La Valutazione dei dirigenti scolastici: tra timori e opportunità

Oltre la sperimentazione

Cosa si aspettano i dirigenti scolastici italiani da un processo di valutazione che non sembra essere accolto dalla categoria con particolare favore?

Negli ultimi 15 anni le esperienze messe in campo, tutte di tipo sperimentale, sono sostanzialmente fallite, rafforzando l’idea che si tratti di operazione difficile, faticosa e, in fin dei conti, inutile. Questa volta, però, la sensazione che si prova è di trovarsi davanti a qualcosa di più serio e fondato, e che il processo disposto dai commi 93 e 94 all’art. 1 della Legge 107/2015 preluda ad un processo di valutazione che non finirà, come altre volte, nel dimenticatoio, ma che rappresenti il primo passo di un cammino che evolverà nel tempo, ma che non consenta di fare “passi indietro”.

Il “peso” della valutazione

Cerchiamo di analizzare alcuni aspetti di fondo, evidenziando opportunità e limiti del processo che si intende realizzare.

Il comma 93 all’art. 1 della Legge 107/15 prevede che la valutazione dei dirigenti scolastici venga effettuata rispetto ad alcune dimensioni professionali, ad ognuna delle quali viene attribuito un “peso” differenziato nella valutazione:

– 60% per le dimensioni riferite alle competenze gestionali ed organizzative, al contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico, e alla direzione unitaria della scuola (lettere a, d, e del comma 93);

– 30% per la valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto (lettera b del comma 93);

– 10% per l’apprezzamento dell’operato all’interno della comunità professionale e sociale.

Il processo: obiettivi, fasi di attuazione

Appare chiaro come il processo di valutazione della dirigenza scolastica si iscriva nel più ampio processo di valutazione del sistema di istruzione, tenendo ben presente una coerenza di fondo tra valutazione degli apprendimenti, delle professionalità, del merito, dell’organizzazione scolastica. In tal senso gli obiettivi di riferimento sono quelli definiti a livello nazionale, quelli regionali e quelli derivanti dal RAV di ogni istituzione scolastica. Già a partire dall’avvio di quest’anno scolastico è stata predisposta la revisione degli incarichi dirigenziali, con la ridefinizione degli obiettivi da parte dei Direttori degli USR e con l’inserimento di quelli tratti dal RAV.

I dirigenti scolastici saranno poi chiamati ad effettuare un’autovalutazione (indicativamente entro il prossimo mese di maggio) su un format comune (il cosiddetto Portfolio) sulle azioni realizzate e i risultati ottenuti.

Entro la fine di agosto i Nuclei di valutazione, costituititi a livello regionale, effettueranno una valutazione di prima istanza, e i Direttori degli Uffici Scolastici Regionali, sulla base di tale valutazione, effettueranno una valutazione definitiva. L’eventuale restituzione degli esiti della valutazione sarà effettuata entro il prossimo mese di dicembre.

Il processo di valutazione prevede 4 possibili esiti per i dirigenti:

– pieno raggiungimento degli obiettivi;

– avanzato raggiungimento degli obiettivi;

– buon raggiungimento degli obiettivi;

– mancato raggiungimento degli obiettivi.

Ai diversi esiti è collegata la corresponsione, in percentuale maggiore o minore, della retribuzione di risultato definita nei vari Contratti Integrativi Regionali, ovvero, nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, l’applicazione dell’art. 21 del D.Lgs. 165/2001, che prevede il mutamento o la rimozione dall’incarico dirigenziale.

Valutazione come strumento di costruzione di un’identità professionale

L’organicità del processo, e del disegno che lo sottende, rappresenta un indubbio punto di forza: siamo forse sulla buona strada per definire quel primo abbozzo di profilo professionale del dirigente scolastico che non si è stati in grado di costruire dal 2000 ad oggi; un minimo comune denominatore da cui partire. La decisione di contenere le aree di azione professionale poste sotto osservazione, se da un lato fa sorgere il timore che non sia adeguatamente apprezzato gran parte del lavoro effettivamente svolto da ogni dirigente, in contesti e situazioni che richiedono impegni diversificati e gravosi anche su aree non direttamente indagate, dall’altro definisce come prioritarie quelle aree di professionalità più direttamente collegate al perseguimento del successo formativo e, più in generale, al miglioramento del servizio scolastico: non si valuta tutto, ma si valuta certamente quello che appare prioritario, indispensabile. In tal senso la valutazione dovrebbe rappresentare una potente leva di miglioramento delle prestazioni professionali della dirigenza e, di conseguenza, dell’intero sistema.

Un ulteriore elemento di apprezzamento generale credo possa essere rappresentato dal tentativo, evidente nelle Linee guida, di definire una procedura oggettiva e trasparente rispetto ad indicazioni normative estremamente generiche.

Miglioramento o premialità?

Non mancano perplessità legate anche a questa fase di avvio. Innanzitutto non c’è piena chiarezza circa le due finalità esplicitate del processo: fornire strumenti di miglioramento della professionalità dei dirigenti da un lato e, dall’altro, definire meccanismi di differente retribuzione sulla base della valutazione (o di rimozione dall’incarico in caso di valutazione negativa). Si rischia di vedere vanificata la prima se non si maneggiano con cura le procedure relative alla seconda. Intendo dire che, se dovesse passare la percezione di uno strumento volto prioritariamente a “premiare” ovvero a “punire” i più o meno “allineati”, lo scenario di derive di comportamenti opportunistici, servili e/o clientelari non appare del tutto infondato.

Quali obiettivi per il dirigente?

Un secondo nodo critico è rappresentato dall’eccessiva eterogeneità degli obiettivi definiti dai vari Uffici Scolastici Regionali: appare una evidente mancanza di unitarietà nella visione del processo, con obiettivi estremamente differenziati nelle varie regioni, talvolta in contrasto tra loro con effetti anche “schizofrenici”.

Anche la scelta della centralità degli obiettivi del RAV non appare priva di rischi: legare la valutazione al perseguimento di obiettivi di carattere triennale, all’interno di un contesto “liquido” e mutevole come quello attuale, può far perdere di vista lo specifico dell’azione dirigenziale, maggiormente collegato alla capacità di sapersi flessibilmente adattare alle mutevoli condizioni contingenti, finendo con il sottovalutare proprio questa capacità di impegno gestionale costante e quotidiano.

Un’ulteriore criticità è legata al rilevante peso affidato al processo di valorizzazione del personale (se fosse centrata sull’assegnazione del bonus per il merito ai docenti, al momento del tutto sperimentale): quali sono gli indicatori e i descrittori che possano definire la correttezza nella procedura adottata da ogni dirigente sulla base di criteri definiti da un organo collegiale?

L’interazione valutatore-valutato

Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla terzietà del processo di valutazione, non mancano elementi di riflessione critica sull’eccessiva discrezionalità lasciata ai Direttori regionali sia nella costituzione dei Nuclei di Valutazione che nella fase del confronto sulla valutazione, soprattutto con chi è destinatario di valutazione negativa. Tale fase è infatti prevista solo al termine del processo e non, come sarebbe forse più opportuno, quando dovessero emergere elementi di criticità nella fase di valutazione di prima istanza, a meno che il Direttore dell’USR non lo reputi opportuno.

Infine un elemento di indubbia criticità è quello di una valutazione fondata quasi esclusivamente su base documentale: è prevista, infatti, una sola visita nel triennio anche da uno solo dei membri del nucleo, rendendo molto più labile la collegialità del nucleo stesso, che potrebbe essere fortemente influenzato dagli orientamenti di uno solo dei suoi membri.

Dalla valutazione dei dirigenti alla valutazione degli insegnanti

I nodi critici sopra esposti saranno tutte questioni, insieme ad altre che inevitabilmente emergeranno, che dovranno essere affrontate quanto prima per assicurare il successo del processo di valutazione messo in campo, affinché possa poi, necessariamente, prendere avvio un processo di valutazione delle prestazioni professionali dei docenti: non è infatti possibile ritenere il dirigente l’unico, e nemmeno il principale, responsabile degli esiti formativi. È un passo ineludibile, che richiede coraggio e determinazione, senza il quale lo stesso processo di valutazione della dirigenza perderebbe gran parte del suo senso.