La bozza rivista delle Indicazioni 2025

Un primo sguardo

Ci sono alcuni miglioramenti (non da poco) in un impianto che resta fortemente centralistico e ideologico. La povera Geografia è sottomessa alla Storia…

Non solo limature

Sono passati pochissimi giorni dalla pubblicazione della seconda bozza delle Indicazioni nazionali e quindi quello che si può fare è abbozzare un primo sguardo al nuovo testo a partire da un confronto sintetico dei due documenti per dare una prima risposta alla domanda: “in cosa differiscono le due bozze? Si è trattato di una revisione leggera o di un rimaneggiamento energico? E, infine, se emerge un cambiamento significativo del testo: la Commissione ha agito più sul quanto o sul cosa? Sull’impostazione o sui dettagli?â€.

Rispondiamo con una serie di osservazioni e alcuni primi commenti rimandando un’analisi più approfondita del testo a quando sarà stato esaminato con la dovuta cura.

I cambiamenti importanti e positivi

Il testo passa da 153 a 100 pagine: 53 pagine in meno, pari a una riduzione del 35%. Decisamente molto. È un’ottima notizia, anche a parità di contenuti e di criticità del testo.

Sono stati eliminati interamente tutti i box di suggerimenti: sia gli “esempi di moduli interdisciplinariâ€, sia i “suggerimenti metodologiciâ€, sia le cosiddette “possibili ibridazioni tecnologicheâ€. Anche questa è una buona notizia. Più importante di un generico snellimento del testo. Erano argomenti del tutto incongrui rispetto allo scopo del documento che potevano forzare verso una metodologia di Stato, risultando intrusivi e svilenti dell’autonomia scolastica e dei docenti.

Sono stati spostati in blocco gli obiettivi generali dalle singole discipline per andare a creare un nuovo capitolo dal titolo “Obiettivi generali del processo formativoâ€, collocato subito dopo il capitolo “Profilo dello studenteâ€. Anche questo è un cambiamento positivo, più rispettoso della legge[1] che assegna al Ministro il compito di definire gli “obiettivi generali del processo formativo†e non delle singole discipline.

Le criticità che restano e, in qualche caso, aumentano

Accanto a questi importanti miglioramenti restano alcune criticità che, evidentemente, non sono state ritenute tali dalla Commissione e sulle quali vedremo il parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che si esprimerà sul merito, e del Consiglio di Stato, che ne vaglierà la compatibilità giuridica. Ne elenco le principali.

  1. L’impostazione resta fortemente centralistica, contenutistica, frammentata. Questo taglio traspare chiaramente dal mantenimento, per ogni disciplina, di un elenco di conoscenze spezzettate spesso in micro-conoscenze.
  2. La dimensione dell’inclusione è trattata in modo regressivo, basata sulla personalizzazione dell’azione didattica senza riferimento ad una presa in carico di sistema delle condizioni ambientali e culturali che fanno permanere o accentuare la difficoltà del singolo, sia esso disabile, straniero o semplicemente con difficoltà identitarie o sociali di qualsiasi genere.
  3. Non si è voluto concedere nulla sulla storia che resta marcata da un’impostazione ideologica secondo la quale la storia serve per rafforzare il senso di appartenenza alla comunità nazionale.
  4. La contraddizione tra geografia e storia è stata risolta piegando la geografia alle finalità ideologiche della storia. A questo proposito si riporta di seguito l’incipit della sezione dedicata alla geografia nelle due versioni.
1ª Bozza (11 marzo 2025)2ª Bozza (11 giugno 2025)
PERCHÉ SI STUDIA LA GEOGRAFIA Dopo aver concorso in passato a “fare gli italianiâ€, la geografia ha oggi il compito di allargare lo sguardo sul mondo, per abbracciare l’idea di essere parte di relazioni e legami a più scale, da quella locale a quella planetaria. Dallo spazio vissuto del proprio quartiere o comune, così come dal punto di vista di chi vive in Italia, attraverso la geografia si arriva a collocare la propria vita a scale diverse, come parte di relazioni e di flussi a scala europea e planetaria: una comprensione della complessità del sistema-mondo che comporta la scoperta della bellezza naturale e del valore culturale del pianeta ma anche la responsabilità di rispettare, gestire e curare l’ambiente e i luoghi in modo sostenibile.PERCHÉ SI STUDIA LA GEOGRAFIA La geografia intende contribuire alla costruzione della identità del cittadino formando persone autonome e capaci di vivere nella realtà, sviluppando conoscenze di geografia fisica, politica, umana, ed economica nelle diverse scale geografiche: spazi vissuti, comuni, regioni, Italia, Europa e mondo. Non si può essere, infatti, cittadini consapevoli se non si sa collocare appropriatamente i luoghi della propria identità, a scala locale e globale, nello spazio fisico e sociale, a cominciare dal proprio comune, regione e dai principali riferimenti geografici dell’Italia e dell’Europa.
  1. Resta l’inquadramento anomalo delle discipline scientifiche nell’ambito delle cosiddette STEM marcando determinate affinità (tra matematica e tecnologia ad esempio) a discapito di altre (tra tecnologia e geografia ad esempio).
  2. Resta infine un approccio accademico e elitario alla musica come giustamente segnalato da Giuseppe Fusacchia su queste stesse pagine[2].

L’imbroglio del “ritorno alle conoscenzeâ€

Tra le infinite questioni che andrebbero approfondite è utile spendere qualche parola in più sulla cosiddetta “questione delle conoscenzeâ€, cioè sul fatto che nelle Indicazioni nazionali sia necessario, opportuno, doveroso, inserire specifici elenchi di conoscenze.

Purtroppo su questo aspetto il dibattito pubblico si è svolto a un livello molto banale, come se da una parte ci fossero i fautori delle conoscenze (difesi dal Ministro Valditara e dalla stessa Commissione) e dall’altra i detrattori delle conoscenze, fautori, a loro volta, di una scuola dell’improvvisazione, poco rispettosa della tradizione scolastica italiana (impostata da Giovanni Gentile) per lo più “ex sessantottini†e responsabili di un supposto degrado della scuola.

Su questa disputa c’è, a nostro parere, un’enorme distorsione che nasconde i termini effettivi della questione. Il punto non è “conoscenze sì, conoscenze no†ma quello di definire a quale livello di profondità e di essenzialità vadano definite le conoscenze “irrinunciabiliâ€, che sono esattamente quelle che dovrebbero essere presenti nelle Indicazioni nazionali[3].

Facciamo solo due esempi. Se si elencano classe per classe, come nel caso della storia, gli argomenti da trattare: Bibbia, Iliade, Odissea, Eneide (I e II anno primaria) e poi: Mario e Silla, da Ottaviano a Costantino (V anno primaria), ecc. stiamo, di fatto, spingendo nella direzione di un elenco di cose da sapere “a prescindereâ€, come direbbe Totò, rispetto a un insegnamento, necessariamente più libero e responsabile, nel quale gli specifici argomenti e i testi sono scelti esclusivamente sulla base della loro coerenza ed efficacia per far conseguire agli alunni gli obiettivi generali e specifici, quelli sì, previsti nelle Indicazioni nazionali.

Altro esempio: le scienze. Se prendiamo in considerazione l’elenco delle conoscenze di fisica per la scuola primaria in questa seconda bozza delle Indicazioni (moti e oscillazioni; gravità: peso e massa; densità: galleggiamento; pressione: proprietà dell’aria; calore e temperatura: equilibrio termico; forza ed energia; suoni: vibrazioni, propagazione delle vibrazioni, e loro percezione come suoni; luce: propagazione rettilinea, riflessione, diffusione, rifrazione, meccanismo della visione, colori; fenomeni elettrici e magnetici) ci accorgiamo che non è altro che l’indice di un manuale di fisica per le scuole superiori. Se gli insegnanti vi si atterranno dovranno per forza trattare questi argomenti in modo frettoloso e puramente nominalistico (“si definisce forza…â€) a discapito di un percorso che prenda in carico il livello di comprensione accessibile a quell’età e le opportunità offerte dal contesto.

Queste criticità avrebbero potuto essere risolte formulando non un elenco di conoscenze atomizzate quanto, semmai, alcuni nuclei essenziali del sapere disciplinare lasciando alle scuole e agli insegnanti il compito di svilupparli nei modi più opportuni.


[1] DPR 8 marzo 1999, n. 275. L’articolo 8 del DPR n. 275/1999 riguarda la definizione dei curricoli e l’autonomia delle istituzioni scolastiche nella loro definizione. Nello specifico, stabilisce che il Ministero dell’Istruzione, di concerto con altri organi, definisce gli obiettivi generali, specifici e gli standard relativi alla qualità del servizio, mentre le scuole, nel Piano dell’Offerta Formativa (POF), determinano il curricolo obbligatorio per i propri alunni, integrando la quota nazionale con quella definita a livello locale. 

[2] Cfr. G. Fusacchia, “Quale curricolo musicale nelle Indicazioni 2025â€, in Scuola7-429.

[3] Ad un livello più approfondito si potrebbe anche sostenere che le conoscenze, tradizionalmente intese – tipo “gli etruschiâ€, “le capitali d’Europaâ€, “l’area del trapezio†o “i cinque sensi†– non debbano affatto essere presenti nelle Indicazioni nazionali perché sono implicite nello sviluppo degli obiettivi generali e degli obiettivi specifici di apprendimento e, quindi, la scelta di queste o quelle conoscenze, riguarda il curricolo delle scuole e la programmazione didattica dei docenti.