Un RAV anche per l’infanzia?

L’autovalutazione nella scuola

Da due anni tutte le scuole italiane sono alle prese con il RAV (Rapporto di Autovalutazione). Secondo molti commenti si tratta di uno strumento assai utile, che mette a disposizione di ogni istituzione scolastica dati importanti per “leggere” la propria situazione (attraverso 49 indicatori aggregati in 15 aree), confrontarsi con scuole simili, posizionarsi rispetto a rubriche di qualità, esprimendo un giudizio sul proprio funzionamento organizzativo-didattico e sugli esiti degli allievi. Non si tratta di un puro esercizio formale, ma di una specifica azione finalizzata a promuovere scelte didattiche e organizzative utili a realizzare al meglio gli obiettivi formativi di ogni scuola, centrati sugli apprendimenti e le competenze degli allievi.

Al momento le scuole sono impegnate a mettere a fuoco i Piani di Miglioramento, anche utilizzando apposite risorse che sono state messe a disposizione del MIUR con il Decreto di cui all’art. 27 del DM 633/2016 (cfr. http://www.istruzione.it/arricchimento-offerta-formativa/avvisi.shtml). In questo scenario si colloca la proposta di un RAV-infanzia, uno strumento di autovalutazione che sarà progressivamente rivolto a tutte le scuole dell’infanzia italiane.

Caratteristiche del RAV-infanzia

Il prototipo di RAV è stato predisposto da un gruppo di lavoro istituito da INVALSI (febbraio 2016), ed è stato poi sottoposto ad un’ampia consultazione nelle scuole dell’infanzia (3.778 scuole partecipanti), i cui esiti sono stati presentati in un seminario al MIUR svoltosi il 24 gennaio 2017. I materiali del seminario, nonché gli esiti dell’indagini, il modello di RAV, sono reperibili nel sito dell’INVALSI in una sezione dedicata: http://www.invalsi.it/infanzia/index.php?action=documenti.

Il modello ricalca a grandi linee quello del RAV adottato negli altri livelli scolastici. Medesima è la scansione nelle dimensioni “contesto”, “processi organizzativi”, “processi didattici”, “esiti degli allievi”. Ci sono poi un’ulteriore declinazione in aree (15) e indicatori, una serie di domande aperte, gli spazi per le argomentazioni di sintesi delle scuole, le rubriche descrittive dei 7 livelli in cui ogni scuola va a collocare (e motivare) la propria posizione nelle diverse aree.

Tuttavia, già ad un primo sguardo, appaiono interessanti diversità, in particolare nell’area degli esiti formativi ed educativi. Non troviamo più i risultati scolastici (voti, giudizi, esami, promozioni, ecc.), né i risultati nelle prove INVALSI. Non poteva che essere così, perché con questa operazione non si intende introdurre il testing nella scuola dei bambini dai 3 ai 6 anni. Questi due indicatori sono sostituiti da “Benessere dei bambini” (condizione fondamentale per la loro crescita) e “Sviluppo e apprendimento” (con un approccio di tipo globale e integrato), due punti di vista molto più consoni alle caratteristiche dell’età evolutiva dei bambini, che non possono essere oggetto di misurazioni standardizzate.

I nodi concettuali aperti

Il rapido sviluppo dei processi di autovalutazione ha lasciato un po’ in ombra le questioni teoriche implicate nella valutazione di sistema: qual è l’obiettivo della valutazione delle scuole? È corretto mettere al centro del RAV gli esiti degli allievi? Non si rischia di sottovalutare la qualità e l’incidenza dei processi? C’è una prevalenza di dati quantitativi, parametri, indici statistici, a scapito di un’analisi narrativa e discorsiva? I dati sugli apprendimenti rilevati dall’INVALSI hanno un peso eccessivo nella valutazione delle scuole? E qual è il ruolo delle rubriche valutative e della scala a sette valori (da 1 a 7) per i giudizi delle scuole (interni ed esterni)?

Ora, la generalizzazione del RAV alla scuola dell’infanzia potrebbe aiutare l’intero sistema educativo ad affrontare questi aspetti, spesso dati per scontati, presi come si era dalla logica dell’adempimento e delle scadenze ravvicinate.[1] La presenza della valutazione nella scuola dell’infanzia, infatti, è giustificata dalla sua natura “formativa”, di atto di conoscenza e riflessione per promuovere lo sviluppo dei bambini nel migliore contesto educativo possibile.

I dati non potranno essere puramente statistici, perché la qualità degli ambienti educativi è da descrivere anche in modo argomentato (a questo servono le domande aperte del RAV). Gli esiti educativi non potranno essere “misurati” con test normativi, ma osservati e registrati con modalità non intrusive. Sarà importante capire come i singoli bambini stanno crescendo, ma anche cogliere gli effetti del contesto e del gruppo.

Più che una frammentazione di informazione diventa importante elaborare un’idea “olistica” di apprendimento e di formazione (un segnale importante anche per le altre scuole, impegnate a verificare l’acquisizione di “competenze-chiave” nei ragazzi). La scuola dell’infanzia, quindi, si presenta all’appuntamento con il RAV con una sua cultura della valutazione, che può essere uno stimolo prezioso per l’intero sistema educativo.

Un’introduzione partecipata del RAV-infanzia

L’autovalutazione è un processo ormai accolto favorevolmente dalle scuole italiane. Il RAV è stato compilato da tutte le istituzioni. Semmai il problema è tradurre il processo di valutazione in un vero percorso di miglioramento, e questo passaggio non è scontato. A volte sembra prevalere la logica dell’adempimento formale (“così abbiamo tutti i documenti a posto: PTOF, PdM, RAV, PAI, ecc.”) e spesso manca il coinvolgimento dell’intera comunità scolastica.

Dunque, non si deve sprecare un’occasione importante come questa, perché il RAV-infanzia:

  • si inserisce nel processo di sviluppo del sistema integrato 0-6 (aiutando la scuola dell’infanzia a rinsaldare la sua identità pedagogica ed organizzativa);
  • facilita il confronto tra i diversi modelli educativi (scuole statali, comunali, private paritarie) per consolidare gli elementi di qualità comuni;
  • responsabilizza le scuole nei processi di rendicontazione sociale (evitando che prenda piede la mania delle telecamere in classe…);
  • stimola gli insegnanti in processi di riflessione, formazione, ricerca, confronto, per promuovere un profilo professionale “competente”.

Il RAV, però, non è semplicemente uno schema da riempire rispondendo alle domande. Ci sono delle attività preliminari indispensabili da compiere. Ad esempio, occorre disporre di molti dati informativi sul funzionamento delle scuole (orari, spazi, risorse, strutture) e sulla progettualità (metodi didattici, forme di osservazione, rapporti con i genitori, ecc.), che dovranno essere forniti dai sistemi statistici (MIUR, ISTAT, Invalsi, ecc.) o che dovranno essere richiesti alle scuole stesse con un apposito analitico questionario. Ma, soprattutto, dovranno essere “provati” gli strumenti per osservare lo sviluppo dei bambini, rilevare il loro “benessere”, attraverso un delicato rapporto tra lettura qualitativa e possibili indicatori quantitativi (es.: check di frequenza piuttosto che scala di giudizio).

Occorre dunque un “rodaggio” preliminare, prima di generalizzare l’impresa.

Le condizioni per una buona sperimentazione

Ancora devono essere decise le modalità di introduzione “obbligatoria” del RAV nel mondo delle scuole dell’infanzia. Si tratta di un sistema complesso, fatto di ben 23.515 scuole, di cui 13.424 statali, 1.954 comunali, 8.137 private paritarie, con modelli gestionali e pedagogici assai diversi. Spesso sono piccole scuole (in media hanno tre sezioni e ospitano 70 bambini), mentre il “RAV dei grandi” è stato costruito sulle dimensioni delle scuole statali autonome (vicine ai 1.000 allievi). Inoltre le scuole non statali (comunali e private) sono mono-ordinamentali (cioè sono autonome o si aggregano in orizzontale), mentre le scuole statali sono aggregate ormai nell’80% dei casi negli istituti comprensivi, quindi in parte sono già “descritte” nel RAV dell’istituto. In quest’ultimo caso un pre-RAV è utile per “pesare” di più nel RAV complessivo dell’istituto comprensivo (o della Direzione Didattica).

Dunque ci sono aspetti organizzativi e pedagogici che richiedono una strategia sperimentale graduale. Servono alcuni mesi per mettere a punto gli strumenti di lavoro (magari con il supporto di una piccola rete di scuole “innovative”); occorre poi “provare” l’intero dispositivo in un gruppo ampio e rappresentativo di scuole.

Immaginiamo un modello simile a VALES (la sperimentazione che ha consentito di avviare il Sistema Nazionale di Valutazione), che possa coinvolgere almeno 400 scuole dell’infanzia nel nostro Paese nel 2017 (meglio dire nel 2017/18), in cui siano rappresentate le scuole statali, comunali e paritarie. Occorre una procedura trasparente per la scelta delle scuole (sarebbe opportuna una candidatura sulla base di un curriculum di scuola), allestire momenti di formazione, destinare alcuni fondi alle scuole impegnate nel progetto, garantire una supervisione scientifica “plurale”, tenuto conto del dibattito pedagogico “aperto”.

Speriamo che i decisori politici siano consapevoli di questi necessari passaggi, per non bruciare anzitempo una innovazione preziosa.

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[1] Per un’analisi delle questioni teoriche sottese al processo di autovalutazione si rimanda al fascicolo di “Scuola Democratica”, n. 2, maggio-agosto 2016, il Mulino, interamente dedicato a “Valutazione e miglioramento nei processi educativi” (a cura di C. Barone e R. Serpieri). Segnalo il mio intervento su “Valutazione interna ed esterna. Attori e prospettive per il miglioramento della qualità dell’istruzione”, pp. 397-414.