Più volte è stato affrontato il tema della crescente diffusione delle diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) in Italia soprattutto nelle regioni del Nord[1] e dell’aumento significativo di certificazioni negli ultimi anni. Questa tendenza ha sollevato preoccupazioni tra esperti come Daniele Novara, che vede un eccesso di diagnosi legato a interessi economici e al rischio di etichettare i bambini, limitando il loro sviluppo scolastico.
Il tempo e la cura
Alessandra Condito, nel suo libro “Il tempo e la curaâ€[2], critica il sistema scolastico per aver perso di vista l’importanza del tempo disteso in educazione, schiacciato dalla pressione di diagnosi e certificazioni. Invita a una riflessione più pedagogica, promuovendo un approccio più attento ai tempi di apprendimento e alla crescita individuale degli alunni, al fine di invertire una tendenza che danneggia la scuola.
Il libro è stato ripubblicato recentemente (giugno 2025) in una nuova edizione, arricchita da nuovi contributi:
- una prefazione e un saggio introduttivo in cui Daniele Novara sostiene la tesi che “scambiare l’immaturità infantile, che è fisiologica e imprescindibile, con un disturbo neuropsichiatrico è quanto meno un azzardoâ€;
- una postfazione della scrivente;
- un nuovo capitolo autobiografico in cui Condito racconta la cosiddetta “fissa della culturaâ€, che ha caratterizzato i suoi genitori e la gran parte dei genitori degli anni Sessanta-Settanta, spesso privati del privilegio di studiare e animati dall’ambizione di offrire ad ogni costo questa opportunità ai propri figli.
Ondata di diagnosi senza precedenti
A partire dal 2010, grazie alla legge 170 dell’8 novembre 2010, la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia sono riconosciute come disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Il numero delle diagnosi degli studenti con DSA ha visto nel corso del tempo un costante e progressivo incremento, dal momento che proprio a seguito dell’emanazione della Legge 170/2010, è salita la consapevolezza riguardo a tale fenomeno: le certificazioni sono passate dallo 0,9% dell’anno scolastico 2010/2011 al 6% dell’anno scolastico 2022-2024, fino a toccare percentuali che si avvicinano al 7,0% nella scuola secondaria di secondo grado[3].
Negli ultimi anni – come documenta l’ultimo Report sugli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento in Italia[4] a cura del Ministero dell’Istruzione, aggiornato agli anni scolastici 2021/2022 e 2022/2023 – i dati confermano la dinamica di consistente crescita, già in atto da anni, del numero di alunni con disturbi di apprendimento frequentanti il nostro sistema di istruzione. Le certificazioni sono state rilasciate più frequentemente nelle regioni del Nord Ovest (7,9%), mentre permane un significativo divario di capacità diagnostica e di individuazione precoce, molto più bassa al Sud (2,8%).
In termini di composizione percentuale, i disturbi più diagnosticati sono quelli di dislessia, pari al 30,6% del totale, seguiti dai disturbi di disortografia con il 23,0% e dai disturbi di discalculia e di disgrafia, rispettivamente con il 21,5% e il 19,5% del totale.
Crescono sempre di più anche gli studenti universitari con dislessia e altri disturbi specifici di apprendimento, segno di un trend che non si arresta: nel 2022-2023 sono risultati quasi ventimila i casi, con un aumento del 22 per cento rispetto all’anno accademico precedente. Il fenomeno riguarda con ogni evidenza l’intero ciclo di studi
Alunni a rischio DSA
Per gli alunni frequentanti la scuola dell’infanzia e i primi due anni della scuola primaria, a seguito di test specifici effettuati presso strutture sanitarie, vengono individuati probabili disturbi di apprendimento che tuttavia non possono essere considerati ancora come diagnosi DSA. Nelle Rilevazioni (dati generali) le istituzioni scolastiche, oltre a trasmette dati relativi ad alunni a cui è stato effettivamente diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento, inviano informazioni riguardo a tali pre-diagnosi. Per l’a.s.2021/2022 si tratta complessivamente di 5.930 alunni, corrispondenti allo 0,26%, e per l’a.s. 2022/2023 di 6.468, pari allo 0,29%, del numero complessivo di alunni frequentanti la scuola dell’infanzia e i primi due anni di scuola primaria[5].
Rischiamo sempre di più di assistere a una proliferazione di segnalazioni ingiustificate e sproporzionate, che finirebbero per oscurare l’importanza della clinica e della diagnostica in ambito formativo?
Una stagione di eccesso di diagnostica
Di una stagione di eccesso di diagnostica neuropsichiatrica in Italia parla da tempo lo psicopedagogista Daniele Novara, secondo il quale stiamo bollando le nuove generazioni con mille sigle indicative di altrettanti malesseri neuropsichiatrici, che, nella maggior parte dei casi, di neuropsichiatrico hanno poco o nulla e si profila il pericolo di creare un danno nel percorso scolastico[6].
Un fenomeno tutto italiano, lamenta Novara, a fronte delle rilevazioni dell’International Academy for Research in learning Disabilities[7], secondo la quale solo il 2,5% della popolazione scolastica mondiale dovrebbe incontrare problemi nella cognizione numerica e solo lo 0,5% sarebbe soggetto a un disturbo dell’apprendimento geneticamente determinato. Percentuali che stridono con i dati sulle segnalazioni in Italia, che parlano di circa un 20-30% di bambini, più o meno cinque per classe.
Non usa mezzi termini Novara, che definisce il boom delle certificazioni un business spesso in capo a strutture private: “esistono centri privati che sfornano certificazioni dopo tre incontri o addirittura uno soloâ€.
Proprio a questo tema urgente e ingombrante, viste le dimensioni assunte dal duemila a oggi, si riferisce Alessandra Condito – da sempre donna di scuola – nel libro citato “Il tempo e la curaâ€. La sua analisi si arricchisce anche del punto di vista di madre, che in prima persona ha accompagnato l’iter diagnostico di dislessia e discalculia della figlia.
L’Autrice non teme la reazione di ira degli addetti ai lavori, psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, e delle associazioni di genitori e lancia un grido d’allarme accorato, ma vibrante, verso una scuola e, più in generale, una società , che rischia di soffocare sotto un mare di diagnosi.
L’allarme non è certo per quelle diagnosi connesse a problematiche evidenti, gravi e conclamate, che servono a definire un disturbo del neurosviluppo, ma per quelle che vanno a certificare disturbi più o meno lievi, sulla soglia, di confine. Il rischio è quello di ingabbiare e etichettare bambine e bambini, studentesse e studenti, dentro una definizione fissa della propria identità , di alunni con BES, guardati più per i loro bisogni, che per arrivare in un tempo a largo respiro a un comune traguardo di apprendimento.
Riconoscimento del diritto a sbagliare
“Disturbo” dagli anni Cinquanta agli anni Settanta era inteso in un’unica accezione: mancanza di rispetto per l’autorità dei professori e così nei decenni successivi. Lo spartiacque per il valore semantico del termine nel contesto scolastico è il nuovo Millennio, quando ciò che a scuola disturba è la “lentezzaâ€, nella sua accezione di “svogliatezza†o addirittura di “stupidità â€. Come se all’interno di una “gara†con tempi stabiliti, un bambino o una bambina non riuscisse a tenere il passo, costringendo la maestra a rallentare.
Si comincia a parlare di dislessia, discalculia e disortografia e le famiglie si rivolgono ai servizi pubblici, che rilasciano le prime certificazioni a quei bambini che leggono a fatica e lottano quotidianamente con le tabelline e con l’acca. Un riconoscimento del diritto a sbagliare più di altri, a avere più tempo per raggiungere un obiettivo e soprattutto a non essere vittime di lamentele e mortificazioni a voce alta da parte delle maestre.
Questo riconoscimento almeno in una prima fase appare come una conquista e una tutela, perché attesta che un bambino o una bambina più fragile può incontrare ostacoli nel percorso di apprendimento – leggere, scrivere e far di conto – senza che ciò debba essere imputabile alla sua pigrizia.
Il tempo che abbiamo perso
Ma il cuore del problema per Condito è il tempo, un periodo di tempo a più largo respiro, di cui già i programmi didattici del 1955 parlavano, di un insegnamento individualizzato in relazione alle capacità di ciascuno, nel rispetto dei tempi per arrivare al comune traguardo.
L’Autrice si domanda se e quando a scuola si sia smarrito questo senso del tempo, in una rincorsa che accorcia il respiro e fa precipitare in una condizione di apnea.
I maestri a un certo punto sembrano essere entrati in sofferenza per mancanza di tempo, anche se proprio questa capacità di trovare tempo per tutti e per ciascuno è la qualità che definisce l’arte dei maestri. Il tempo nella scuola lo abbiamo perso e, forse senza la necessaria consapevolezza, siamo passati alla politica dello sconto: leggere meno degli altri, scrivere testi più brevi, magari in stampatello.
E il tempo lento, o più lento, che, quando necessario, porta con sé anche la gioia del risultato a fatica conquistato, sembra scomparso dalle aule di scuole, schiacciato dalla “troppeità â€.
La “troppeità †fa male alla scuola
La scuola non è un ipermercato: la prospettiva dell’Autonomia ha generato non pochi equivoci e ha messo in moto una centrifuga, abbagliata dalla possibilità di ampliare l’offerta formativa attraverso la logica additiva e consumistica dell’accumulo dei progetti, dei dispositivi e degli arredi, irretita dal marketing promozionale degli open day.
Tanto del tempo prezioso è stato risucchiato in operazioni di monitoraggio, rendicontazione e pubblicizzazione di progetti e sottratto al cuore della missione centrale della scuola: in altri termini la scuola centrifuga ha sottratto tempo alla cura educativa.
Condito va oltre, suggerisce una prospettiva pedagogica più attenta a tutelare tempi di ampio respiro, in cui sia possibile definire passo dopo passo le soglie di sviluppo di ogni alunno. E questa prospettiva pedagogica deve essere alleggerita il più possibile da screening e dalle gabbie di certificati e diagnosi.
Deve, inoltre, riprendere in mano con buon senso il tema della valutazione nel curricolo verticale e considerare l’errore, la difficoltà e i tempi di apprendimento più lunghi come aspetti normali di ogni percorso di apprendimento, nella logica di una valutazioneevolutiva, attenta ai progressi più che agli errori.
Per invertire una tendenza che fa male alla scuola, bisogna avere il coraggio di mettere sul tavolo le questioni più critiche e urgenti e provare ad aprire e alimentare un dibattito costruttivo. Cosa che Alessandra Condito per amore della scuola nelle sue pagine ha provato a fare.
[1] Vedi R. Bramante, La scuola schiacciata dal peso di un approccio clinico, “Education 2.0†nel numero 120 dell’11 settembre 2024. L’articolo pubblicato per la prima volta sul magazine “Education 2.0†è stato concesso dall’autrice a postfazione della seconda edizione del volume di A. Condito, Il tempo e la cura. Per una scuola che si riappropri del tempo della cura educativa, ilmiolibro, 2025.
[2] A. Candido, Il tempo e la cura. Per una scuola che si riappropri del tempo della cura educativa contro la sopraffazione della clinica e dell’approccio, Editore: ilmiolibro self publishing, 2025.
[3] L’aumento delle certificazioni non è stato uniforme in tutti i cicli di istruzione. Sebbene la crescita si sia registrata ovunque, le percentuali più elevate si trovano nella scuola secondaria di primo e secondo grado.
- Scuola Primaria: la percentuale di alunni con DSA è cresciuta, ma rimane più contenuta rispetto ad altri gradi. Nell’anno scolastico 2010/2011 era circa lo 0,8%, mentre negli anni più recenti (ad esempio, 2022/2023) si attesta intorno al 3-4% negli ultimi anni di corso.
- Scuola Secondaria di I grado: ha visto un aumento significativo. Partendo dall’1,6% nel 2010/2011, ha raggiunto percentuali molto più alte, superando il 6% negli anni più recenti.
- Scuola Secondaria di II grado: anche qui si è verificata una crescita notevole, dallo 0,6% nel 2010/2011 fino a toccare percentuali che si avvicinano al 7% nel 2022/2023.
[4] Cfr. Ufficio di statistica, I principali dati relativi agli alunni con DSA aa.ss. 2021/2022 – 2022/2023 settembre 2024.
[5] Ibidem.
[6] D. Novara, Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare. Subito, Rizzoli, 2017; D. Novara, DSA o iperattivi? Forse solo monelli: i bambini malati immaginari e la troppa diagnostica neuropsichiatrica, in “Corriere della Seraâ€, 21/10/2017; AA.VV., Boom di alunni con DSA a scuola, Novara: c’è qualcosa che non va, in Orizzonte Scuola, 10/09/2023; C. Dini, Scuola e disturbi dell’apprendimento, il luminare: “È un vero businessâ€, in Corriere Romagna, 9/06/2023.
[7] L’Accademia Internazionale per la Ricerca sui Disturbi dell’Apprendimento (IARLD) è un’organizzazione professionale internazionale dedicata alla conduzione e alla condivisione di ricerche su individui con disturbi dell’apprendimento.