studente ad alto potenziale cognitivo come colui che “nel corso degli studi, abbia manifestato, in una o più aree, una maggiore e più veloce capacità di apprendimento e un precoce raggiungimento di livelli specifici di competenze rispetto ai coetanei con un medesimo grado di istruzione”. Questa stessa definizione, all’interno di un atto legislativo, non è soltanto una aggiunta di tipo formale, ma si configura come un imperativo etico e pedagogico, destinato a ridefinire le traiettorie formative di un gruppo di alunni caratterizzato da esigenze intellettive ed emotive particolari.

La ratio sottesa al DDL è duplice: da un lato, colmare una lacuna antica, quella della mancanza di attenzione didattica verso questi alunni, da anni invocata da famiglie e da operatori del settore; dall’altro, valorizzare il potenziale intrinseco di studenti le cui capacità di apprendimento e il precoce raggiungimento di competenze specifiche, in una o più aree (logica, linguistica, matematica, artistica), li distinguono dai coetanei.

Il processo di identificazione

La definizione stessa di “plusdotato” contenuta nel testo sancisce una base univoca per l’identificazione, superando l’aleatorietà di approcci disomogenei e completando il concetto di uguaglianza delle opportunità sia per gli alunni con disabilità sia per gli alunni che hanno un alto potenziale cognitivo. Il riconoscimento formale degli alunni APC, che ha l’obiettivo di fornire un quadro normativo chiaro per identificare precocemente questi studenti, sarà il risultato di una procedura demandata a criteri multidisciplinari di natura pedagogica e psicologica. Le famiglie hanno la possibilità di attivare autonomamente tale valutazione, anche in assenza di segnalazione scolastica e ciò potrebbe rappresentare un passo significativo verso una loro piena responsabilizzazione.

Per cogliere la complessità di profili spesso caratterizzati non solo da eccellenze cognitive, ma anche da specifiche fragilità emotive e relazionali occorre, però, un approccio olistico che vede la realtà come un insieme interconnesso di elementi, dove ogni parte influenza e viene influenzata dal tutto. 

Piano didattico personalizzato per gli alunni APC e formazione del personale

Centrali sono poi gli strumenti di personalizzazione e di supporto. Una volta riconosciuto che uno studente può essere considerato “plusdotato”, il disegno di legge stabilisce l’adozione di un PDP[2].  Tale piano è concepito come una bussola didattica, frutto di una stretta collaborazione tra scuola e famiglia. Esso dovrà tenere conto non solo delle attitudini e degli interessi personali, ma anche dei bisogni emotivi e relazionali, spesso sottovalutati in quegli alunni. Il Disegno di legge prevede inoltre l’introduzione, in ogni istituto, di un “referente scolastico per APC”, cioè di una figura professionale, con una formazione specifica, destinata a seguire e coordinare i percorsi di questi studenti e a fungere da snodo tra le diverse istanze.

È altresì prevista anche la formazione del personale (dirigenti e soprattutto docenti) affinché siano in grado di riconoscere e supportare gli alunni con alto potenziale cognitivo. La formazione è cruciale: l’efficacia di una norma scolastica dipende sempre dalla capacità del corpo docente di acquisire le competenze necessarie per riconoscere, gestire e valorizzare gli studenti, in questo caso gli alunni plusdotati, adottando metodologie didattiche individualizzate e percorsi di arricchimento.

I piani personalizzati possono includere la frequenza di alcune discipline in classi superiori, l’ampliamento e l’arricchimento dei programmi, e l’utilizzo di metodologie di apprendimento individuali. Sono tutte strategie orientate a promuovere il talento senza segregazioni, ma attraverso percorsi flessibili e stimolanti.

Piano triennale sperimentale e Comitato tecnico scientifico

Il Disegno di legge A.S.180, attualmente ancora in discussione in Parlamento, prevede un Piano triennale sperimentale della durata di tre anni. L’obiettivo è quello di definire le attività da svolgere per l’inclusione scolastica di questi studenti. Durante il primo anno saranno avviate attività di formazione per i docenti. Nel secondo e terzo anno verranno implementate le attività di inclusione scolastica nelle scuole che decideranno di aderire al progetto.

Per garantire il buon funzionamento del piano, il disegno di legge prevede la creazione di un Comitato tecnico-scientifico con il compito di coordinare e monitorare le attività messe in atto, per valutarne poi l’efficacia e l’adeguatezza tenendo conto delle condizioni dei singoli alunni. Il comitato sarà composto da sette membri, nominati dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, dall’INDIRE (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) e dall’INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione).

Dalla scuola dell’eguaglianza alla scuola dell’equità

Nonostante la visione innovativa e l’indubbia necessità di questa normativa, l’operazione promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) solleva una serie di interrogativi e potenziali criticità che richiedono un’attenta riflessione. La transizione dalla legge alla sua applicazione pratica è un processo intrinsecamente complesso, e in questo contesto, diverse domande rimangono aperte.

Il Ddl A.S.180, introduce esplicitamente il concetto di “differenziazione dei percorsi” non solo per gli alunni in difficoltà ma anche per gli alunni APC. L’impianto della nostra scuola era, fino a non molti anni fa, basato sul pilastro dell’uguaglianza: garantire ad ogni alunno lo stesso percorso formativo, con l’obiettivo (illusorio) di eliminare le differenze sociali e culturali. In questo contesto le “eccellenze” e le “fragilità” venivano gestite con strumenti di supporto e recupero, ma il percorso di base rimaneva sempre lo stesso e comune ad entrambe le situazioni. Il DDL sulla plusdotazione, invece, introduce una rottura. Prevedendo percorsi personalizzati, come i Piani Didattici Personalizzati (PDP) anche per gli studenti APC, la legge riconosce che l’uguaglianza dei mezzi non produce l’uguaglianza dei risultati e che, per alcune categorie di studenti, è necessario un approccio diverso. Oggi parliamo di scuola dell’equità: riconoscere che non tutti partono dalla stessa linea. Quindi non bisogna dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno per raggiungere il proprio potenziale.

Un’arma a doppio taglio?

Questo passaggio è un’arma a doppio taglio. Il punto di forza è la possibilità di valorizzare il potenziale dei ragazzi che finora si sono sentiti “invisibili”, evitando che la noia e la demotivazione li portino a perdersi. L’idea di una scuola che si adatta allo studente anziché il contrario è, in linea di principio, innovativa e progressista. Ma c’è anche un punto di criticità: il rischio di creare un sistema a due velocità, cioè una scuola per i “plusdotati” e una per tutti gli altri. Se non gestita con estrema attenzione, la differenziazione può trasformarsi in segregazione, creando una nuova forma di disuguaglianza basata sul potenziale cognitivo anziché sul censo.  Si rischia di passare dal “tutti uguali” a un “ognuno per sé”, frammentando l’idea di una comunità scolastica coesa.

Il DDLl sulla Plusdotazione può essere anche letto come un tentativo “subdolo” di indebolire l’impianto unitario della scuola. Tale accusa nasce dalla considerazione che l’azione di Governo sembra escludere un dibattito pubblico e trasparente sulla visione di scuola che si intende costruire.

Inoltre, non proponendo una riforma organica, con intendi espliciti, ma una serie di interventi di dettaglio, a volte anche di non facile comprensione, il pericolo che il cittadino corre è quello di non percepire la portata del cambiamento e di ritrovarsi di fronte a “cose fatte”, senza avere poi la possibilità di intervenire.

La “differenziazione” introdotta dal DDL S. 180/ in questo senso, potrebbe essere vista come uno step di una strategia che mira a sostituire il principio di “uguaglianza” non con quello di “equità”, ma con quello di “libertà di scelta” e di “diversificazione”, con il rischio di favorire chi ha già più opportunità e di lasciare indietro tutti gli altri.

Formazione capillare e risorse

Un’altra perplessità concerne l’implementazione della formazione obbligatoria per dirigenti e docenti. Il DDLl prevede, infatti, un percorso formativo capillare in modo che la scuola sia in grado di riconoscere e supportare adeguatamente gli studenti plusdotati. Sappiamo, tuttavia, che ci sono scuole dove potrebbe non esserci la presenza di tali alunni. La diffusione degli alunni APC non è omogenea sul territorio nazionale, l’investimento di risorse umane ed economiche per una formazione sistemica potrebbe rivelarsi inutile in contesti dove la casistica è residuale. Sarà, dunque, necessario modulare l’offerta formativa evitando dispersioni di energia e garantendo che la formazione sia realmente contestualizzata e mirata.

Inoltre, da molti viene spesso sollevato il problema della sostenibilità economica delle misure proposte. La formazione dei docenti, l’adozione di PDP e l’istituzione di figure di riferimento richiedono risorse economiche e di personale che potrebbero non essere facilmente disponibili. Il DDL, in una prima versione, prevedeva che le attività venissero realizzate utilizzando le risorse dell’organico dell’autonomia, senza aggiungere riferimenti ad altre disposizioni per differenziare l’insegnamento o per creare percorsi mirati. Questo solleva dubbi sulla concreta fattibilità.

Gli studenti APC nella scuola democratica e inclusiva

Una preoccupazione di fondo attiene alla compatibilità del DDL con i principi della scuola democratica e inclusiva. Come sottolineato da John W. Gardner, nel suo testo “Democrazia e talenti”[3], la questione di come una società democratica debba gestire e coltivare i talenti individuali senza minare l’equità e l’inclusione è un dilemma persistente. Egli sostiene che una vera democrazia non può limitarsi a garantire l’uguaglianza formale, ma deve anche promuovere l’opportunità per tutti di sviluppare e utilizzare i propri talenti. In questo contesto, l’inclusione degli studenti APC nell’ambito dei BES, già affermata con la nota ministeriale n. 562 del 3 aprile 2019, è un passo avanti nel riconoscimento delle loro esigenze specifiche, ma dall’altro non esclude il rischio di una potenziale segregazione o di una percezione generica di essere in una situazione privilegiata. L’idea che la scuola possa trasformarsi in “classi fatte di soli BES Plusdotati” o che si possano creare “classi costituite da BES con bambini con problemi e difficoltà” suscita legittime perplessità.

La scuola italiana ha storicamente promosso l’integrazione e la coeducazione di studenti con diverse abilità e necessità. Howard Gardner, psicologo di Harvard, si è sempre concentrato sul rischio che la sua stessa teoria delle “Intelligenze multiple” venga fraintesa e utilizzata per creare una gerarchia di intelligenze, anziché per celebrare la diversità. Lo stesso omonimo, John W. Gardner, sosteneva che una società ha bisogno di élite “di performance” basate sul merito e non sull’ereditarietà, ma che queste élite devono operare senza violare le norme democratiche. Ha messo in guardia contro il rischio che un’élite si isoli dal resto della popolazione, compromettendo così la coesione sociale.

È fondamentale, quindi, che le misure previste per la valorizzazione degli APC, come i percorsi di arricchimento o i gruppi di studio, non si traducano in una separazione dagli altri compagni. Al contrario, tali misure dovrebbero essere integrate in un contesto di classi eterogenee, che favoriscano lo scambio e l’apprendimento reciproco, promuovendo la comprensione e l’accettazione delle diverse forme di “talento” e di “bisogno”. La sfida è trovare il delicato equilibrio tra la personalizzazione degli apprendimenti per i plusdotati e il mantenimento di un ambiente inclusivo per tutti, senza creare “ghetti” di eccellenza o di difficoltà, e ribadendo il valore intrinseco della coesione sociale e della diversità come risorsa.

La questione del riconoscimento degli alunni APC

Infine restano da chiarire le modalità operative del riconoscimento e di come vengono monitorati i processi. È auspicabile che ci siano criteri multidisciplinari, ma resta il problema del coordinamento a livello territoriale dei diversi professionisti (personale sanitario, pedagogisti, psicologi). Le risorse finanziarie che verranno messe a disposizione, saranno sufficienti a sostenere nel lungo periodo un sistema così complesso e articolato, che richiede un aggiornamento costante delle competenze e delle pratiche? Dal momento che i genitori possono attivare i processi a livello autonomo, ciò sta anche ad indicare che i costi ricadono sulle famiglie stesse, ma non tutti se lo possono permettere.

In sintesi

In definitiva, il DDL S. 180 non è solo una risposta normativa a un’esigenza pressante, è un manifesto pedagogico che sancisce il diritto di ogni studente, indipendentemente dalle peculiarità cognitive, a un percorso formativo che ne rispetti e valorizzi l’identità. L’investimento sulle potenzialità di ciascun individuo, come sottolineato dal DDL stesso, è un indirizzo strategico delle politiche nazionali. Si tratta di un’opportunità irripetibile per il sistema scolastico italiano di evolversi verso un modello sempre più inclusivo ed equo, capace di coltivare l’eccellenza in tutte le sue forme, riconoscendo che la plusdotazione, lungi dall’essere un puro dono, è una complessa configurazione di abilità che, se non adeguatamente supportata, può trasformarsi in un disagio e in una potenziale dispersione di talenti. La sfida, se il DDL verrà convertito in legge, è nella sua piena e cosciente attuazione nell’affrontare con lucidità e pragmatismo le molteplici criticità.

In sintesi, il DDL sulla Plusdotazione, pur mosso da lodevoli intenzioni di valorizzazione, ci costringe a chiederci se stiamo costruendo una scuola più giusta e inclusiva o se stiamo, forse, senza rendercene conto, aprendo la porta a un nuovo sistema che, sotto la bandiera della differenziazione, rischia di accentuare le disuguaglianze. La luce dell’innovazione può a volte nascondere le ombre di un progetto controverso.


[1] DDL A.S.1041: “Istituzione di un piano sperimentale per favorire l’inserimento e il successo scolastico degli alunni con alto potenziale cognitivo e per la formazione specifica dei docenti”.

[2] Va ricordata la Nota ministeriale n. 562 del 3 aprile 2019 che ha fornito chiarimenti sugli studenti con bisogni educativi speciali (BES), includendo anche quelli con alto potenziale intellettivo (studenti gifted). La nota invita a considerare questi studenti nell’ambito dei BES, riconoscendo la necessità di personalizzazione dell’insegnamento e di valorizzazione dei loro stili di apprendimento. Inoltre, la nota sottolinea come, in presenza di situazioni di disagio, le scuole possano adottare metodologie didattiche specifiche in un’ottica inclusiva, eventualmente formalizzando un Piano Didattico Personalizzato (PDP). 

[3] John W. Gardner, Democrazia e talenti. Possiamo essere uguali e più bravi? Armando Armando, Roma, 1967. John W. Gardner è stato un influente saggista e filantropo che ha scritto ampiamente sui temi della leadership, dell’eccellenza, del rinnovamento sociale e del ruolo delle élite nella democrazia. Non deve essere confuso con Howard Gardner, psicologo e docente statunitense, conosciuto per la sua teoria sulle intelligenze multiple.