Valutazione e qualità nella scuola dell’infanzia

Valutare è un verbo delicato

Di recente, la lettura del report “Il miglior inizio” pubblicato da Save the Children (cfr. https://www.scuola7.it/2019/152) mi ha sollecitato alcune riflessioni che rimandano al tema delicato quanto spinoso della valutazione e autovalutazione e prove che vengono somministrate ai bambini. Sempre in questi giorni, 1800 scuole dell’infanzia in Italia hanno concluso il lavoro che prevedeva, in via sperimentale, la “compilazione” del RAV Infanzia, strumento pensato per attivare un processo riflessivo collegiale volto a rilevare la qualità del contesto educativo e produrre miglioramenti. In questo strumento, a differenza del RAV già in possesso del primo ciclo di istruzione, non ci sono prove oggettive standardizzate da somministrare ai bambini.

La valutazione nell’infanzia: riferimenti pedagogici

Per quanto riguarda la valutazione, nella scuola dell’infanzia, il punto di riferimento culturale e pedagogico si trova nel testo delle vigenti Indicazioni Nazionali per il curricolo e il primo ciclo di istruzione (2012) che le assegna un significato formativo volto al miglioramento. Nel testo si legge, infatti che “La valutazione riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita. Evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché orientata ad esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità”. Una valutazione di questa natura richiede un’osservazione attenta e sistematica capace di rilevare abilità, competenze che il bambino già possiede e quelle che si stanno ‘affacciando’. Queste potenzialità necessitano di essere rese manifeste e consolidate per orientare le scelte e l’intervento didattico al fine di incoraggiare quella crescita che i bambini stessi sollecitano. L’insegnante svolge il ruolo di chi sostiene (scaffolding), incoraggia e facilita lo sviluppo senza forzature.

In questa prospettiva si colloca il senso della valutazione formativa che invita il docente a concentrarsi sul processo sentendosi responsabile delle proprie scelte educative e didattiche, acquisendo consapevolezza sia rispetto a ciò che ha funzionato, sia relativamente agli insuccessi.

Il rischio delle prove “oggettive”

Un processo di valutazione così inteso ci pone, come insegnanti di fronte alla fatica emotiva connessa al giudizio (di colleghi, genitori, dirigente), al nostro rapporto con l’errore, con i limiti. Questa condizione fa sì che, spesso, si preferiscano soluzioni che all’apparenza sembrano innocue ma che hanno forti ricadute sulla motivazione e l’interesse ad apprendere. Diversi colleghi della scuola secondaria, in particolare, mi dicono che gli studenti non sono interessati a nulla a meno che quanto si propone loro non sia oggetto di verifica o di esame di Stato.

Mi riferisco alle situazioni in cui diventa forte la tentazione di ricorrere a prove standardizzate, test, schede il cui utilizzo dà l’illusione di poter ‘certificare’ con oggettività l’acquisizione di una certa abilità e/o competenza. Strumenti come quelli cui ho accennato, in particolare, se utilizzati per ‘crocettare’ la presenza o meno di una qualche abilità sono poco idonei alla realizzazione di una valutazione autentica, formativa, volta a migliorare la qualità educativa e didattica del contesto considerato e a stabilirne la qualità.

Un ulteriore rischio che si incontra è quello connesso all’utilizzo di prove oggettive (test, schede) per valutare i bambini se l’obiettivo del processo valutativo vuole essere quello di migliorare la qualità dei servizi educativi che vogliamo offrire ai bambini.

Come valutare la qualità della scuola

L’equazione buone prestazioni degli studenti nelle prove standardizzate uguale buona qualità della scuola conduce a confronti inutili e sterili che ben poco hanno a che fare con l’idea di valutazione contenuta già nella L. 517/1977, accolta e valorizzata nelle Indicazioni Nazionali del 2012. L’accostamento tra valutazione delle prestazioni degli alunni e la qualità della scuola è ancora meno adeguato se si fa riferimento ai contesti educativi dedicati all’infanzia. In questi casi, infatti, come sottolineano Bondioli e Savio (2017)[1] le acquisizioni e le competenze dei bambini dipendono non soltanto da variabili individuali, ma dalla loro storia, dalla famiglia, dal contesto extrascolastico rendendo difficile distinguere l’influenza di ciascuno di questi aspetti. Il tipo di competenze cui la finalità della scuola dell’infanzia rimanda (autonomia, identità, sapersi relazionare con gli altri) non sono rilevabili attraverso la somministrazione di prove standardizzate, ma utilizzando strumenti e strategie che rendano conto della quotidianità delle esperienze di apprendimento all’interno della scuola e/o del nido.

La frequenza del nido può contrastare la povertà educativa

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, mi chiedo quale scopo, finalità possono avere le prove di testing di cui si trovano alcuni esempi al termine del citato Report di “Save The Children”. Infatti, dati presentati e commentati mettono in evidenza, come già accaduto in precedenti pubblicazioni della stessa associazione e dal gruppo di lavoro della Commissione Europea sull’ECEC (2014)[2], che tra i fattori che sembrano incidere in modo più diretto sul successo formativo e sulla possibilità di ridurre il rischio di povertà vi è quello connesso alla possibilità di accedere e frequentare nidi e scuole dell’infanzia di qualità. In particolare, la riflessione è stata sollecitata dal fatto che i ricercatori di Save the Children hanno utilizzato uno strumento costituito da una serie di prove somministrate, individualmente, ai bambini (dai 3 anni e mezzo ai 4 anni e mezzo) per rilevare le loro capacità in quattro aree dello sviluppo (logico-matematica, linguistica, corporea, emotiva). Lo strumento, come ben si precisa, è stato utilizzato per rendere conto della correlazione ipotizzata tra povertà educativa e altri fattori considerati predittivi di povertà educativa. Tutto questo per sensibilizzare i Governi ad investire in politiche per l’infanzia che, tra le altre azioni, implementino e garantiscano la qualità dei contesti educativi.

…E il RAV Infanzia?

Come noto, Il Rav infanzia nasce come strumento di autovalutazione per sostenere le scuole nei processi di miglioramento della qualità dell’offerta formativa proposta. É uno strumento che, se utilizzato in una prospettiva di riflessività, dialogo e confronto nel team e tra le scuole può offrire, ad insegnanti e scuola dell’infanzia, l’opportunità di definire la propria identità e acquisire maggior consapevolezza professionale. Il 31 gennaio 2020 si è conclusa la fase di autovalutazione da realizzare sulla piattaforma online resa disponibile dall’INVALSI a partire dal novembre scordo. La decisione di prorogare la data di scadenza dal 31 dicembre al mese successivo ha accolto la richiesta di quanti temevano una delle possibili derive nelle quali possono incorrere questi strumenti: la compilazione burocratica.

Tra le opportunità che si colgono dedicando il giusto tempo alla valutazione-autovalutazione vi è quella connessa ad un uso riflessivo di questo strumento; utilizzo che dipende dalla modalità attraverso la quale si è proceduto alla sua elaborazione. In particolare, la riflessione collegiale può favorire quel processo di definizione dell’identità educativa evidenziandone peculiarità, criticità, risorse necessarie e possibili soluzioni in relazione allo specifico contesto.

RAV: dall’autovalutazione al miglioramento

Se la fase di autovalutazione che si è da poco conclusa ha permesso agli insegnanti di collocarsi all’interno di un quadro rispetto agli elementi prima considerati (criticità, particolarità, risorse disponibili, …) è ora necessario poter fare un passo successivo affinché il percorso di valutazione realizzato possa essere un valido supporto al miglioramento della qualità educativa e didattica di ciascuna scuola. Quest’ultimo passaggio ha a che fare con la formazione necessaria che dovrebbe accompagnare un ‘utile’ uso del “RAV infanzia” e valorizzarne le potenzialità formative e le possibilità di miglioramento. Lo strumento può consentire una maggior visibilità e specificità della scuola dell’infanzia nelle politiche educative per l’infanzia, evitando forme di omologazione al modello proprio di altri ordini scolastici. Per le scuole dell’infanzia inserite negli Istituti comprensivi, un RAV dedicato – che integra quello già disponibile per la scuola primaria e la secondaria di primo grado – può mettere in evidenza l’apporto specifico dei diversi gradi scolastici in una prospettiva di verticalità che favorisca un miglioramento complessivo della qualità.

Una professionalità “riflessiva”

Da quanto detto, emerge la necessità e l’urgenza di realizzare percorsi di valutazione autentici che rilevino la qualità dei servizi educativi in modo tale da fare pressione sui Governi affinché investano le risorse necessarie per garantire le risorse e le azioni necessarie a promuovere il miglioramento auspicato nelle diverse realtà. Un processo di questa natura e che si pone tali finalità non può utilizzare gli stessi strumenti e metodi con i quali si misurano le performance. Occorre invece puntare su una prospettiva di valorizzazione (dare valore a…) della professionalità docente capace di mettersi in discussione e di rendere conto della ricchezza del processo messo in atto per promuovere i progressi evolutivi dei bambini.

Non tutti sono ancora “attrezzati” ad affrontare le questioni dell’autovalutazione; processo, questo, che può essere realizzato soltanto se si è disponibili ad analizzare il proprio modo di operare, con lo scopo di trovarne i punti di forza da valorizzare e le criticità da superare.

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[1] Bondioli A., Savio D. (2017), “Il RAV in un quadro di valutazione formativa”, in E.Fontani (a cura di), Il RAV infanzia come strumento formativo-riflessivo, Bergamo: Zeroseiup.

[2] Commissione Europea per l’infanzia (2014), Proposal for Key principles of a Quality Framework for Early Childhood Educativo and Care. Trad.it. A.Lazzari (2016), Un quadro europeo per la qualità dei servizi educativi e di cura per l’infanzia: proposta di principi chiave, Bergamo: Zeroseiup.