La chiamata diretta: una fatica di Sisifo

Riusciranno i nostri “eroi” (Dirigenti Scolastici e Uffici Scolastici Regionali), nel torrido ingorgo agostano, a portare a compimento il virtuoso proposito accarezzato dal Legislatore (comma 18 e commi da 79 a 83 dell’art. 1 della Legge 107/2015) di far incrociare, nel passaggio dall’ambito alla scuola, domanda e offerta, grazie ad una procedura, come ha dichiarato il Sottosegretario Davide Faraone in una recente intervista rilasciata a Italia Oggi secondo cui “… scuole e docenti potranno scegliersi a vicenda…”, proponendo di sostituire la formula mediatica “chiamata diretta” con “chiamata per competenza”?

La risposta a questo interrogativo, sicuramente non ininfluente rispetto alla gestione pedagogica e didattica dell’offerta formativa che ogni scuola dovrà essere in grado di garantire ai propri alunni e studenti, ce la potrà fornire solo la disponibilità effettiva delle risorse professionali richieste per l’attuazione del PTOF, derivante da un’operazione che, se tutto si svolgerà secondo la tempistica autonomamente e tardivamente predisposta dal MIUR, si completerà a ridosso dell’avvio dell’anno scolastico o addirittura, come non pochi prevedono e temono, anche successivamente.

Le reazioni contrapposte

La Legge, nei commi sopra richiamati, in ossequio ai consueti canoni giuridici di generalità e astrattezza, ha delineato uno scenario virtuale che ha suscitato reazioni irriducibilmente contrapposte tra chi lo ha considerato una sciagura per la scuola e chi, invece, lo ha magnificato come una straordinaria opportunità di valorizzazione dell’autonomia, delle professionalità riconosciute dei docenti e delle prerogative datoriali dei dirigenti scolastici.

Anche in questo caso, com’è avvenuto nel passato, recente e meno recente, di fronte ai processi di innovazione e riforma del nostro sistema scolastico per affrancarlo dal preesistente e immarcescibile impianto gentiliano (“Berlinguer”, “Moratti”, “Gelmini”…), il confronto sulle questioni di merito è risultato in gran parte offuscato dalle ragioni “politiche” a sostegno o contro i Governi che si sono avvicendati alla guida del Paese e che alternativamente, all’esito dei responsi elettorali, non hanno resistito alla tentazione di intestarsi la paternità (o maternità) della riforma “epocale.”

Per scelta editoriale, Tecnodid si è tenuta costantemente lontana da atteggiamenti “apocalittici” o “integrati”, privilegiando il metodo della riflessione condotta con spirito pacato e approcciando le questioni di merito con sguardo critico e costruttivo.

Le responsabilità del dirigente

Pertanto, a prescindere da una valutazione politica della procedura delineata dalla Legge, è innegabile che la sua collocazione nel contesto temporale e organizzativo di espletamento ponga oggi seri problemi di praticabilità.

Pressanti e delicate sono infatti le responsabilità poste direttamente dalla Legge in capo al dirigente scolastico:

– pubblicazione dell’Avviso contenente l’indicazione dei posti vacanti e disponibili, la declaratoria dei requisiti culturali e professionali (coerenti con gli assi portanti della progettualità formativa della scuola, con il rapporto di autovalutazione e i correlati impegni del piano di miglioramento) richiesti ai docenti che si candidano per la relativa copertura;

– esame attento dei curricula presentati dagli stessi;

– criteri di graduazione degli aspiranti ad ottenere l’incarico;

– individuazione (non più la “scelta”, come previsto nell’originaria formulazione del DDL 2994) del docente cui affidare l’incarico triennale, non esclusa la possibilità di un previo colloquio;

– oneri di pubblicizzazione dei passaggi cruciali della procedura, al fine di garantire la trasparenza dell’intera operazione.

Il tempo che non c’è

Il tutto nell’arco temporale compreso tra le date di pubblicazione dei trasferimenti dei docenti, diversificate per i vari ordini e gradi di scuola, e la vigilia dell’avvio dell’anno scolastico.

Presumibilmente analoghe operazioni dovranno essere espletate nei confronti dei vincitori dei concorsi in atto per il reclutamento dei docenti, per le quali il MIUR si è riservato di impartire apposite indicazioni.

Non a caso, dunque, il Legislatore ha prudentemente previsto una seconda fase residuale di completamento della procedura suddetta, affidandone la gestione agli Uffici Scolastici Regionali, motivata da precise circostanze: docenti che non abbiano ricevuto o accettato proposte e, comunque, in caso di inerzia del dirigente (comma 82).

Tutto sarebbe risultato più semplice e sensato se le fasi di gestione della mobilità fossero state opportunamente anticipate almeno di uno o due mesi. Ma per fare questo sarebbe stato necessario rinviare di un anno l’applicazione delle disposizioni dei commi in questione.

Le procedure non finiscono mai

Ma non è finita qui: dopo l’espletamento di questa complessa e defatigante procedura, il docente che ha ricevuto e accettato l’incarico può chiedere e ottenere l’assegnazione provvisoria in un’altra scuola, per legittime e comprensibili ragioni di avvicinamento al proprio nucleo familiare.

E il posto lasciato libero potrebbe essere occupato da altro docente destinatario di analogo provvedimento, a prescindere dal possesso dei requisiti richiesti dalla scuola… con buona pace dell’auspicato incrocio tra domanda e offerta, e della tanto enfatizzata rivoluzione operata dalla Legge, mediaticamente sintetizzata nello slogan: “non è più il docente a scegliere la scuola, ma è la scuola che sceglie il docente”.

Non dovremo attendere molto per sapere se effettivamente sarà così. Ma è lecito, almeno per questo primo anno di concitata attuazione della Riforma, dubitarne.