La formazione in servizio nel contratto… Stop? No, avanti adagio…

La formazione in servizio nel ccnl 2016-2018

Il 9 febbraio 2018, alle 7.45, è stato firmato il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 2016-2018.

Molte le aspettative, dopo undici anni, durante i quali sono state varate importanti riforme strutturali, come il DPR 80/2013, la Legge 107/2015 e i successivi decreti attuativi, che hanno delineato un nuovo assetto del sistema scolastico italiano.

Pare superfluo ricordare che il tema della formazione e dell’aggiornamento è strettamente legato al ruolo professionale del docente, quindi era fortemente atteso il recepimento delle norme vigenti nel contratto di lavoro, in particolare il riferimento al comma 124 della L. 107/2015, – “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale” – e il DM 797 del 19 ottobre 2016, “Piano nazionale di formazione del personale docente 2016/2019”.

Tuttavia il nuovo contratto non sembra regolamentare tali principi legislativi, infatti i riferimenti alla formazione sono presenti nella sola disposizione della materia relativa alla contrattazione integrativa nei termini riportati all’art. 22:

  • al comma 4, che prevede a livello nazionale i “criteri generali di ripartizione delle risorse per la formazione del personale docente educativo ed ATA”;
  • al comma 8 (a1), che riporta a livello nazionale e regionale la definizione degli obiettivi e delle finalità della formazione professionale;
  • al comma 8 (b3) sono demandati a livello di istituzione scolastica i criteri per la fruizione dei permessi per l’aggiornamento.

Una nuova stagione di incertezze?

L’art. 1 comma 10 rimanda, per quanto non espressamente previsto, ai CCNL precedenti e alle specifiche norme compatibili, nei limiti del D.Lgs. n. 165/2001[1].

Dunque anche per la formazione docente si potrebbe aprire una nuova stagione di difficoltà interpretative, come è già successo a partire dal discusso art. 65 del D.Lgs. 150/2009, che aveva dato vita a forti contenziosi e ad una serie di vertenze giudiziarie anche tra loro contrastanti. Un contenzioso giudiziario che continua, nonostante il D.Lgs. n. 141 del 1 agosto 2011[2].

Nei giorni scorsi sono già emersi difformi pareri sull’obbligatorietà o meno della formazione; non è difficile immaginare quanto la discussione possa animarsi nelle sale insegnanti, ad esempio relativamente alle decisioni prese sui criteri per la fruizione dell’aggiornamento a livello di istituto.

Formazione obbligatoria sì o no?

Tra i punti di forza del nuovo contratto il sindacato ritiene soddisfacente che non vi sia “nessuna manomissione dei diritti, nessun aumento degli orari di lavoro, invariati anche nella loro articolazione, nessuna imposizione forzata di prestazioni non volontarie”[3]. Probabilmente anche la formazione obbligatoria avrebbe potuto trascinare con sé il conseguente tema delle ore di attività funzionali all’insegnamento[4], della retribuzione o meno della formazione ecc…

Tuttavia, portare l’ombra dell’incertezza sull’obbligatorietà della formazione, e sul deludente binomio diritto/dovere, non soltanto non garantirebbe un sistema scolastico di qualità, ma riverserebbe sulle singole scuole il problema della motivazione delle persone alla partecipazione ai corsi, dei riconoscimenti, degli incentivi, delle convenienze.

Chi ha frequentato le aule scolastiche sa bene che fare formazione comporta un ulteriore aggravio di lavoro. Difficile cogliere la “convenienza” quando ci si costringe ad uscire dal caldo tepore domestico nei pomeriggi piovosi d’inverno, per tornare tra i banchi vuoti delle aule a discutere, per esempio, se ha senso il gerundio nei problemi di matematica – a termosifoni spenti! La “convenienza” si coglie solo in seguito, nel sentirsi vivi, in tasca la motivazione, pronti a portare nella lezione, ai ragazzi, sotto i loro occhi, le argomentazioni. Sfidare, per esempio, la monotonia degli esercizi grammaticali, e inventare problemi fatti solo di verbi “amici” … Piccoli giochi didattici, frutto di spunti nati in un pomeriggio piovoso e faticoso, passato a parlare di come “fare la scuola” con esperti e colleghi.

Più che la convenienza, si riconosce la fatica di tornare a casa di corsa, buttare qualcosa nei piatti e spesso rimettersi tra i quaderni degli studenti.

Perché è conveniente impegnarsi nella formazione?

La convenienza può arrivare, dopo il corso, quando ci si sente pronti a portare in classe nuove/rinnovate azioni didattiche da condividere, da spiegare, per farne un’esperienza unica da vivere insieme ai ragazzi. Non la ripetizione meccanica di regole e programmi, ma per esempio la “posizione” di un dubbio, una scommessa – “Davvero i problemi di matematica sono più risolvibili se si semplifica il testo, se si toglie il gerundio?!”.

Più che la convenienza, la soddisfazione è impagabile quando accade che i ragazzi lamentano il suono della campanella, e vorrebbero invece continuare la lezione. La soddisfazione di vederli motivati, attivi, autonomi, partecipi, interessati, curiosi, protagonisti dell’apprendimento.

Il frutto di un pomeriggio di ricerca, di approfondimenti, di confronti… piccole idee che risvegliano la voglia di sperimentare… che rafforzano o confermano la professionalità acquisita… che fanno sentire attuale e irripetibile l’esperienza formativa che si riporterà a quella classe, che rinnova la voglia, che riaccende l’energia.

Tuttavia disattendere una formazione strutturale, obbligatoria e permanente, potrebbe facilmente portare a scegliere anche di non aggiornarsi. Lo si è visto negli ultimi venti anni, sebbene sia paradossale non formarsi pur formando per mestiere, non innovare, seppure è il cambiamento continuo la cifra dell’era del terzo millennio.

Non sarebbe impossibile ritrovare nelle classi “ammuffiti” stili educativi ripetuti giorno dopo giorno, somministrati indifferentemente agli alunni di terza D come a quelli di terza A, ai ragazzi del 2001 come a quelli del 2012.

Formazione e crescita del Paese: un rapporto causa-effetto

Con il D.M. 797 del 19 ottobre 2016 si è rimesso al centro il valore della professionalità docente, delineandone uno degli aspetti imprescindibili: “La crescita del Paese (e del suo capitale umano) richiede un sistema educativo di qualità, che guardi allo sviluppo professionale del personale della scuola – in coerenza con una rinnovata formazione iniziale – come ad un obiettivo strategico, di respiro internazionale, ripreso e valorizzato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.”[5]

Ci sono molte risorse per la formazione nei prossimi anni: 325 milioni di euro per il piano della formazione (comprese imminenti risorse europee), 1486 milioni di euro per lo sviluppo professionale continuo con carta del docente, nel triennio 2016/19, rimettono al centro il tema della “formazione come”: didattica laboratoriale, webinar, digitale, didattica per competenze, valutazione efficace, empowerment, autoformazione, peer to peer, ricerca…

Anche se tra incertezze e difficoltà, stanno emergendo gli elementi strategici del come fare formazione, a partire dalla qualità dei percorsi formativi, la presenza di buoni formatori, il ruolo dell’Indire, la qualificazione degli enti di formazione, le nove priorità nazionali[6]. L’attuazione del piano ha già visto la strutturazione di una nuova governance attraverso le “Scuole polo per la formazione”, la Carta docente, la piattaforma Sofia, come anche la possibilità di fare rete fra gli istituti scolastici autonomi. Ambiziosi traguardi sono il Piano di sviluppo professionale e la costruzione del portfolio professionale docenti.

Un piano che guarda al futuro non può essere compromesso dal “tepore domestico” del diritto/dovere.

La formazione in servizio nell’agenda del dirigente

Quanto delineato nel Piano nazionale per la formazione chiama in causa l’impegno dei dirigenti scolastici. Nella Legge 107/2015, al comma 93, lettera b), si raccomanda al dirigente scolastico la “valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale docente dell’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali”.

Del peso attribuito alla “valorizzazione della professionalità” si parla nelle Linee guida sulla valutazione dei dirigenti scolastici (Direttiva 36/2016)[7], ove si prefigurano molte azioni dei DS correlate alla formazione in servizio, e volte alla valorizzazione del personale scolastico: dalla promozione dello sviluppo professionale alla (predisposizione di strumenti per la) rilevazione dei bisogni e delle competenze dei docenti. La progettazione delle unità formative, coerenti con il piano nazionale della formazione, tiene conto delle esigenze formative rilevate, della soddisfazione del personale e della coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa di ogni istituto: sono azioni indispensabili per tenere insieme le tessere che pure compongono la “comunità educante” (guarda caso, il nuovo articolo 24 del CCNL), con uno sguardo lungo verso una professionalità degli insegnanti crescente e diversificata.

Si può essere validi docenti anche senza fare formazione? Forse sì, ma la formazione obbligatoria, permanente e strutturale, è senza dubbio uno dei “fattori abilitanti” al fine di assicurare al Paese il miglioramento degli apprendimenti e il successo formativo di tutti gli alunni.

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[1] CCNL 2016-2018 Art. 1 co. 10: Per quanto non espressamente previsto dal presente CCNL, continuano a trovare applicazione le disposizioni contrattuali dei CCNL dei precedenti comparti di contrattazione e le specifiche norme di settore, in quanto compatibili con le suddette disposizioni e con le norme legislative, nei limiti del D.Lgs. n. 165/2001.

[2] Di cui all’art. 5, “Interpretazione autentica dell’art.65 del D.Lgs. 150/2009”.

[3] Intervista a Maddalena Gissi 12 febbraio 2018, in Scuola7.it, n. 77.

[4] Art 29 CCNL 2006-2009.

[5] DM 797/2016, “Piano nazionale di formazione del personale docente 2016/2019”. Si veda anche il fascicolo monografico di “Voci della Scuola”, 11/2016, novembre 2016, “Formazione in servizio per tutti, Tecnodid, Napoli, con commenti di M. Spinosi, C. Brescianini, M.T. Stancarone, P .Serafin, E. D’Orazio, N. Maloni, G. Cerini, e il testo integrale del Piano triennale di formazione.

[6] 1. Autonomia organizzativa e didattica; 2. Didattica per competenze, innovazione metodologica e competenze di base; 3. Competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento; 4. Competenze di lingua straniera; 5. Inclusione e disabilità; 6. Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile globale; 7. Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale; 8. Scuola e Lavoro; 9. Valutazione e miglioramento.

[7] Nota esplicativa n. 2 “Il Portfolio del Dirigente scolastico e gli strumenti di valutazione”. In particolare si veda “il repertorio del dirigente scolastico”.