Una scuola che guarda al futuro

Un manifesto contro i nostalgici del passato

Nel corso di un incontro on line svoltosi il 16 giugno più di 50 insegnanti, dirigenti scolastici, dirigenti tecnici e ricercatori hanno discusso il documento “Per una nuova scuola che guarda al futuro”[1] promosso dalla Associazione Gessetti Colorati di Ivrea.

La questione delle competenze

Il documento è stato firmato da quasi 300 persone ed è stato sottoscritto da noti pedagogisti italiani come Dario Ianes, Andrea Canevaro, Cristiano Corsini, Elisabetta Nigris e Francesco Tonucci oltre che da Dario Missaglia, presidente nazionale Proteo e Anna D’Auria, segretaria nazionale MCE. Senza dimenticare la firma del decano dei pedagogisti italiani, l’ultracentenario Francesco De Bartolomeis.

L’iniziativa dell’Associazione è anche una presa di posizione nei confronti del “Manifesto per la nuova scuola” dell’aprile scorso, redatto da un gruppo spontaneo di docenti di varie parti d’Italia e condiviso da intellettuali di fama, tra cui Massimo Recalcati, Alessandro Barbero e Gustavo Zagrebelsky. In questo manifesto si parte dal presupposto che la scuola incentrata sulle competenze sia profondamente sbagliata perché applica a un ambito, quello scolastico, categorie nate in tutt’altro ambito.

Il rischio della deriva produttivistica

Tale Manifesto affronta sicuramenti temi cruciali del nostro sistema formativo denunciando una deriva produttivistica del sistema formativo. Il modello produttivistico, a seguito del forte impatto delle prime indagini PISA, ha condizionato le politiche educative degli Stati a partire dai primi anni Duemila. Questo modello manageriale e tecnocratico ha imposto i suoi principi e orientato l’applicazione dell’autonomia scolastica: valutazione delle “competenze”, competizione tra scuole e tra Stati, pilotaggio dei risultati. In questo quadro, l’insegnante rischia di non essere più colui che ha la responsabilità della trasmissione delle conoscenze attraverso l’organizzazione di situazioni di apprendimento ma può diventare l’anello di una catena meccanizzata orientata al teaching to test. Il rischio è evidente: una formazione direttamente addestrativa che si ritiene (ma a ragione?) funzionale al sistema produttivo.

No alla scuola della nostalgia

“Nel dibattito culturale e politico sul nostro sistema formativo – sostengono invece i promotori del documento di Gessetti Colorati – ritorna periodicamente la nostalgia della scuola passata di quando cioè ‘gli studenti studiavano davvero’ e ‘insegnanti facevano belle lezioni seduti alla cattedra’. Talora i nostalgici fanno analisi del tutto ragionevoli”.

Negli ultimi decenni il nostro sistema ha effettivamente conosciuto una deriva ‘produttivistica’ indulgendo eccessivamente ad alcune parole chiave non ben esplicitate o volutamente fraintese (competenze e valutazione, per esempio): la confusione ancora esistente fra la funzione di “regolazione del sistema” che le prove Invalsi dovrebbero avere e la valutazione degli apprendimenti è una delle ambiguità più clamorose.

Il fatto è che gli “intellettuali” che criticano le derive produttivistiche pensano anche che il problema si possa risolvere con il ritorno a lezioni trasmissive fatte da docenti ben preparati nel loro ambito disciplinare.

Sì alla scuola che parte dalla vita reale

Come tutta la ricerca pedagogica del secolo scorso ci ha però dimostrato, l’insegnamento non si riduce alla semplice trasmissione di contenuti disciplinari, ma deve partire dalla motivazione ad apprendere da parte degli alunni.

D’altronde – è stato ricordato da più parti nel corso dell’incontro del 16 giugno – questo è un anno molto importante per la storia della scuola: ricorrono i 70 anni dalla nascita del Movimento di Cooperazione educativa che da sempre opera per una scuola a misura di bambino e propone una didattica che parte dalla vita reale e non dalla lezione trasmissiva; e ricorre anche il centesimo anniversario della nascita della Lega  dell’Educazione Nuova da cui ha avuto origine tutto il movimento della scuola attiva.

Secondo Gessetti Colorati il Manifesto per una nuova scuolacontiene giustificate critiche all’evoluzione dei sistemi formativi, ma sbaglia nell’indicarne i responsabili e le possibili soluzioni. Infatti, spiega l’Associazione, il Manifesto attribuisce gravi responsabilità addirittura alla ricerca pedagogica e didattica per aver dato troppo penso al tema delle competenze, a scapito delle conoscenze.

La competenza non è una procedura

Su questo, però, sarebbe necessaria una difesa molto ferma della pedagogia: “Quando si parla di competenze come procedure scollegate dall’autentica formazione si ha di mira una possibile declinazione del concetto, quella di un mero saper fare esecutivo che sarebbe separato dalle conoscenze. Ora, è pur vero che una parte della ricerca didattica, più legata a una declinazione letterale della pedagogia per obiettivi e in linea con le esigenze poste da alcune politiche scolastiche, rischia una deriva comportamentista di questo tipo. Bisogna però fare alcune distinzioni.

La ricerca più attuale in psicologia dell’apprendimento ci dice che la conoscenza autentica non è separabile dalla sua competenza a utilizzarla in contesti pratici o cognitivi.  Il sapere (le conoscenze disciplinari) non è un insieme di oggetti, di nozioni, ma un campo di problemi la cui soluzione si evolve continuamente nella storia. Conoscere un concetto, dunque, non è solo conoscerne la definizione o automatizzare le procedure del suo utilizzo ma conoscere il suo potere operativo. È questa l’autentica competenza, da non confondersi con la semplice procedura che si potrebbe definire una competenza di basso livello epistemologico, routinaria ed esecutiva. Quindi è giusto e necessario che la scuola abbia come obiettivo l’apprendimento delle competenze, intese come strumento per pensare il transfer”.

La centralità della didattica

Il fatto è che – soprattutto nella secondaria di secondo grado – la scuola continua a funzionare secondo il modello consolidatosi più di 150 anni fa: insegnamento simultaneo e collettivo, classi omogenee per età, separazione dal mondo esterno, lavoro individuale dell’insegnante, valutazione con i voti (di tipo “bancario”, direbbe Paulo Freire con il voto usato come strumento per premiare/punire).  Questo modello, definito anche “forma scolastica” dal sociologo Guy Vincent, si è così radicato nel sistema scolastico da essere ormai considerato un dato “naturale”. 

Ma non è così.

“Il mondo della scuola – scrivono i firmatari del documento di Gessetti Colorati – sembra spesso ignorare il ruolo centrale dell’organizzazione e dei materiali nella didattica. Una buona azione d’insegnamento/apprendimento è possibile solo in presenza di un’adeguata organizzazione del lavoro che dovrebbe essere responsabilità dei gruppi di insegnanti. Solo una nuova e miglior organizzazione può contrastare il modello tecnocratico che il documento denuncia. La ‘forma scolastica’ va superata perché non si fa carico dei problemi dell’apprendimento degli allievi e produce abbandoni. Il buon insegnante, in collaborazione con i suoi colleghi, dovrebbe proporsi di organizzare situazioni in cui l’allievo sia messo nelle condizioni migliori per apprendere, mobilitandolo, mettendolo in azione (pratica e cognitiva). Tutto ciò non si può fare con la lezione trasmissiva, per quanto sia accattivante”.

La “buona pedagogia”

L’Associazione ha intenzione, per i prossimi mesi, di sviluppare e approfondire i temi evidenziati nel documento e discussi durante l’incontro del 16 giugno.

Molti degli intervenuti, infatti, hanno evidenziato le numerose attività di “buona pedagogia” che si stanno sviluppando in molte realtà (esperienze di scuola all’aperto, esplorazione del territorio, orti didattici, corrispondenza interscolastica, pratiche di “democrazia” da parte degli alunni, e molte altre).

Uno dei problemi che è emerso riguarda il contesto normativo e istituzionale: l’attuale modello di autonomia scolastica favorisce o inibisce le pratiche didattiche che si rifanno all’attivismo pedagogico e che mettono al centro l’alunno e non i problemi organizzativi?

Molte delle iniziative rivolte ai docenti per il prossimo anno scolastico saranno dedicate proprio a questi temi, a partire da un convegno già in programma per il 9 settembre prossimo (finalmente in presenza, si augurano tutti) al quale parteciperà Pietro Lucisano, docente di pedagogia all’Università di Roma. È possibile saperne di più consultando il sito www.gessetticolorati.it dove è disponibile anche il documento integrale che può ancora essere sottoscritto.


[1] Vedi anche il documento del 13 luglio 2020 “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro” del comitato degli esperti, costituito dall’allora Ministra Azzolina, coordinato dall’attuale Ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi.