La valutazione dei dirigenti scolastici tra emergenze e disorientamento

La valutazione come dovere istituzionale?

Il problema della valutazione in ambito scolastico è da tempo al centro del dibattito istituzionale. Si è passati, infatti, dalla valutazione degli apprendimenti, alla valutazione di istituto, a quella di sistema, per approdare alla valutazione del personale, in primis a quella del dirigente scolastico.

Secondo quanto disposto già dal d.lgs. 165/2001, d’altra parte, il dirigente scolastico, essendo responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio, deve rispondere in ordine ai risultati che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione (art. 25).

Data tale premessa, la valutazione dei dirigenti appare doverosa e, dopo 16 anni, addirittura tardiva.

Tuttavia, in proposito, almeno tre questioni impongono l’obbligo di una, sia pur rapida, riflessione: la prima, più generale ma preliminare, investe direttamente la figura del dirigente; la seconda riguarda il contesto attuale; la terza concerne, nel merito, il tipo di valutazione somministrata.

Quale modello per la dirigenza scolastica in Italia?

Il dirigente attuale ha realmente gli autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane attribuitigli dal d.lgs. 165/2001, che ne disponeva la valutazione, ed ha un’autonoma o, quantomeno, minima discrezionalità nella gestione delle risorse finanziarie e strumentali, tale da renderlo responsabile dei risultati?

Nel sistema scolastico inglese, che sulla valutazione ha una lunga e ben sperimentata tradizione, le scuole, in un sistema fortemente decentrato, definiscono il numero degli insegnanti da tenere nel proprio organico; provvedono direttamente (tramite il consiglio di amministrazione o con delega al direttore) alle procedure per selezionare i docenti, decidono premi ed aumenti stipendiali. Lì ogni aspetto del fare scuola è valutato: dagli studenti ai docenti e agli esiti complessivi, e chi assume le scelte è effettivamente responsabile, nel bene e nel male, dei risultati conseguiti.

Nel sistema scolastico italiano il dirigente non sceglie la squadra, sia nella quantità che nella qualità (l’incremento docenti per l’organico dell’autonomia è limitato – addirittura mediamente solo 3 docenti nel primo ciclo – e la chiamata diretta dei docenti è solo residuale e ininfluente); non dispone delle risorse economiche necessarie, ma solo di quelle erogate su parametri standard. Gli interlocutori locali, quand’anche attenti, spesso non dispongono di risorse; qui ogni iniziativa, sia pur minima, deve passare al vaglio di uno, due, tre organi collegiali, oltre che essere, spesso, oggetto di negoziazione…

In un sistema siffatto il dirigente può essere considerato il solo responsabile dei risultati?

Lo scenario attuale

Dopo 16 anni e svariate riforme, il disegno delineato con il d.lgs. 165/2001 appare ancora incompiuto. La stessa legge 107/2015 di riforma del sistema scolastico, sebbene ampli le competenze e i poteri del dirigente scolastico (delineati dal comma 78 al comma 85, ma di fatto ridimensionati con provvedimenti successivi), lo fa in modo limitato. Non tocca, ad esempio, un nodo di fondo relativo a un necessario e contestuale riordino degli organi collegiali (risalenti al 1974), né procede ad una  ridefinizione delle loro competenze, che spesso si intrecciano e si sovrappongono a quelle del dirigente, rallentandone e riducendone l’azione; ripropone esclusivamente in capo al dirigente scolastico (comma 78) la responsabilità della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio, secondo quanto previsto dall’art. 25 del d.lgs. 165/2001.

Valutati sì, ma per cosa?

Per quanto riguarda l’oggetto della valutazione dei dirigenti scolastici, appare preminente che si terrà conto del contributo del dirigente al perseguimento dei risultati per il miglioramento del servizio scolastico previsti nel rapporto di autovalutazione  secondo alcuni criteri generali: a) competenze gestionali ed organizzative…; b) valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto…;  c) apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale; d) contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti…; e) direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole (comma 93 della L. 107/15).

Ad ogni buon conto, comunque, il dirigente scolastico sa bene che,  valutazione o non valutazione dei risultati,  con l’autonomia  si trova sempre ad essere responsabile di tutto.

Una professione in un contesto istituzionale e sociale instabile

Il dirigente, che per implicita definizione è colui che ha il compito di dirigere, di guidare verso una meta, deve avere ben chiara non solo la meta finale, ma anche sicuri e stabili punti di riferimento circostanti. Ebbene, il contesto generale appare instabile e a volte contraddittorio: tre governi, con tre diversi ministri dell’istruzione negli ultimi quattro anni. Si manifestano modi diversi di intendere la scuola e idee diverse sull’attuazione della recente riforma (che già è ampia e complessa di per sé); cambi di rotta repentini, frenate e accelerazioni, continui aggiustamenti si susseguono, complicando oltremisura la “mission” del dirigente.

La valutazione, come prova sperimentale, effettuata, qui ed ora, in un contesto generale instabile, contiene una grossa incognita sul suo destino futuro. Qui si pone una prima domanda di merito: sarà utile e utilizzata dai prossimi governanti, o seguirà la medesima sorte delle prove del SI.VA.DI.S. (acronimo di Sistema Valutazione Dirigenti Scolastici) del 2005 dai deludenti esiti?

La frenesia delle procedure

Il contesto di fatto, che non è teorico né generale ma concreto e specifico, qui viene solo accennato, considerato che esso è ben noto ai dirigenti scolastici, e forse pienamente solo a loro. Una molteplicità di procedure amministrative da predisporre in modo formalmente perfetto, adempimenti moltiplicatisi con la riforma la cui mole sommerge, scadenze urgenti e continue, innumerevole pratiche, incalzanti problematiche di varia natura relative ad alunni, docenti, genitori, rappresentanti sindacali, autorità locali, emergenze improvvise, gare, convenzioni, accordi di rete, partenariati, sicurezza… sono solo, in piccola parte, il pane quotidiano del dirigente, insieme con il suo esercizio perpetuo di equilibrismo su una sottile linea sospesa tra il rischio di eccesso (di potere) da un lato, e omissione (di atti o di vigilanza) dall’altro. Questa frenesia, questa corsa continua e infinita contro il tempo assorbe ed esaurisce rilevanti energie, e genera un livello di esasperazione e frustrazione mai percepito prima.

Il dirigente tra emergenze e disorientamento

Al dirigente vengono richieste oggi competenze organizzative, di direzione, di regia e coordinamento, competenze didattiche, di valutazione, giuridico-amministrative, relazionali, gestionali. Il loro esercizio richiede, soprattutto in questa fase di transizione attuativa della riforma, un’attenta e dettagliata pianificazione degli interventi, che nella pratica spesso finisce con l’essere relegata ad una continua rincorsa delle emergenze, con l’altro rischio di perdere di vista le priorità e gli obiettivi di sistema e, soprattutto, l’alunno, destinatario finale di tutte le attività.

E nel mentre è richiesto un ulteriore impegno con la promulgazione dei decreti attuativi della riforma, il conseguente mare magnum di attività da svolgere e l’introduzione di elementi innovativi, giusto perché non manchi niente, viene calato il carico della valutazione di cui alla direttiva 36/2016. I dirigenti appaiono stanchi, sfiniti e per certi versi disorientati, anche per la cornice istituzionale poco stabile.

Per una buona cultura della valutazione occorre una buona formazione

Il nostro sembra un Paese congenitamente allergico alla valutazione. Ciò va riconosciuto. Forse perché ne teme gli effetti punitivi e insieme ne sottovaluta gli aspetti positivi. Forse perché diffida della neutralità dei valutatori, forse per altri motivi ancora.

Anche tra i dirigenti scolastici serpeggia malcontento, sorgono movimenti di silenziosa protesta, opposizione e desiderio di astenersi. E ciò non certo per il timore di effetti punitivi. La direttiva 36/2016 chiarisce bene l’aspetto formativo e certificativo della valutazione: il processo di valutazione è finalizzato alla valorizzazione e al miglioramento professionale dei Dirigenti nella prospettiva del progressivo incremento della qualità del servizio scolastico, lontano quindi da ogni ottica giudicante e controllante (non ha, per questo anno, effetti economici).

Se il contesto in cui ogni dirigente opera è quello rappresentato, si rischia, però, di continuo, di disperdersi dietro le mille questioni giornaliere, senza perseguire un piano d’azione ad ampio respiro, che racchiuda con coerenza il proprio agire. In questa situazione non è semplice costruire e conservare coerenza d’azione. Nonostante tutto si può riconoscere che gli strumenti predisposti negli ultimi anni dal Sistema di Valutazione, dal RAV al PDM al Portfolio del DS, rappresentano un importante momento di autoanalisi e un’opportunità di ritrovare quel filo rosso conduttore che troppo spesso, in una scuola vittima della “sindrome d’assedio”, si spezza.

Per rendere il procedimento chiaro e trasparente, il Miur e gli UU.SS.RR. stanno accompagnando i DD.SS. nell’azione valutativa con una serie di iniziative di informazione e formazione. Sono stati promossi conferenze di servizio e incontri seminariali, finalizzati alla conoscenza e alla sperimentazione degli strumenti che i Nuclei adotteranno nelle loro visite.

Dirigenti valutandi e dirigenti valutatori

Con le conferenze di servizio sono stati illustrati ai dirigenti scolastici principi e modalità della valutazione. Si tratta di un processo che, partendo dalla lettera di incarico, leggerà la coerenza tra gli elementi formali, rappresentati nei principali documenti esplicativi dell’azione del DS: Atto di indirizzo, PTOF, RAV, PdM, direttiva al DSGA. Attraverso la lettura del Portfolio, la cui non compilazione non preclude il processo di valutazione, il Nucleo si orienta relativamente alle specificità delle azioni intraprese. L’orientamento dato è quello di essere selettivi, puntando su poche azioni che diano la possibilità di individuare la coerenza delle piste di azione del DS con le aree di processo del RAV, senza perdere di vista i criteri generali del comma 93 della legge 107/2015.

Le iniziative più apprezzate in tema di formazione della dirigenza scolastica, inutile sottolinearlo, sono e restano quelle che propongono attività laboratoriali, sul modello PRODIS curato dall’Invalsi per la formazione dei Nuclei di valutazione, che riescono a mettere in situazione i dirigenti scolastici, riequilibrando il gap formativo tra i dirigenti valutandi e quelli che rivestiranno anche il ruolo di valutatori.

Una valutazione siffatta innegabilmente può essere d’aiuto per lo sviluppo professionale, purché sia valida ed effettuata da idonei ed esperti valutatori; altrimenti può risultare addirittura dannosa. E qui, insieme a dubbi e perplessità di numerosi dirigenti, sorge un’ultima sostanziale domanda: i Nuclei di valutazione sono costituiti da personale esperto ed in possesso di effettivi requisiti specifici idonei a tale valutazione?