La scuola: una comunità che cambia

Alcune riflessioni a partire dalla nota dipartimentale del 17 marzo 2020, n. 388

L’emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus sta inducendo il nostro Ministero ad inviare alle scuole, con una certa frequenza, consigli e indicazioni perché gli insegnanti si possano organizzare più agilmente nelle attività didattiche a distanza. Tra i diversi suggerimenti non passano inosservati quelli contenuti nella nota 17 marzo 2020, n. 388 sia per l’immediata reazione negativa di alcune sigle sindacali, ivi comprese quelle dei confederali che ne chiedono l’immediato ritiro, sia, all’incontrario, per le attestazioni di plauso di alcuni dirigenti scolastici, manifestate attraverso un comunicato stampa.

Un incipit confidenziale

L’incipit confidenziale nella nota sembra voler raccorciare le “distanze” tra istituzioni e scuole, nell’attuale momento storico, in cui sono proprio le distanze a fare la differenza.

C’è una scelta friendly, quindi, da parte di coloro che hanno la responsabilità di dare istruzioni sensate a dirigenti, insegnanti, amministrativi, ma anche alle stesse famiglie. E lo si avverte già nei primi capoversi laddove si invita a mantenere viva la comunità di classe e di scuola, a combattere il rischio di isolamento e demotivazione. È un invito, rivolto in maniera informale, anche a riflettere su ciò che è essenziale per far funzionare bene la scuola in tempi di pandemia. Il “carissimi”, con cui ci si rivolge ai responsabili territoriali, è evocativo di complicità e di sentimenti positivi: una modalità diretta che sembra ignorare gli schemi usuali che fino ad oggi hanno regolato i rapporti istituzionali. Considerate, poi, le reazioni di alcuni sindacati, sembra anche che i contenuti trasmessi non siano stati condivisi né tanto meno concertati con le forze sociali.

Oltre i rapporti istituzionali

È pur vero che nelle emergenze bisogna fare ciò che serve per risolvere prima e subito i problemi e non si può pretendere che si seguano le procedure dei tempi della “normalità”; ma è anche vero che oggi, proprio grazie alle tecnologie, si può disporre di strategie veloci che aiutino tutti gli attori istituzionali e sociali a sentirsi parte attiva nel processo decisionale.

Il rapporto privilegiato che sembra pagare di più è invece quello diretto, e senza alcuna intermediazione, con le persone che stanno sul campo, quelle stesse persone che ogni giorno devono affrontare i problemi e cercare di risolverli al meglio. E lo si fa attraverso uno stile che qualcuno potrebbe definire “populista”, e anche con la complicità di massime antiche: è infatti piuttosto inusuale che una nota istituzionale si chiuda con una citazione di un drammaturgo, vissuto nel primo secolo a.C., un tal Publilio Siro pressoché oscuro ai non addetti ai lavori.

La difficile strada della semplificazione

C’è un cambio, dunque, del registro comunicativo, una modifica del modo consueto di scrivere i documenti istituzionali. Potrebbe essere questa una buona occasione per incominciare a rispondere anche all’antica esigenza di cambiare lo stesso linguaggio giuridico. Sappiamo tutti quanto sia difficile per un cittadino, anche colto, riuscire a capire immediatamente i contenuti di una legge, tanto è ipotattica la costruzione della frase, tanto numerosi sono i rinvii a leggi pregresse.

La via della semplificazione, però, non è per nulla facile. Ci stiamo provando, senza successo, già dai primi anni Novanta, a partire dalle sollecitazioni di Sabino Cassese.

Semplificare è un processo matematico, ogni parola deve indicare un preciso significato, non può recare in sé margini di ambiguità o suggestioni personali, ma solo informazioni codificate e parametri formali. È l’appunto che i cultori delle scienze esatte rivolgono a coloro che si occupano di scienze umanistiche.

Ogni scienza il suo linguaggio… questione di rapporti

La semplificazione del linguaggio è sicuramente un obiettivo cui tendere, ma non può avvenire attraverso processi di unificazione linguistica, ogni scienza ha le sue regole. Così, alla stessa maniera, anche il linguaggio istituzionale deve rispettare le sue.

Nella scuola convivono competenze di varia natura che si servono di linguaggi differenti. Ogni istituzione scolastica fa ricorso, infatti, a professionalità d’aula, e oggi diciamo di “aula virtuale”, a competenze tecniche che devono garantire la possibilità di realizzare un buon insegnamento a distanza, a competenze gestionali e di coordinamento, che sono fondamentali per qualsiasi organizzazione complessa, ma ad un sapere amministrativo e contabile che deve assicurare il funzionamento dei meccanismi di base. Ogni tipo di sapere si serve, per poter operare, di un suo linguaggio. Le attività didattiche a distanza hanno bisogno dell’apporto di competenze diverse e, conseguentemente di linguaggi diversi. Ma questi linguaggi, perché diano effetti, devono essere tra di loro ben raccordati. Non è facile. È necessario che a monte ci sia questa consapevolezza e la conseguente capacità di realizzare collegamenti serrati a livello ministeriale e che tutte le strutture tecniche siano ben connesse proprio ad evitare dispersione di risorse o, peggio ancora, fallimenti.

La comunicazione efficace

Al Ministero ci sono molti uffici che sovrintendono aree di competenze differenti. È naturale che il livello di coordinamento non significa solo mettersi d’accordo su come comunicare con le scuole. Non significa neanche (e di questo siamo convinti) rinunciare ad uno stile comunicativo rassicurante per dare informazioni tecniche, non significa altresì non ricordare l’impegno etico della professione, e neanche astenersi dal trasmettere messaggi positivi. Coloro che hanno la responsabilità di incidere direttamente sulle sorti della scuola devono però tenere ben presenti le regole che sono alla base di qualsiasi comunicazione: il messaggio deve essere chiaro, semplice, breve e preciso. Bisogna essere molto attenti a selezionare le informazioni essenziali, ad utilizzare termini che non destino equivoci, ad evitare ripetizioni di parole e concetti.

La verbosità ingenera fastidio. Lo aveva ben evidenziato Giosuè Carducci annoverandola tra le peggiori cattiverie che una persona può riservare al suo simile. È noto l’aforisma: “Chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace di tutte le altre cattiverie”.

Oggi, molto spesso, le note ministeriali sono prive di quella necessaria stringatezza che si addice a qualsiasi comunicazione rispettosa dell’interlocutore.

Il rischio di una malintesa “valutazione”

Anche da qui nascono alcune perplessità sull’efficacia comunicativa di chi fa ricorso al linguaggio comune, che usa parole polisemiche, che elargisce suggerimenti generici. In una nota, seppure friendly, ci si aspettava, per esempio, di trovare indicazioni un po’ più precise sui temi che da sempre hanno diviso la stessa comunità professionale e che l’attuale emergenza sta rendendo ancora più difficile da affrontare. Ci riferiamo alla questione valutativa.

In una precedente nota (la 279 dell’8 marzo 2020) si diceva che la valutazione poteva essere svolta ricorrendo agli strumenti delle piattaforme usate senza dimenticare le norme vigenti. L’articolo 1 del D.lgs 62/2017 ricorda che devono essere valutati sia i processi formativi sia gli esiti degli apprendimenti di ogni studente. Sappiamo però che per tradizione, specialmente nella scuola superiore, l’enfasi è sulla valutazione degli apprendimenti scolastici che, nella maggior parte dei casi si realizza attraverso compiti in classe, interrogazioni e test chiusi. Se si utilizzano le medesime strategie valutative con la nascente didattica a distanza si potrebbe creare una situazione insostenibile sia per un eccessivo carico cognitivo di tipo riproduttivo, sia per una possibile disattenzione ai processi e ad un apprendimento significativo.

Non solo feedback

La nota ministeriale non aiuta molto in tal senso. Si limita ad invitare alla tempestività e alla trasparenza ricordando il diritto dello studente ad avere un feedback rispetto al compito svolto: se ha sbagliato, dove ha sbagliato e perché ha sbagliato. Non c’è, per esempio, alcun riferimento ad una valutazione che tenga conto dell’impegno, della responsabilità, della cura del proprio lavoro, o anche della capacità di trovare soluzioni ai problemi nuovi, nessuna attenzione al pensiero divergente, alla curiosità o alla creatività.

Non è facile valutare l’insieme dei processi apprenditivi solo attraverso test che tutte le piattaforme mettono oggi a disposizione. Né sono sostenibili interrogazioni individuali on line cui far corrispondere il relativo voto, aumentando magari il collegamento in video.

Prima ancora di mettere un voto è importante la relazione empatica, l’aiuto ai ragazzi ad impegnarsi e a dare senso allo studio. Se questo non viene ribadito il rischio che si corre è che i docenti rinforzino l’idea che la valutazione formativa sia solo quella da verificare in itinere, punto punto, ieri con le interrogazioni e i compiti in classe, oggi con gli attuali strumenti digitali. È un rischio che potrebbe inaridire il rapporto con il sapere degli studenti e rinforzare il convincimento assai diffuso, specialmente nella scuola secondaria, che ciò che conta sia solo il voto conseguito e non gli apprendimenti acquisiti.

L’accompagnamento e lo stimolo al miglioramento

I docenti stanno imparando in maniera accelerata ad usare le tecnologie digitali e a costruire classi virtuali. Lo fanno perché sono professionisti seri, capaci di riconvertire velocemente le proprie esperienze in percorsi innovativi, perché hanno cultura e competenze e perché sono portatori di valore aggiunto. Se però sono chiamati soprattutto a documentare continuamente, attraverso voti, tutti gli esiti delle tante sollecitazioni didattiche, rischiano di concentrare la loro attenzione in via prioritaria sulle prove di verifica anziché sulla qualità dell’insegnamento.

Siamo tuttavia dell’avviso che la valutazione, anche in questa fase emergenziale, sia molto importante. Gli allievi sanno che devono fare bene la propria parte: impegnarsi, studiare, seguire le indicazioni degli insegnanti, fare i compiti, chiedere spiegazioni se qualcosa non è chiaro. Non devono, tuttavia, vivere questi momenti con l’ossessione del test. Ciò non significa che bisogna rinviare le azioni valutative a tempi migliori. Significa invece, facendo tesoro delle opportunità messe a disposizione dal digitale, trovare modalità nuove ed efficaci per tenere sotto controllo processi e ed esiti. Lo si può fare enfatizzando la funzione formativa di accompagnamento e di stimolo al miglioramento continuo, come recita la stessa normativa (D.lgs. 62/2017) in maniera tale che alla fine dell’anno si possa dare un voto attendibile, un giudizio adeguato e, soprattutto, un consiglio di miglioramento: azioni, queste, che saranno supportate da tutte le evidenze raccolte, magari attraverso dossier e diari di bordo.