Il centenario della nascita di Andrea Camilleri è stato celebrato il 6 settembre 2025, con un ricco programma di eventi e iniziative che si protrarranno per tutto l’anno, promossi dall’Associazione Fondo Andrea Camilleri e dal Comitato Nazionale Camilleri 100. Le celebrazioni includono mostre (come quella a Palazzo Firenze dal 22 ottobre), pubblicazioni di nuove collane editoriali curate da Sellerio con copertine di Lorenzo Mattotti, convegni, spettacoli teatrali e proiezioni, coinvolgendo istituzioni culturali e la rete di relazioni dello scrittore siciliano[1].
Scrivo perché
Andrea Camilleri (1925-2019) è stato un narratore multiforme, ha trascorso la sua vita a scrivere, a inventare storie e personaggi:
- Scrivo perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale.
- Scrivo perché non so fare altro.
- Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti.
- Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato.
- Scrivo perché mi piace raccontarmi storie.
- Scrivo perché mi piace raccontare storie.
- Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra.
- Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.
L’ultimo cantastorie
Ha confessato che gli sarebbe piaciuto mettersi per una volta a fare il cantastorie in piazza, vedere l’effetto che faceva sulla gente che passava per strada e passare con il cappello in mano a raccogliere i frutti delle emozioni che aveva distribuito[2].
In occasione dei suoi 91 anni ha festeggiato il suo centesimo libro, 18 milioni di copie vendute (secondo, dopo Dante Alighieri) e milioni di spettatori per la trasposizione televisiva delle inchieste di Montalbano. L’esplosione come scrittore arriva a quasi 70 anni, un destino ritardato, come lui stesso amava definirlo.
Se quella delle storie del commissario Montalbano, conosciuto, ormai, nel mondo intero, è la sua invenzione letteraria più felice e di successo, merita attenzione anche il cosiddetto “Camilleri minore”, in particolare dei “Segnali di fumo”, delle lettere e del teatro, degli aneddoti e delle memorie, in cui ha narrato spesso episodi della sua vita con toni e registri diversi, in maniera disincantata e sincera[3], passando dalla favola alla cronaca, dalla tragedia alla commedia. Da questo “Camilleri minore” emerge il ritratto di un uomo consapevole di non aver mai avuto un carattere facile, incapace di rimanere zitto quando aveva qualcosa da dire e di non ribellarsi di fronte a ordini e imposizioni ritenuti sbagliati. Incline a irritarsi, sempre curioso, fino alla fine. Ed emerge anche il profilo di Camilleri studente, insegnante e scrittore.
Uno studente “non modello”
Che studente è stato Andrea Camilleri? Non quello che si definisce in genere uno studente modello. Alla scuola elementare, quando era un bambino gracile e malaticcio, per sentirsi alla pari con i compagni decise di partecipare a una delle bande che ingaggiavano battaglie pomeridiane a sassate: questo lo distoglieva dallo svolgimento dei compiti, con conseguenti lamentele dei maestri e punizioni da parte dei genitori.
Fin da piccolo era un appassionato lettore e gli piaceva mettere mano alla libreria ben fornita del padre per scegliere libri per adulti, romanzi importanti come quelli di Conrad, Melville e Simenon.
Al secondo anno del ginnasio per un intero trimestre non mise piede a scuola, preferendo fare lunghe passeggiate e fermarsi a leggere romanzi all’ombra delle colonne della Valle dei Templi. Per lui l’aula era come l’orrenda cella di un carcere. L’intervento con la scolorina sulla pagella piena di non classificabile per troppe assenze gli costò, però, non solo un potente schiaffo da suo padre, ma anche l’esilio presso il Collegio vescovile di Agrigento, da cui trovò comunque, dopo ripetuti tentativi, il modo non proprio ortodosso di farsi espellere.
Malgrado praticasse volentieri l’attività sportiva, riuscì a farsi rimandare in educazione fisica dall’insegnante che aveva accusato di sbagliare verbo, perché ripeteva all’infinito “Scattare, scattare”, mentre avrebbe dovuto dire “schiattare, schiattare”. Rimandato, quindi, a suo parere, per un fatto linguistico.
L’avvio della carriera universitaria fu connotato da un impegno rigoroso e dalla volontà di conseguire il massimo dei voti, per poter diventare “lettore” di italiano presso qualche università straniera; ma anche in questo caso non mancò lo scontro con un insegnante, il docente di Filologia romanza, che non volle premiarne la preparazione accurata, in quanto non aveva frequentato le lezioni: da quel momento in poi l’università finì di interessarmi. La frequentavo, certo, davo gli esami, certo, ma mi bastava il diciotto.
Il suo incubo era quello di trascorrere tutta la vita in Sicilia, facendo il professore di ginnasio o di liceo ad Agrigento. Voleva andarsenedalla Sicilia, purnon avevo nulla da rimproverare alla sua terra, se non che non c’era lo spazio per ciò che gli piaceva, gli incontri culturali, la lettura, certe amicizie.
L’incontro con Orazio Costa: l’importanza dell’ascolto
Giovanissimo scriveva poesie, racconti, atti unici per il teatro e sentiva che in quella direzione doveva muovere i suoi passi. Racconta che a diciannove anni Ungaretti lo volle in una sua antologia prestigiosissima di giovani poeti, che pubblicò con “Lo Specchio” di Mondadori.
La palla da prendere al balzo fu il bando di concorso dell’Accademia di Arte drammatica per una borsa di studio come allievo regista e questa esperienza fu anche una lezione di vita importante per Camilleri. Il suo esaminatore per l’ammissione all’Accademia, Orazio Costa, docente di regia, dopo un’interrogazione presso il tribunale dell’Inquisizione lo congedò con una sentenza che sembrava senza appello: “Sappia che io non condivido nulla di quello che lei ha detto durante il nostro dialogo”. Non solo, invece, venne ammesso, ma Costa divenne per lui il solo e unico maestro, non soltanto di regia, ma di vita, che gli insegnò in primis l’importanza di ascoltare sempre fino in fondo le ragioni degli altri e che non condividerne le idee, quando sono acute e intelligenti, non significa affatto rifiutarle. Orazio Costa prese il mio cervello per quello che era e lo dirottò sul teatro.
Maestro di regia e recitazione
L’esperienza come insegnante fu per lui eccitante e alimentò la sua curiosità per l’altrui modo di pensare. Quando andava a fare lezione ai suoi studenti si sentiva Dracula, perché era come se nelle sue idee e nel suo approccio ai testi venisse iniettato il sangue fresco e diverso della visione di giovani colti, preparati e intelligenti. Un bilancio più che positivo, quindi, di continuo guadagno e arricchimento personale.
Insegnò regia e recitazione per diciassette anni. Il testo teatrale per lui era tutto, proprio come per il maestro Costa, a cui è sempre stato riconoscente per avergli insegnato a leggere, sviscerare, analizzare da tutti i punti di vista e comprendere in profondità i testi.
Essere chiamato Maestro lo irritava, preferiva semplicemente Camilleri. Era molto esigente, ma al contempo molto rispettoso della personalità autonoma dei suoi allievi e pronto a mettere a disposizione la propria esperienza per aiutarli a sviluppare e approfondire le loro idee originali: osservava quanto resistessero quelle idee e, se erano autentiche, contribuiva a proteggerle.
Il suo era un insegnamento di libertà. Per queste sue caratteristiche fu individuato, insieme a Dario Fo, come professore gradito all’assemblea degli studenti del Centro sperimentale di Cinematografia, in rivolta nel Sessantotto.
Le sue lezioni di regia – ricorda Sergio Rubini – erano seguitissime, perché era un affabulatore, un grandissimo narratore, molto amato e a cui veniva riconosciuto un talento incredibile, ma sfortunato perché rimasto a lungo nell’anonimato. Ha incarnato, tuttavia, in prima persona anche la possibilità che apprezzamento, notorietà e successo arrivino tardi, avanti negli anni, o per qualcuno addirittura dopo la morte.
La sua raccomandazione è che chi coltiva il sapere deve seminarlo, come si semina il grano, spenderlo e non tenerlo per sé.
Scrittore dialettale
Confessa nella Lettera a Matilda di essere diventato uno scrittore di successo senza riuscire, però, a spiegarsene le ragioni. La sua scrittura è sempre stata autentica, genuina, senza indulgenze e concessioni al gusto del pubblico.
“Noi siamo ciò che sentiamo e ciò che diciamo, e questo è ancor più vero per i privi di vista”. Lo ribadisce nell’estate del 2018, sul palco del Teatro greco di Siracusa prestando l’eloquio e il corpo a Tiresia, il mitico indovino cieco, protagonista di tante vicende che si intrecciano alle sue. L’atto dello scrivere, prima notturno e poi, con l’avanzare dell’età, diurno, è sempre stato un work in progress caratterizzato da un’originale ricerca linguistica, che mischia dialetto e lingua italiana: il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare.
A casa di Camilleri si parlava un misto di dialetto, non molto stretto, e italiano e il piccolo Andrea stava per ore a ascoltare la nonna Elvira, incantato dal suono del dialetto delle poesie di Giovanni Meli. Gli piaceva anche la storpiatura dell’italiano che facevano i pupari, quando si sforzavano di trovare la parola italiana mettendo in scena la rappresentazione nel teatrino.
Ma la vera scoperta dell’importanza del dialetto non avvenne attraverso il suo siciliano, bensì con Ruzzante e Goldoni, Belli e Porta.
Spesso le parole dialettali riescono a esprimere compiutamente il pensiero dello scrittore (rotondamente, come un sasso). Non è facile trovare l’equivalente nella lingua italiana: Se l’albero è la lingua, i dialetti sono stati nel tempo la linfa di questo albero. Io ho scelto di ingrossare questa vena del mio albero della lingua italiana col dialetto, e penso che la perdita del dialetto sia un danno anche per l’albero.
Anche il ritmo di una frase dialettale – pause e accelerazioni – non ha equivalente nell’italiano e per questo Camilleri si diverte a costruire le frasi dialettali, con l’attenzione di un chimico, che deve ricordarsi le formule e dosare opportunamente le proprie scelte linguistiche per esprimere le cose in tutte le loro sfumature. Un lavoro paziente e anche faticoso, a volte, ma che preferisce associare al suo ideale di leggerezza di un trapezista, sempre sorridente, che dietro il sorriso cela la fatica dell’allenamento.
La lingua è movimento
Scrisse il primo romanzo nel 1968, ma per dieci anni continuò a trovarsi di fronte al rifiuto delle case editrici, motivato sempre così: “Il suo romanzo è impubblicabile a causa del linguaggio”. La tenacia e la fermezza di Camilleri si misurano anche in questa circostanza, perché continuava a fare teatro senza perdersi d’animo, in attesa dell’occasione di pubblicazione del suo romanzo.
La sua speranza e il suo augurio è che in forza del recupero delle tradizioni locali i dialetti non spariscano del tutto, ma sopravvivano come qualcosa DOP, di origine protetta, come accade per alcuni cibi dati per perduti,
L’auspicio è anche più grande, cioè che, grazie al meticciato di lingue degli extracomunitari e dei migranti tutti, la lingua, che è sempre in movimento, possa arricchirsi di parole nuove e diverse, che arrivano da fuori e che possono diventare parole nostre.
Testamento spirituale
Ha saputo reagire alla prova della cecità, che gli ha impedito di leggere e di scrivere, lasciandogli soltanto la possibilità di dettare e imparare a memoria. Come accade ai non vedenti, ha sviluppato il cosiddetto “occhio interiore”, che attesta che quel “non” apre mondi e sviluppa abilità nuove, o ne rafforza di già esistenti, senza rimanere semplicemente una mancanza. Si tratta certamente di un meccanismo di compensazione, ma anche di un nuovo modo di sentire e percepire sé stessi nel mondo. Scrive Camilleri di avere chiari tre apprendimenti acquisiti nella vita.
- Spiega il primo facendo un parallelo tra il lupo e l’uomo: il lupo non è né buono, né cattivo, e azzanna soltanto per fame; l’uomo, invece, è colpevole di azzannare mosso da sentimenti negativi quali l’invidia, la gelosia e la rivalità.
- In secondo luogo sottolinea la positività di nutrire sempre molti dubbi: due più due non fa quasi mai quattro!
- Infine esorta a avere sempre un’idea – o un ideale – e portarla avanti con fermezza, ma senza faziosità, ben disposti all’ascolto delle idee altrui e anche a cambiare, eventualmente, la propria.
Vado a fare la mia parte
Unico rammarico è quello di non avere fatto abbastanza di fronte al profilarsi di un avvenire incerto e oscuro per le nuove generazioni, di essersi lasciato prendere da una sorta di rassegnazione. Invece bisogna avere la forza e la determinazione del colibrì protagonista di un apologo senegalese. Mentre un incendio divora la foresta e il leone fugge, il colibrì fa avanti e indietro per portare poche gocce d’acqua che può contenere il suo becco. Quando il leone gli chiede perché non stia scappando anche lui, il colibrì risponde: “Vado a fare la mia parte!”.
Camilleri non nasconde la sua preoccupazione per il mondo di oggi che sembra andare all’indietro, ma ha al contempo fiducia sconfinata nell’umanità che riuscirà a uscire bene da qualsiasi situazione: “Stiamo educando una gioventù all’odio. Stiamo perdendo la misura, il peso della parola. Le parole sono pietre, possono trasformarsi in pallottole e bisogna pesare ogni parola che si dice per far cessare questo vento dell’odio. Da quando non vedo più, tutto mi è più chiaro, in questo momento storico è una fortuna essere ciechi. Voglio morire con la speranza che si possa vivere in un mondo di pace. Il futuro è nelle mani dei giovani, non disilludetemi!”.
[1] A. Camilleri, La lingua batte dove il dente duole, Editori Laterza, 2013; A. Camilleri, Segnali di fumo, UTET, 2014; A. Camilleri, Ora dimmi di te. Lettera a Matilda, Bompiani, 2018; Camilleri secondo Camilleri, intervista del 2018 e AA.VV., Camilleri secondo Camilleri, Centro Sperimentale di Cinematografia / Edizioni Sabinae, 2018; A. Camilleri, Conversazione su Tiresia, Sellerio Editore, 2019; A. Camilleri, Autodifesa di Caino, Sellerio, 2024; Camilleri sono reportage con documenti inediti e testimonianze esclusive; Camilleri 100 racconto del percorso artistico a cura di un parterre di personaggi illustri; A. Camilleri, Compagno Camilleri. Poesie incivili e altri scritti militanti, MicroMega, 2025; Inseguendo un libro. Camilleri lettor giovane, mostra curata da Mauro Novelli in collaborazione con Fondo Andrea Camilleri, 2025.
[2] L. Croci, Una storia, Salani, 2025.
[3] L. Croci, op. cit.