Magister, merito e responsabilità

A margine dell'ultimo libro di Massimo Recalcati

Che siamo prigionieri della polarizzazione lo ha sostenuto anche lo scrittore Moisés Naím nel suo libro “Il tempo dei tiranni”. Ed ha ragione Massimo Recalcati a dire, dalle pagine del quotidiano La Repubblica[1] del 15 settembre scorso, che non è importante chiedersi se le misure del governo sulla scuola siano “conservatrici” o “progressiste”, ma piuttosto “interrogarsi sul loro valore simbolico”. È una affermazione che lo psicoanalista milanese, ribadisce non solo sulle colonne del quotidiano, ma anche in maniera più estesa, nel suo ultimo libro “La luce e l’onda”[2]. Attraverso la domanda su cosa significhi insegnare,approfondisce questioni che troppo facilmente sono affrontate in termini pregiudiziali.

Il maestro “magister”

L’aspetto centrale del libro è sicuramente la raffigurazione del maestro in quanto magister, che sembra avere quelle caratteristiche suggerite anche nelle Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo (2025), ma con il rischio, posto da molti in evidenza, di un ritorno a un modello di insegnante autoritario e tradizionale, che potrebbe contrastare con l’apprendimento attivo e la centralità dello studente.

Dice Recalcati: “Nel tempo dell’orizzontalizzazione populistica dei saperi, l’evocazione della sua figura [del maestro] provoca una sorta di allergia spontanea…”, ma chiarisce più avanti che il maestro è in sé una figura di luce e non nel senso di “parola di dominio” come accadeva prima della contestazione giovanile: “la parola del maestro è una parola che non ha il potere di comandare, ma di illuminare” (p. 33 e 35). La “parola” illumina, indica, sollecita: non è un dire definitivo. Infatti la “parola” deve far incontrare l’onda, la sua forza prepotente e dirompente. L’onda è quella del mondo che porta rigidità, definisce il limite, contrasta con i bisogni e le aspettative irrealistiche dell’allievo. L’onda è il principio di realtà, per stare alle parole del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud.

Tuttavia la parola può portare alla radura dove le ombre tenebrose del bosco improvvisamente si dissipano, e la luce che apre un cammino per il giovane in formazione. Ancora: “È solo l’impatto con il reale dell’onda che [il maestro] può scuotere l’allievo dal suo torpore imitativo costringendolo ad assimilare singolarmente il sapere sino allora compreso solo astrattamente” (p. 41).

Recalcati sa bene come sia potente l’imitazione nel percorso educativo (ad affermarlo ci sono anche le neuroscienze con la scoperta dei neuroni-specchio)ma egli è altrettanto convinto che all’imitazione deve corrispondere una risposta originale e personale: una propria rielaborazione dei significati. Infatti, criticando le asprezze e durezze sulla scuola come strumento di sorveglianza e punizione di Michel Foucault, va a sostenere la necessità del dispositivo, ovvero della struttura che consente la creazione e, al tempo stesso, della ripetizione che apre all’invenzione. Non si tratta, dice, “di contrapporre questi due movimenti – solo apparentemente alternativi – quanto di pensarli nel loro più profondo intreccio” (p. 58).

La scuola, il desiderio e la vocazione

Anche in questa nuova pubblicazione ritroviamo il tema del desiderio tanto caro a Recalcati, bene esplorato nei suoi libri dedicati ai testi biblici. Il desiderio, in definitiva, coincide con la vocazione, con quel percorso singolare che ciascun allievo ha il compito di scoprire, aiutato dal maestro-insegnante. Ma se questo è vero, allora è necessario ritrovare il senso dell’etimo della parola curricolo, come da tempo abbiamo sempre cercato di sottolineare[3]. Ci riporta al termine latino currere, ovvero carro, carrettiera, da cui carriera, corso e percorso. Il curricolo corrisponde ai saperi della scuola da attualizzare in un percorso di vita, in una biografia originale, in una dimensione verticale da rivalorizzare. Le pagine scritte da Recalcati ci possono illuminare, da altre prospettive di analisi, sulla necessità di una scuola non solo istruttiva, ma anche altamente formativa.

Non solo saperi

Qui la riflessione si incontra con un eminente filosofo dell’educazione, Gert Biesta[4], che da tempo mette in guardia i sistemi scolastici dal concentrare i loro sforzi solo ed esclusivamente sul lato dell’apprendimento. Non è sufficiente, e non lo è ancora di più per i tempi che corrono. Tanto Recalcati quanto Biesta usano il termine soggettivazione per dire “attenzione formativa” che va oltre l’acquisizione di competenze; si tratta di una “soggettivazione” ispirata dai grandi ideali umanistici: la convivenza civile, la solidarietà, la democrazia, la pace, l’attenzione alla diversità. La parola dell’insegnante-maestro non è parola unica, ma si fa plurale, attenta a non chiudere, a non catalogare, a rendersi disponibile. C’è, dunque, un elemento di trasmissività, che non può essere espunto, ma non per questo la scuola va vista in un’ottica tradizionalista.

Dalla “formatività” ai voti

Se queste riflessioni sulla “formatività” dell’esperienza scolastica sono condivisibili si rimane tuttavia perplessi quando Massimo Recalcati, nell’articolo prima citato, le traduce in un via libera all’uso dei voti per valutare la condotta. Certo il tema del comportamento a scuola è un aspetto dirimente per aiutare grandi e piccoli ad acquisire abiti democratici e di convivenza collettiva. Ma proprio l’impiego del voto numerico – e non solo in tale ambito – appare connesso alla primitiva diade bastone e carota, minacce-premi, che sono troppo legati, quasi in modo esclusivo, alla motivazione estrinseca.

Esempi più efficaci possono essere gli stessi regolamenti condivisi tra docenti e studenti che prevedono azioni riparative e ricostruttive. L’idea che in genere sorregge questi regolamenti è che la scuola non sia solo un luogo di apprendimento, ma anche una comunità democratica dove tutti, docenti e studenti, sono responsabili del benessere collettivo. Ricordiamo, a questo proposito il grande esempio del medico pedagogista polacco Janusz Korczak che, nella prima metà del ‘900, fondò a Varsavia una casa-orfanotrofio e la cosiddetta “Repubblica dei bambini”, influenzando profondamente la pedagogia moderna, attraverso principi pedagogici come: centralità del bambino, rifiuto della violenza, rifiuto dell’autoritarismo, apprendimento attraverso l’esperienza[5] .

Merito e responsabilità

Nella parte conclusiva del libro “la luce e l’onda” viene, infine, sollevato il tema del merito, che è tornato ad essere oggetto di polarizzazioni spesso incomprensibili[6]. Il non riconoscimento del merito è piatto egualitarismo, non ci sono dubbi. Ma qui Recalcati si ferma, non va oltre. Si corre così il rischio di alimentare l’odierna temperie individualista. Più volte abbiamo proposto di aggiungere al MIM un’altra parola (oltre ad istruzione e merito): responsabilità.

Non capiamo perché si dimentichi di affiancare all’articolo 34 della Costituzione[7], l’articolo 4: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La Costituzione mette in campo non solo il diritto al merito ma anche i doveri di solidarietà e responsabilità per dare il proprio contributo alla impresa comune sociale.

Merito e riconoscimento

Nella scuola sembra esserci una forma di schizofrenia: il merito e la competenza sono il faro che guida perché, bene o male, si riconosce il merito agli studenti dando voti o promuovendo alla classe successiva, ma questo stesso faro però non si applica, per esempio, ai docenti: non esiste riconoscimento, non esiste carriera, non esiste progressione. Facciamo parti uguali tra diversi, per parafrasare Don Milani. Invece il refrain dovrebbe essere questo: ti riconosco le tue capacità, tuttavia nel contempo ti chiedo di metterle al servizio di tutti, della comunità. E questo vale tanto per gli alunni che si mettono al servizio dei compagni, quanto per i docenti chiamati a condividere i propri “beni professionali”[8].

Certo: come dice Recalcati, riecheggiando Althusser, bisogna andare oltre i pregiudizi e cercare di separare la scienza dall’ideologia, per capire veramente cosa serve alla scuola e quali siano gli itinerari da seguire con le nuove generazioni: c’è qualcosa da recuperare del passato. Però ricordiamoci (come nel rugby) di passare pure la palla indietro, ma sempre con l’intento di andare avanti.


[1] Recalcati M., La Repubblica del 15 settembre 2025.

[2] Recalcati M. (2025), La Luce e l’Onda. Cosa significa insegnare? Torino, Einaudi.

[3] Orsi M. (2021), Uno zaino troppo pesante, Rimini, Maggioli.

[4] Biesta G. J. J. (2022), Riscoprire l’insegnamento, Milano, Raffaello Cortina.

[5] Negli anni ’30, l’orfanotrofio di Korczak, la “Casa dell’Orfano”, era un modello di educazione progressista, un’oasi di libertà e rispetto in un mondo che si stava avviando verso la tragedia della guerra. Tuttavia, con l’invasione nazista della Polonia, l’orfanotrofio fu trasferito nel “Ghetto di Varsavia”. Nonostante le difficoltà estreme, Korczak continuò a prendersi cura dei suoi bambini, difendendoli e cercando di mantenere la normalità e la dignità in un contesto disumano. Nel 1942, a Korczak venne offerta la possibilità di salvarsi, ma lui scelse di non abbandonare i suoi bambini e li accompagnò fino alla deportazione nel campo di sterminio di Treblinka, dove morì con loro, rendendo eterna la sua fedeltà alla causa dell’infanzia.

[6] Si vedono i testi di due eminenti autori, uno contro: Sandel M. J., La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti, Milano, Feltrinelli; uno a favore: Santambrogio M. (2021), Il complotto contro il merito, Bari-Roma, Laterza.

[7] Articolo 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

[8] Nel movimento Senza Zaino per queste ragioni realizziamo un vero e proprio Sistema delle Responsabilità.