La valutazione che orienta

Il voto: da sentenza a dialogo per il successo formativo

Perché il dibattito sulla scuola è spesso associato all’ansia da prestazione degli studenti? Perché tante volte si parla di valutazione in termini negativi e di insuccesso scolastico? Perché gli esiti positivi e i traguardi raggiunti dagli studenti rimangono sempre in sordina? Perché si propongono soluzioni per migliorare gli esiti attraverso l’innalzamento delle soglie di accettabilità? Perché nella valutazione entra anche la discussione sulla condotta in relazione al comportamento e al sistema di regole e regolamenti del singolo istituto? Perché si fanno classifiche solo in termini di voto e non di processo? Perché le scuole si ordinano in base ai voti che gli studenti prendono durante l’arco degli studi e nei livelli successivi? Perché le parole inclusione e differenziazione, anche in tema di valutazione, assumono molte volte aggettivazioni riconducibili agli obblighi della norma e non alla metodologia didattica?

Dialogo pedagogico

Se riflettiamo su queste domande, incomplete e parziali, ipotizzando anche risposte ragionate e argomentate, ci rendiamo conto che il dibattito sulla valutazione scolastica rimane immerso dentro un quadro di tensioni profonde e punti di vista differenti. Eppure, come già abbiamo avuto modo di scrivere in queste pagine, la valutazione deve avere una chiara finalità formativa che concorre «al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo».

Se lo Statuto delle studentesse e degli studenti[1] stabilisce il diritto di ogni alunno ad avere una «valutazione trasparente e tempestiva», questo diritto non può esaurirsi nella semplice comunicazione burocratica di un numero o di un giudizio. Implica un processo più profondo, descritto nelle azioni e negli obiettivi, che deve attivare un percorso continuo di orientamento, di ri-orientamento e di auto-orientamento. La valutazione, in quest’ottica, diventa uno strumento per arricchire e per sviluppare la consapevolezza dello studente nel riconoscere i propri punti di forza e di debolezza. Contribuisce attivamente, come recitava già l’art. 1 del D.P.R. n. 122/2009, «ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi». Assume valenza di «dialogo pedagogico» che mette al centro la persona e il suo percorso di crescita come una sorta di necessità strategica: è strumento che orienta, motiva e supporta lo sviluppo integrale dello studente dentro e fuori la scuola, definendo un profilo di conoscenze e abilità coerenti con le nuove sfide della società contemporanea.

Funzioni della valutazione: misurare i risultati o guidare l’apprendimento?

Nel contesto scolastico, la dissonanza tra le due principali funzioni della valutazione è spesso all’origine di pratiche didattiche inefficaci e di un clima di preoccupazione diffuso. Distinguere chiaramente tra il “valutare l’apprendimento” e il “valutare per l’apprendimento” è il primo passo per trasformare la valutazione da momento sanzionatorio e accertativo a motore del processo formativo. Come evidenziato dalle diverse ricerche docimologiche, queste due funzioni rispondono a scopi, tempi e metodologie profondamente diversi:

Valutazione sommativa: valutare l’apprendimentoValutazione formativa: valutare per l’apprendimento
ScopoMisurare, classificare e certificare gli apprendimenti raggiunti.Migliorare il processo di apprendimento e insegnamento.
FunzioneÈ un’attività di “bilancio finale” e di rendicontazione degli esiti.Interviene in itinere per orientare le decisioni future di docenti e studenti.
TempiAl termine del processo: fine di un’UDA, del quadrimestre, di un anno scolastico.Avviene durante il processo formativo, in modo continuo e ricorsivo anche con rimandi e anticipazioni.
CarattereAtto selettivo, ordinatorio e classificatorio che accade in un momento preciso.Processo di mediazione e di facilitazione finalizzato a “capire e aiutare” lo studente in itinere.
DestinatariStakeholders esterni come le famiglie e le istituzioni scolastiche anche ai fini della rendicontazione.Studenti e docenti interni per migliorare e perfezionare le “buone pratiche” in corso anche ai fini del monitoraggio.
EsempioLa pagella standardizzata con i voti in una scala in decimi con o senza il giudizio descrittivo.Feedback costruttivi, osservazioni in classe, restituzioni di contesto, dialogo educativo, relazione pedagogica.

Le evidenze scientifiche dimostrano che la valutazione formativa, rispetto a quella sommativa, produce un effetto più lungo e duraturo sull’apprendimento. Quando la valutazione viene utilizzata per fornire riscontri costruttivi e per regolare l’azione didattica smette di essere un evento sterile e diventa una pratica che stimola la crescita e il miglioramento. Gli studenti si sentono più motivati, assumono maggiore responsabilità del proprio percorso e sviluppano competenze di autovalutazione essenziali per la scuola e per la vita.

Comprendere questa distinzione non è un mero esercizio teorico: è il presupposto per analizzare come il concetto stesso di valutazione sia cambiato nel tempo, seguendo la trasformazione del ruolo della scuola nella società. Anche per questo, il focus sulla funzione formativa oggi è diventato un imperativo pedagogico.

Evoluzione del concetto di valutazione: da funzione amministrativa a formazione della persona

Siamo di fronte ad uno spostamento storico che non è meramente accademico: è il fondamento stesso su cui si costruisce l’imperativo moderno per la valutazione formativa, muovendo l’attenzione dell’educatore dalla conformità burocratico-procedurale-ammnistrativa alla responsabilità professionale-etica-valoriale per la crescita dello studente.

Il sistema educativo italiano, con il superamento dei programmi ministeriali e l’adozione di Indicazioni e Linee guida delle scuole dell’autonomia, ha intrapreso un lento ma profondo processo di rinnovamento pedagogico, passando da un modello di educazione-istruzione ad uno di educazione-formazione, dal paradigma dell’insegnamento a quello dell’apprendimento.

Questa trasformazione ha ridefinito radicalmente il ruolo dell’insegnante. Si è passati dalla figura del trasmettitore burocratico di cultura, di colui che sa, dell’impiegato che esegue programmi unitari, nazionali e statici, a quella del vero professionista della formazione degli studenti, del mediatore didattico, dell’esperto di metodologie funzionali all’acquisizione di conoscenze e abilità in un preciso contesto di apprendimento. Un “tecnico” la cui azione è fondata sulle competenze disciplinari e trasversali, su valori pedagogici condivisi nelle diverse articolazioni del collegio docenti, sulla cura della documentazione generativa di processo e si esprime attraverso la progettazione e programmazione curricolare all’interno dei dipartimenti di materia e dei consigli di classe. Questo nuovo ruolo esige un approccio dialogico, formativo e metacognitivo lontano dalla mera certificazione sommativa.

Parallelamente, è cambiato il paradigma dell’apprendimento. L’obiettivo non è più insegnare per far ripetere con un modello basato sulla riproduzione mnemonica, ma insegnare per far comprendere con un’istanza tendente alla personalizzazione e alla rielaborazione. L’apprendimento diventa così un processo di assimilazione critica, che dota l’alunno di un metodo di lavoro, di un metodo di studio, di una padronanza culturale e di un profilo strategico coerenti con gli input di contesto. Il docente che trasmette solo conoscenze (e si sente il depositario del sapere) si accontenta di verifiche sommative che “interrompono” le sue spiegazioni curriculari; il docente mediatore e facilitatore ingaggia un dialogo formativo costante per assicurarsi della comprensione dello studente a medio e lungo termine e del modo in cui impara.

In questa nuova ottica, anche la valutazione ha subito un’evoluzione importante: da strumentoquantitativo focalizzato sulla prestazione misurabile è diventata strumento di analisi e osservazionedelle strategie di apprendimento. Quest’osservazione si basa sulla conoscenza diretta dello studente: la sua personalità, le sue condizioni di vita (scolastiche ed extrascolastiche), le sue motivazioni, i suoi bisogni, il suo potenziale, i suoi obiettivi. La valutazione cessa di essere un momento separato, finale e giudicante e diventa una modalità educativa permanente, un processo continuo che sostiene e orienta la crescita dell’allievo verso la sua maturità cognitiva, sociale e culturale.

Pilastri della valutazione orientativa: un approccio educativo sulla persona

Trasformare la valutazione in uno strumento di orientamento richiede l’adozione di alcuni criteri fondamentali che pongono la persona al centro del processo educativo potenziandone le capacità individuali (cognitive, strumentali e sociali) per facilitare le sue scelte di vita e la sua piena realizzazione.

Sensibilità pedagogica

La valutazione orientativa poggia sulla sensibilità pedagogica del docente, sulla sua capacità di percepire non solo quello che il singolo è, quanto quello che può essere o può diventare. Questo approccio richiede di considerare l’alunno non come un semplice studente da istruire, ma come un individuo “unico e irripetibile” da formare. Il docente, nel suo ruolo di educatore e facilitatore, è colui che fa emergere e sa valorizzare le potenzialità nascoste dello studente e orientare i suoi interessi e le sue abilità. Lo studente deve chiedersi non “cosa mi piace?” ma “cosa so?”, “cosa fare?” e “come opero?”.

Il ruolo del docente richiede virtù pedagogiche e valoriali prima ancora che tecniche: costanza per accompagnare i ritmi di apprendimento di ciascuno; fiducia per puntare sul potenziale cognitivo e funzionale di ogni studente; gestione dell’errore per ribaltare il giudizio negativo e renderlo opportunità; visione a lungo termine del percorso in essere e delle scelte successive per investire sul profilo di ognuno; empatia per incontrare il punto di vista dei propri studenti e intercettare bisogni e potenzialità; intelligenza emotiva per veicolare in positivo lo stress e l’ansia dello studente; ascolto attivo per costruire e mediare costantemente nella “comunità educante” e nella realtà scolastica ed extrascolastica in cui lavora e opera.

Valutazione autentica

Il graduale passaggio verso un approccio orientativo si concretizza nell’adozione e nella pratica di una valutazione autentica. Questo significa superare la valutazione di ciò che il soggetto sa per arrivare a valutare ciò che il soggetto sa fare con ciò che sa, tenendo insieme le conoscenze e le abilità per ragionare sulle competenze acquisite (e immediatamente spendibili) e quelle da acquisire. L’obiettivo è monitorare e osservare abilità strumentali che le prove tradizionali spesso faticano a rilevare perché centrate sulle conoscenze il più delle volte nozionistiche. Ci riferiamo a: ragionamento, creatività, azioni selettive e comparative, soluzione di problemi, capacità di classificazione e di sintesi, trasferibilità di strategie, osservazione, progettazione, linguaggio specifico.

All’interno di questo processo, s’inserisce il superamento di un rapporto squilibrato docente-studente che porta quest’ultimo a percepire il docente come una figura di potere da cui dipende il proprio successo formativo. Questo squilibrio genera dinamiche disfunzionali che minano l’autenticità del processo formativo, per esempio, il tentativo di ingraziarsi il docente per un vantaggio o il conformismo esibito per ottenere un buon voto.

La valutazione orientativa, al contrario, si fonda su un rapporto di trasparenza e fiducia reciproche che plasmano il clima di apprendimento-insegnamento e disegnano il contesto.

Un atto di cura

In questo clima, la valutazione viene percepita dall’allievo come un servizio per il suo miglioramento: un atto di cura e non di potere da parte del docente, che crea sicurezza e fiducia nelle proprie possibilità di apprendimento.

L’obiettivo ultimo della valutazione orientativa è rendere lo studente un soggetto attivo e responsabile del proprio percorso in cui la didattica metacognitiva e autovalutativa viene utilizzata di continuo per far acquisire consapevolezza di quello che gli studenti stanno facendo e come lo stanno facendo. Rendere lo studente protagonista del processo valutativo, come previsto dal D.lgs. n. 62/2017[2], contribuisce a sviluppare i processi di autovalutazione degli stessi alunni, promuovendo un senso di responsabilità che è fondamentale per l’apprendimento permanente durante il corso degli studi e nella vita.

I pilastri di fiducia, autenticità e responsabilità non possono reggersi su mere intenzioni. Richiedono una cassetta degli attrezzi metodologicamente precisa che accompagna il percorso di studi e che ribalta il paradigma dell’orientamento come sola informazione sulle scuole e le università seguito da un “consiglio” dovuto come atto burocratico della scuola.

Dalla teoria alla pratica: metodologie attive per una didattica orientativa

Per realizzare una valutazione che sia realmente orientativa, non è sufficiente un cambiamento di mentalità; è necessario adottare metodologie didattiche che trasformino l’aula in un laboratorio di apprendimento attivo. L’obiettivo è promuovere un metodo di lavoro e un metodo di studio che non siano imposti dall’alto, ma che nascano dal coinvolgimento e dall’interesse di ogni allievo nel contesto classe.

Un modello pratico ed efficace in questa direzione è il Metodo ADVP (Attivazione dello sviluppo vocazionale personale), basato sugli studi di Mario Viglietti[3], che si articola su tre principi fondamentali:

  • principio esperienziale: l’imparare facendo. L’apprendimento è più profondo e duraturo quando si passa dall’astratto delle parole al concreto delle azioni. Invece di limitarsi a spiegare un concetto, il docente crea le condizioni perché lo studente possa sperimentarlo direttamente e trarne gli elementi di conoscenza durante e a posteriori;
  • principio euristico: coinvolgere nella ricerca e scoprire. Questo principio mira a coinvolgere attivamente l’allievo nella ricerca di soluzioni, aiutandolo a personalizzare il proprio sapere. Porre problemi non significa rendere la materia incerta, ma avviare un percorso di pensiero che stimoli la curiosità e il ragionamento. L’insegnante può utilizzare domande aperte per attivare anche il pensiero divergente: indagatorie basate sul “Perché?” (stimolano la ricerca delle cause); predittive del tipo “Cosa accadrebbe se…?” (incoraggiano a formulare ipotesi sulle conseguenze); argomentate nelle formule “Ritieni che…?”, “È giusto che…?” (guidano il pensiero critico con gli elementi di confronto e confutazione nel trittico tesi, antitesi, sintesi);
  • principio motivazionale-integratore: creare interesse.Per favorire l’apprendimento, non basta fare esperienza, ma occorre integrare conoscenza con interesse, coinvolgimento, partecipazione in relazione ad obiettivi a medio e lungo termine.

Secondo questo metodo è possibile generare valore e utilità per tutti gli studenti agendo su tre fattori-chiave:

  • tipo di relazione perché un rapporto basato sulla fiducia reciproca è il terreno più fertile per l’apprendimento;
  • bisogno di comprendere sfruttando la “dissonanza cognitiva”, ovvero lo stupore generato da un’informazione insolita o contraria alle aspettative che stimola la curiosità e spinge l’alunno alla ricerca spontanea di una spiegazione;
  • anticipazione del punto di arrivo in quanto comunicare in anticipo la meta della lezione e i vantaggi che si otterranno dal lavoro da svolgere dà un sostegno notevole all’azione didattica. Conoscendo l’obiettivo, ogni studente può controllare i propri progressi e sentirsi responsabile del lavoro compiuto.

L’integrazione di queste metodologie trasforma l’insegnamento e la valutazione da momenti separati a modalità educativa coerente e permanente, in cui imparare e valutare diventano due facce della stessa medaglia.

Sfide e opportunità della valutazione orientativa

La valutazione orientativa – che si tratti di rispondere alle riforme normative, di garantire equità attraverso l’inclusione o di certificare competenze reali – è per sua natura personalizzata, inclusiva e focalizzata sul saper fare e sul saper essere. Questo approccio trasforma le sfide attuali in reali opportunità di crescita per il sistema scolastico.

Le recenti proposte di cambiamento (Legge n. 150/2024[4]), come quelle che legano il voto di condotta ad attività di cittadinanza attiva o innalzano la soglia di sufficienza, nascono dall’intento di rafforzare la responsabilità e il merito. Tuttavia, se interpretate in modo puramente sanzionatorio, rischiano di aumentare l’ansia e il disagio psicologico e sociale degli adolescenti, trasformandosi in una mera pressione numerica. Solo un approccio autenticamente formativo e orientativo può dare senso a queste misure. Il rigore deve essere accompagnato dalla comprensione e dall’empatia e ogni valutazione, anche la più severa, deve trasformarsi in un’occasione di crescita, supportata da un dialogo costruttivo e da interventi didattici personalizzati.

Valutare per orientare

La scuola oggi è chiamata a valutare non solo conoscenze (il sapere) e abilità (il saper fare), ma anche competenze, cioè la capacità dello studente di sapersi orientare autonomamente e risolvere problemi in contesti reali. Le certificazioni delle competenze richiedono un superamento della valutazione tradizionale in un quadro di complessità che, con prove autentiche, compiti di realtà e un’osservazione sistematica dei processi messi in atto riveli il profilo complessivo e strategico degli studenti. La valutazione orientativa si rivela, dunque, l’approccio più coerente per affrontare in modo integrato le sfide della personalizzazione, dell’inclusione e della certificazione, ponendo le basi per una scuola realmente formativa. Cessa di essere un’opzione pedagogica per diventare l’unica risposta strategica alle sfide della scuola di oggi. Superare un modello basato sulla mera misurazione per abbracciarne uno fondato sul dialogo e sulla crescita significa rispondere in modo concreto alle esigenze formative di una società complessa e in continua trasformazione.

Valutare per educare

Una valutazione che accompagna, sostiene e orienta si poggia sull’assunto che lo scopo ultimo è valutare per educare. Investire in una valutazione consapevole e formativa significa costruire una scuola che non si limita a preparare studenti pronti per un esame, ma forma cittadini capaci di affrontare con pensiero critico e creatività le sfide della vita. In definitiva, significa restituire alla valutazione il suo significato più autentico, trasformandola nello specchio fedele che guida il percorso di crescita di ogni persona.

Quando Immanuel Kant, nel 1786, pubblica il volumetto Che cosa significa orientarsi nel pensiero?[5], descrive la ragione con due funzioni fondamentali: come guida pratica e speculativa per orientare e agire quando la ragione teoretica dimostra i propri limiti (per esempio sulle idee metafisiche di anima, Dio, mondo); come bisogno che dà origine all’orientamento soprattutto quando si deve decidere. Per Kant, orientarsi nel pensiero non significa affermare verità in modo dogmatico, ma riconoscere i limiti della conoscenza, scegliere in modo responsabile, mantenere la libertà del pensiero.

Valutare per insegnare a riflettere

Anche all’interno di un processo di apprendimento, lo studente non insegue verità assolute ma riflette in modo critico su bisogni e traguardi, si pone domande e dubbi. Quando uno studente sceglie non può sapere con certezza il “dopo”, non conosce del tutto le proprie capacità ancora in fase di sviluppo, non può prevedere dove lo porteranno le sue scelte. Manca una «bussola oggettiva», come nella metafisica kantiana. La guida principale dello studente rimane la propria ragione, intesa come capacità di riflettere su di sé, di comprendere i propri interessi, di analizzare le proprie attitudini, di ragionare sulla coerenza tra fini e mezzi, di smuovere la propria consapevolezza. In quest’ottica, quindi, la valutazione non serve a certificare “quanto vale lo studente”, ma a dargli criteri per orientarsi: mettere in luce punti di forza, chiarire le aree di miglioramento, aiutare a capire in che direzione è realistico (e sensato) andare. Non chiudere ma aprire le possibilità. È una valutazione, quella orientativa che aiuta a pensare, non a classificare[6].


[1] D.P.R. n. 249, 24 giugno 1998, Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria.

[2] D.lgs. n. 62, 13 aprile 2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della Legge 13 luglio 2015, n. 107.

[3] Mario Viglietti, Orientamento. Una modalità educativa permanente. Guida tecnico-pratica per insegnanti della scuola dell’obbligo, SEI, Torino 1989.

[4] Legge n. 150, 1° ottobre 2024: Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati.

[5] Immanuel Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero?, Adelphi, Milano 1996.

[6] La frase si collega al ragionamento finale dell’articolo di Laura Bertocchi e Mario Maviglia, Orientamento. Tra promozione dell’eccellenza e lotta alla dispersione, su Scuola7, n. 457, 5 dicembre 2025: «Non esistono ricette magiche, ma è certo che un clima scolastico empatico e supportivo migliora l’apprendimento. Il vero rischio da evitare infatti resta sempre la dispersione. Le scuole migliori, allora, non sono quelle che “trattengono” a ogni costo, né quelle che “allontanano” gli studenti in difficoltà. Sono piuttosto quelle che sanno accompagnare ogni ragazzo/a verso il percorso più adatto alle proprie attitudini e aspirazioni».