Secondo il Rapporto ISTAT 2025, presentato il 21 maggio scorso, il tasso di abbandono scolastico precoce, ovvero la quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che lasciano il sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un titolo secondario superiore, nell’anno 2024 si attesta al 9,8%, con inquietanti divari territoriali:
- Sud: il tasso di abbandono raggiunge il 14,6% (con picchi ancora più alti in alcune regioni, come la Sicilia al 17,1% e alcune province della Campania con picchi del 21%);
- Nord: 8,5%;
- Centro: 7,0%.
Oltre ai divari territoriali, l’abbandono scolastico precoce è determinato anche dal livello di istruzione dei genitori (abbandona gli studi quasi un quarto, 22,8% dei giovani 18-24enni con genitori con al massimo la licenza media) e dalla cittadinanza (il tasso di abbandono precoce degli studi dei giovani con cittadinanza straniera è tre volte quello degli italiani: 26,9% contro 9,0%). Questo ci induce a pensare quanto sia importante che gli studenti siano accompagnati nelle scelte a partire dai primi anni di vita.
Early career education
La early career education, cioè quell’approccio educativo che mira a fornire orientamento e formazione professionale fin dalle prime fasi del percorso scolastico, è sicuramente un potente mezzo di prevenzione della dispersione scolastica. Nonostante i progressi registrati, oggi è veramente importante ripensare la funzione dell’orientamento, in un’ottica educativa. L’orientamento precoce non comporta solo attività di tipo informativo allo scopo di guidare le scelte dei giovani nel campo dell’istruzione e del lavoro; è di fatto un percorso formativo di apprendimento per assicurare la formazione continua di un cittadino informato e competente. Si configura, quindi, come il processo di accompagnamento integrato al curricolo finalizzato allo sviluppo della propria carriera personale e professionale.
La early career education assume una funzione preventiva poiché permette da un lato di prestare costante attenzione al soggetto in apprendimento, dall’altro, di mettere a fuoco il ruolo dei processi educativi intenzionali per lo sviluppo delle capacità. Si parla spesso di “career management skills”, cioè di competenze di gestione della carriera, un insieme di conoscenze, abilità e attitudini che permettono a un individuo di gestire attivamente il proprio percorso di apprendimento e la propria vita lavorativa, in qualsiasi età o fase di sviluppo.
Un’adeguata azione orientativa dovrebbe, quindi, caratterizzare tutte le attività che, fin dall’infanzia, aiutano il bambino a scoprire interessi e capacità, utili a gestire al meglio il proprio percorso personale (Vuorinen e Watts 2012[1]).
L’importanza dell’avvio precoce viene ribadito a livello europeo anche nelle Linee Guida del 2015 “Guidelines for Policies and Systems Development for Lifelong Guidance[2]”. In uno specifico tool “Designing and Implementing Policies Related to Career Management Skills” (CMS)[3] si enfatizza l’importanza del coinvolgimento delle famiglie e delle comunità.
Attualmente il tema dell’orientamento in Europa si presenta alquanto variegato per una differenziata inclusione nei curricula scolastici e una diversa formazione degli insegnanti. In Italia l’orientamento è ancora realizzato attraverso progetti e attività circoscritte, strutturato soprattutto in un’ottica informativa, a volte ancora in maniera sporadica e frammentata.
Quale orientamento serve davvero
Lo storico, saggista e filosofo israeliano, Yuval Noah Harari, nel 2018 ha scritto: “per rimanere al passo con il mondo del 2050, avrete bisogno non solo di inventarvi idee e prodotti ma anche, e soprattutto, di reinventare continuamente voi stessi”[4]. Ciò significa che non possiamo più permetterci il lusso di vedere l’orientamento come un intervento legato solo alle scelte scolastiche e lavorative; bisogna pensare a un orientamento costante, lungo l’intero arco della vita, per costruire dei futuri possibili. Oggi, nel mondo “incerto e fluido” in cui viviamo, se il sapere e il saper fare non sono funzionali al saper essere, cioè ad un miglioramento della propria esistenza in senso qualitativo, l’orientamento scolastico può diventare un semplice “ornamento” della mente che non incide sulla crescita. Non solo: ogni cambiamento sul piano comportamentale deve anche fare i conti con il contesto storico-sociale perché la difficoltà odierna più evidente è la capacità di convivere e coniugare i vari punti di vista presenti nell’ambito sociale. Saper essere e saper convivere sono perciò gli elementi dinamici della nuova idea di educazione che caratterizza il nostro tempo. O ciascuno di noi scopre precocemente il senso e la direzione del proprio esistere e la capacità di convivere con il pluralismo delle culture, delle mentalità, delle fedi, delle economie, oppure finirà con il sentirsi emarginato e disadattato rispetto alle dinamiche sociali.
Un conto è possedere una cultura tradizionale, articolata nei vari saperi disciplinari, un altro è saperla spendere nei nuovi contesti di vita. Il cambiamento induce sempre disagio. Per contrastarlo servono creatività, flessibilità, capacità di adattamento, ma anche la consapevolezza che le proprie competenze possono essere potenziate e modificate dalle esperienze.
L’orientamento che conosciamo
La normativa nel nostro Paese è stata sempre piuttosto cospicua a partire dagli anni Novanta. Nella stessa fase storica ci sono state anche interessanti sperimentazioni come, per esempio, il progetto “ORME” (dicembre 1997), rivolto alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria, che proponeva una serie di attività formative volte a consegnare ai piccoli utenti delle scuole gli strumenti necessari per orientarsi in una realtà complessa. Qui l’orientamento veniva inteso come attività che accompagna tutto il percorso scolastico in un processo formativo di carattere unitario. Successivamente la legge n. 53/2003 riconosceva tra le più alte finalità della scuola quella di orientare le nuove generazioni ad operare scelte congruenti con le identità e i bisogni dell’allievo in vista della realizzazione del suo personale “Progetto di Vita”. Negli ultimi decenni ha avuto un grande sviluppo anche la riflessione su alcune figure particolarmente importanti per aiutare gli studenti a scegliere la loro strada, ci riferiamo alle figure di tutor, di mentor, di coach, di counselor, più in generale di “orientatore”.
L’attuale normativa è definita dalle Linee Guida per l’Orientamento del MIM, veicolate dal DM n. 328 del 22 dicembre 2022 e dalla Circolare n. 958 del 5 aprile 2023: “Avvio delle iniziative propedeutiche all’attuazione delle linee guida sull’orientamento”. A dire il vero le novità introdotte dalle norme più recenti non sono in contrasto con le indicazioni del passato. Nelle attuali Linee Guida si legge, per esempio, che “l’orientamento inizia fin dalla Scuola dell’Infanzia e Primaria come sostegno allo sviluppo della fiducia, dell’autostima, dell’impegno, contribuendo anche al superamento delle difficoltà presenti nel percorso di apprendimento”. Anche se la normativa riconosce che l’orientamento deve essere iniziato in età precoce, di fatto, però, le maggiori attività si concentrano nella scuola secondaria.
Le nuove figure e l’enfasi sui talenti
Per intercettare i bisogni dei giovani e per aiutarli a costruire scenari per il proprio futuro, la novità più rilevante sul tema è l’introduzione delle figure del docente orientatore e del docente tutor di classe. Le azioni costanti di queste figure dovrebbero evitare che l’orientamento diventi un intervento sporadico legato solo alle scelte al termine del percorso di studi. Dovrebbero invece favorire una riflessione costante degli studenti su loro stessi, aiutare ad intercettare gli snodi biografici, a progettare percorsi e a fare scelte. L’orientamento negli anni a venire costituirà sicuramente una priorità nella formazione dei docenti di ogni ordine e grado.
Al centro dell’attuale riforma c’è un’enfasi sui “talenti” e sulla scuola che ha la precisa responsabilità di farli emergere allenando gli studenti a riconoscerli e a coltivarli. Il “talento” è inteso come una predisposizione innata verso una particolare attività. Il Ministro Valditara, nel suo libro “La scuola dei talenti”[5], scrive infatti così: “Sono profondamente convinto che ogni giovane è come una lucerna ricca di olio che attende solo il fuoco per accendersi. E la scuola costituzionale, la scuola dei talenti, deve essere il fuoco”. Su questa posizione si sono sollevate molte voci critiche tra cui quella di Enrico Galiano, docente e scrittore, che sostiene, invece, che “la scuola non dovrebbe concentrarsi sullo scovare talenti, ma sull’aiutare i ragazzi a scoprire chi sono e cosa vogliono fare”. E aggiunge che “la scuola deve puntare al benessere e alla realizzazione degli studenti, non limitarsi al loro successo lavorativo”[6].
Orientamento e talenti
Orientare ed orientarsi significa saper costruire processi decisionali capaci di indirizzare la propria esistenza. Orientare è educare alla libertà di gestire sé stessi e il proprio avvenire. Ma l’orientamento è al tempo stesso una strategia e un metodo. Per poter impostare una corretta metodologia sono necessarie tre condizioni: il protagonismo degli alunni; la collegialità; l’efficacia operativa.
Sono le condizioni preliminari per imparare a fare da sé e sono i presupposti di base delle più efficaci metodologie volte alla valorizzazione delle risorse di ogni allievo.
L’orientamento è dunque un processo formativo che deve nascere da un progetto, che ha bisogno di strategie di empowerment per aumentare il protagonismo e la decisionalità, ed è finalizzato al benessere dei giovani.
Chi orienta, per fare emergere veramente i “talenti” di ciascuno, deve considerare che insieme ai “talenti”, ci sono tanti altri aspetti che non sono solo sfumature semantiche. Ci riferiamo a quelle parole che attengono alla costruzione dei saperi e allo sviluppo delle diverse forme di intelligenza. Parliamo di:
- attitudine, un termine generico per indicare la disposizione di una persona a fare una determinata attività;
- sensibilità, cioè la prontezza con cui una persona percepisce la situazione in cui si trova;
- inclinazione per indicare la predisposizione naturale verso una determinata disciplina;
- disposizione come inclinazione ad agire;
- predisposizione come propensione innata;
- conoscenza come il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento;
- abilità come capacità di applicare le conoscenze;
- capacità, intesa come quella particolare qualità (potenziale o reale)che permette di eseguire bene un compito;
- competenza intesa come capacità di fronteggiare in modo efficace una richiesta o un compito complesso;
- potenzialità come qualità che può diventare competenza;
- potenziale come insieme di capacità, talenti e attitudini che potrebbero essere sviluppati o realizzati.
Maria Renata Zanchin, in un libro del 2002, ci ricorda che in ogni persona è sempre presente almeno un talento, inteso non come un’eccellenza ma come una capacità da sviluppare, proprio come una moneta d’oro che si tiene in tasca in attesa di spenderla. “Il talento è presente in ogni persona, anche nell’alunno difficile, se solo si apre il ventaglio del possibile e dell’insegnabile a tutte le discipline, riconoscendo loro pari dignità ed esplorando ciascuna nell’intera sua mappa, alla ricerca dei nodi più formativi e di quelli capaci di sollecitare e di dare soddisfazione alle intelligenze di allievi diversi”[7].
Come possiamo aiutare a “far fiorire i talenti”?
Anche oggi, in linea con il passato, si parla di didattica orientativa. È quell’approccio che, partendo dalle esperienze dei ragazzi, li rende protagonisti. È finalizzata a costruire conoscenze e competenze per conoscere sé stessi, gli altri e il mondo. La riflessione su sé stessi e sulle esperienze abitua i giovani a porsi delle domande anche scomode.
La didattica laboratoriale è la “conditio sine qua non” per promuovere efficaci momenti formativi, perché sposta il focus dall’apprendimento teorico a un apprendimento attivo, esperienziale e pratico offrendo numerosi benefici che favoriscono una scelta più consapevole del proprio percorso di studi e professionale.
Ma oggi non possiamo riconoscere l’importanza del docente tutor e del docente orientatore che possono costituire uno snodo strategico anche al fine di ridurre ed eliminare i tassi di abbandono scolastico, proprio come è previsto anche dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). È indispensabile che queste figure mettano in gioco la loro capacità empatica nel dialogo con gli studenti e nel coinvolgere i genitori nel processo educativo.
Oltre alle famiglie ci sono anche le risorse del territorio: entrambi possono avere un ruolo chiave nell’orientamento degli studenti.
Lo strumento principe alla base di questa impresa è il dialogo e l’esercizio della cura; è la pazienza, dell’attesa e la tenerezza dell’ascolto; è l’attenzione costante verso l’altro e la disponibilità a capire. Un’immagine che potrebbe sintetizzare queste “disposizioni” psicologiche ci viene dal testo di Saint Exupéry, “Il piccolo principe”, nel capitolo in cui la volpe addestra il piccolo ometto venuto da lontano alla relazione: occorre prepararsi, predisporre il proprio cuore e la propria mente ad accogliere l’altro e bisogna farlo dando armonia agli incontri con cadenze e ritmi, rispettando le zone segrete dell’altro.
Alcuni problemi aperti
Nella realizzazione di programmi early career education i docenti sono tenuti ad approfondire e sperimentare pratiche didattiche nuove, individuare strategie, metodi, tecniche e strumenti educativi coerenti e volti allo sviluppo della capacità dei giovani di mettere in relazione la conoscenza di sé, delle proprie capacità e interessi, con la conoscenza delle discipline e la conoscenza del mondo del lavoro e della società più in generale. Insomma, non ci si improvvisa orientatori dall’oggi al domani e, data la delicatezza e la gravosa responsabilità che connotano tale ruolo, serve una formazione seria, permanente e strutturale con la messa in campo di formatori qualificati e accreditati.
Restano sul tappeto alcuni problemi: abbiamo le risorse sufficienti per compensare chi si prende l’onere e l’onore di aiutare i giovani a costruire scenari generativi per il proprio futuro? Come riusciamo a garantire la continuità e la sistematicità alle azioni di orientamento? Non si corre il rischio che la delega alle figure di tutor e docente orientatore possa indurre a pensare che sia solo loro il carico della funzione orientativa della scuola?
[1] Vuorinen R., & Watts A. G. (2012), European lifelong guidance policies: Progress report 2011-12: A report on the work of the European Lifelong Guidance Policy Network 2011-12, University of Jyväskylä.
[2] Le “Guidelines for Policies and Systems Development for Lifelong Guidance” del 2015 sono un insieme di linee guida e punti di riferimentosviluppati dall’European Lifelong Guidance Policy Network (ELGPN). L’obiettivo principale di queste linee guida è migliorare la qualità e l’efficacia dell’esperienza di apprendimento e di orientamento professionaleper i cittadini dell’UE, nonché rafforzare la professionalità dei servizi e degli strumenti di orientamento.
[3] ELGPN Tools no. 4. European lifelong guidance policy network, “Designing and Implementing Policies Related to Career Management Skills” (CMS)”.
[4] Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, 2018.
[5] G. Valditara, La scuola dei talenti, Piemme, 2024.
[6] Contro “la scuola dei talenti”: Enrico Galiano sul libro del ministro Valditara.
[7] M.R. Zanchin, I processi di apprendimento nella scuola dell’autonomia. Analisi disciplinare e personalizzazione dei talenti, Armando, 2002.