La potenza della pluriclasse si condensa in una scena. Un bambino di otto anni, quasi un piccolo mentore, guida una compagna più piccola attraverso il “bruco dei numeri”. Muove le tessere colorate con sicurezza, svela il meccanismo dello spostamento delle cifre e inventa un linguaggio fatto di gesti, parole e sorrisi. Intorno, gli altri alunni sono immersi nell’osservazione, sperimentano a loro volta, commentano. L’insegnante non interrompe, ma ascolta, rilancia, annota. È in questo intreccio di voci e di sguardi che la matematica diventa una storia condivisa.
Nel Quaderno n. 7 – Studi 2025[1] della collana I Quaderni delle Piccole Scuole di INDIRE, Laura Parigi e Sara Campana raccontano un’esperienza che si colloca pienamente dentro questa visione: la pluriclasse come laboratorio vivo di cooperazione, un ambiente in cui la complessità si trasforma in risorsa e la matematica diventa linguaggio di crescita condivisa, capace di intrecciare pensiero, relazione e identità .
Una comunità che apprende
Nelle pluriclassi, dove convivono bambini di età diverse, la scuola non può essere scandita da un ritmo uniforme. Ogni giornata è un equilibrio dinamico tra bisogni, tempi e obiettivi differenti. È un ambiente che, a prima vista, può sembrare difficile da gestire, ma che, se osservato con uno sguardo attento, rivela una straordinaria ricchezza di interazioni.
Come sottolinea Laura Parigi, la ricerca internazionale mostra che i risultati di apprendimento nelle pluriclassi non sono inferiori a quelli delle classi monogrado. Al contrario, in molti casi gli esiti cognitivi e relazionali risultano migliori, a patto che il docente scelga strategie basate sulla cooperazione e sull’apprendimento tra pari. Non si tratta, dunque, di “sopravvivere†alla complessità , ma di abitare la differenza come spazio naturale dell’apprendere.
In questo contesto, il ruolo dell’insegnante cambia profondamente: non è più il centro della trasmissione del sapere, ma diventa facilitatore e regista di relazioni cognitive. È colui o colei che sa orchestrare tempi, voci e strumenti, trasformando la diversità dei livelli in occasione di incontro.
L’apprendimento tra pari: una palestra di equitÃ
Al centro del volume di Parigi e Campana c’è una convinzione profonda: gli alunni possono apprendere l’uno dall’altro. Il sapere non è un bene da ricevere, ma un processo da costruire insieme. I riferimenti teorici sono quelli di Vygotskij e Bandura[2], per i quali lo sviluppo cognitivo nasce nella relazione e si alimenta nell’imitazione, nell’interazione, nella condivisione di strategie e linguaggi.
Quando un bambino spiega un concetto a un compagno, esercita la propria zona di sviluppo prossimale: si muove un passo oltre ciò che sa, e, nel farlo, guida anche l’altro in quello stesso cammino. È un apprendimento che non separa chi insegna da chi impara, ma li intreccia in un reciproco movimento di crescita.
Il peer tutoring cross-age – in cui gli alunni più grandi assumono il ruolo di tutor per i più piccoli – diventa così una pratica educativa di straordinario valore. I tutor consolidano il loro sapere, imparano a spiegare, a scegliere le parole giuste; i tutees, dal canto loro, trovano sostegno, fiducia, modelli di riferimento. Si crea un circolo virtuoso che, come mostra Hattie[3], amplifica la motivazione e la comprensione profonda dei concetti.
La matematica come linguaggio condiviso
La matematica, spesso percepita come disciplina astratta e individuale, in questa prospettiva si rivela uno spazio di comunicazione e di costruzione condivisa di senso. Fare matematica insieme significa ragionare a voce alta, confrontare strategie, esplicitare passaggi logici, discutere sugli errori.
Nel contributo di Sara Campana emerge la dimensione più operativa di questa visione. L’insegnante utilizza la mediazione semiotica come chiave di accesso al pensiero matematico: gli artefatti, i segni, le parole diventano ponti tra l’esperienza concreta e la rappresentazione astratta.
Il percorso si articola in tappe: prima si esplora un materiale, poi si produce una rappresentazione personale – un disegno, una frase, un gesto – quindi si discute collettivamente, e infine si rielabora la scoperta. È un ciclo che accompagna gli alunni dal fare al pensare, dalla manipolazione all’argomentazione. In questo processo, l’insegnante non spiega, ma orchestra: osserva, guida, rilancia, sostiene la conversazione matematica.
Come scrive Campana, “fare matematica insieme significa costruire la propria identità di apprendenti, nel dialogo continuo tra il sapere e il saper essereâ€.
Il bruco dei numeri: un’esperienza di crescita reciproca
Tra le esperienze raccontate nel Quaderno, quella del bruco dei numeri, tratta dal progetto “PerContareâ€, è diventata emblematica. In una pluriclasse seconda-terza, i bambini manipolano un bruco costruito con cerchi colorati che rappresentano le cifre: muovendoli e scambiandoli, scoprono il valore posizionale.
I più grandi guidano i piccoli nella scoperta delle regole, ma, nel farlo, si accorgono di dover riorganizzare le proprie conoscenze. Le parole, i gesti, i disegni diventano strumenti per pensare insieme. Durante la discussione, le idee si moltiplicano: qualcuno spiega che “se il tre si sposta, cambia il numeroâ€, un altro ribatte che “dipende dove vaâ€, e l’insegnante accoglie, rilancia, chiede di mostrare.
È in questa coralità che si manifesta il valore del lavoro cooperativo: la matematica nasce dal dialogo. Gli errori non sono fallimenti, ma momenti di consapevolezza; le intuizioni personali diventano patrimonio del gruppo. Alla fine, ogni bambino ha imparato qualcosa di nuovo — non solo sui numeri, ma su di sé e sul modo in cui apprende.
Documentare per dare forma al pensiero
Un aspetto trasversale dell’esperienza è la documentazione didattica, che Parigi e Campana considerano parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento. Annotare le conversazioni, raccogliere disegni, fotografie e riflessioni non serve solo a conservare una traccia, ma diventa uno strumento di pensiero.
Per l’insegnante, documentare significa poter osservare a posteriori il percorso compiuto, riconoscere progressi e difficoltà , riprogettare con maggiore consapevolezza. È ciò che Wiggins e McTighe[4] definiscono “progettazione a ritrosoâ€: partire dagli obiettivi formativi, osservare il processo e ripensare la pratica.
Per i bambini, invece, rivedere la documentazione è un modo per dare un’identità agli apprendenti. Guardare ciò che si è fatto, rileggere le proprie parole, rivedere un disegno o una foto di gruppo significa scoprire che il sapere non è qualcosa che arriva dall’alto, ma che si costruisce nel tempo, passo dopo passo, con gli altri.
Una prospettiva orientativa sull’apprendimento
Sebbene nel testo di Parigi e Campana non compaia mai in modo esplicito la parola orientamento, l’intera prospettiva che vi si delinea è fortemente orientativa nel senso più autentico del termine. Ogni attività cooperativa, ogni momento di riflessione condivisa, ogni discussione sugli errori diventa occasione per sviluppare consapevolezza di sé come soggetto che apprende. È in questi momenti che i bambini imparano non solo contenuti matematici, ma apprendono come apprendono, esercitando quella metacognizione che rappresenta il cuore dell’orientamento permanente.
Quando un bambino spiega un concetto a un compagno, non compie soltanto un gesto di aiuto: sta costruendo una rappresentazione di sé come persona competente, capace di comunicare, di farsi comprendere, di sostenere il pensiero altrui. Allo stesso tempo, chi ascolta e pone domande esercita l’attenzione, la curiosità e la fiducia nel proprio diritto di comprendere. In questa reciprocità si genera una forma di orientamento reciproco, dove ciascuno si riconosce come parte di una comunità di apprendimento e come soggetto in cammino.
Il lavoro cooperativo e la riflessione condivisa, infatti, aiutano a trasformare la conoscenza in esperienza personale. L’alunno non si limita a riprodurre procedure, ma inizia a leggere il proprio modo di ragionare, a riconoscere le strategie che gli risultano più efficaci, a capire dove e come può migliorare. È questo movimento riflessivo che, come sottolineano le ricerche sull’orientamento formativo, favorisce l’emergere di competenze trasversali quali autoefficacia, autonomia e responsabilità .
In una pluriclasse, questa dimensione è ancora più evidente: i ruoli cambiano continuamente — chi spiega oggi, domani ascolta; chi chiede ora, tra poco risponde. Questo alternarsi di posizioni consente a ciascun bambino di sperimentare sé stesso in modi diversi e di costruire un’immagine di sé come soggetto capace di apprendere e di contribuire. È un processo di orientamento precoce e naturale, che nasce dal vivere la scuola come luogo di relazione e non di mera prestazione.
In questo senso, la matematica diventa un laboratorio di identità cognitiva e relazionale. Il problema matematico non è solo una sfida logica, ma un terreno su cui si esercitano capacità di pensiero, perseveranza, argomentazione, ascolto e collaborazione. Fare matematica insieme significa imparare a orientarsi non solo tra numeri e simboli, ma nel pensiero, nel linguaggio e nelle relazioni.
Ogni discussione, ogni errore accolto e reinterpretato, ogni intuizione condivisa aiuta i bambini a capire qualcosa di più non solo sul mondo, ma su sé stessi: su come ragionano, su cosa li motiva, su cosa li mette in difficoltà e su come possono affrontarlo. La matematica, così, perde il volto rigido del “giusto o sbagliato†e diventa un campo di esplorazione dell’identità cognitiva, dove il pensare insieme diventa anche un modo per conoscersi, riconoscere l’altro e costruire la propria direzione di crescita.
Abitare la complessitÃ
L’esperienza di Campana e Parigi ci invita a guardare la pluriclasse con occhi nuovi. Non come un contesto “di emergenzaâ€, ma come un laboratorio privilegiato di innovazione pedagogica, dove la complessità si trasforma in risorsa.
Attraverso la cooperazione tra pari, la mediazione semiotica e la documentazione riflessiva, la matematica diventa un linguaggio per costruire ponti tra esperienze, per scoprire il piacere di pensare insieme, per trasformare la differenza in valore.
In questo senso, la pluriclasse è anche un laboratorio di orientamento precoce e naturale, dove si impara a imparare e si cresce nel rapporto con il sapere e con gli altri. Come scrive Parigi, “la complessità della pluriclasse non va semplificata, ma abitata: è lì che si imparano le competenze più durature, quelle che riguardano il modo di stare nel mondoâ€.
[1] L. Campana S. Parigi L. (2025), Insegnare e apprendere la matematica in pluriclasse. L’apprendimento tra pari come risorsa per una didattica nelle classi eterogenee. I Quaderni delle Piccole Scuole, INDIRE.
[2] Bandura A. (2000), Autoefficacia. Teoria e applicazioni, Erickson.
[3] Hattie J. (2012), Apprendimento visibile, insegnamento efficace, Erickson, Parigi.
[4] Vygotskij L. S, (1934/1990), Pensiero e linguaggio, Laterza.