Autonomia differenziata

A che punto siamo

Con Autonomia differenziata ci si riferisce a un maggior potere amministrativo e legislativo che possono richiedere le Regioni a statuto ordinario in base all’articolo 116, comma 3 della Costituzione, come modificata dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001. L’attuale Disegno di legge, Atto del Senato n. 615, contiene le disposizioni per la sua attuazione

In questo articolo cercheremo di inquadrarlo brevemente nella sua cornice di riferimento, evidenziando alcuni tra gli aspetti maggiormente problematici e ponendo l’attenzione sul tema dell’Istruzione e sulle possibili conseguenze a seguito dell’eventuale trasferimento, alle Regioni che lo chiedano, di alcuni compiti e funzioni.

Cornice di riferimento

Si tratta di attuare la riforma del titolo V, parte II della Costituzione che ha definito un nuovo assetto costituzionale relativamente alla titolarità delle funzioni amministrative e legislative. In particolare nella riformulazione dell’articolo 117, proseguendo lungo il sentiero tracciato dalla legge Bassanini n. 59 del 1997, vengono riportate le competenze legislative esclusive dello Stato e si definisce la potestà legislativa concorrente: un elenco di materie per le quali alle Regioni spetta la potestà legislativa, con la precisazione che il quadro dei principi legislativi generali spetta comunque allo Stato. Si specifica, inoltre, che spetta alle Regioni la potestà legislativa di materie non espressamente assegnate allo Stato. Tale ripartizione di competenze tra Stato e Regioni non risulta però immutabile nel tempo. Infatti l’articolo 116, c. 3 della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, su iniziativa delle stesse, con legge dello Stato su materie di competenza legislativa concorrente e su alcune di quelle a cui spetterebbe esclusivamente allo Stato legiferare. Devono essere rispettati i principi dell’articolo 119 che fa riferimento a un fondo perequativo, istituito con legge dello Stato, per i territori con minor capacità fiscale per abitante. Le Regioni dovranno infatti finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite e lo Stato, per parte sua, deve sempre avere come obiettivo la rimozione di squilibri economici e sociali, favorendo lo sviluppo della persona. È possibile, a queste condizioni, la realizzazione di un’autonomia differente da Regione a Regione (da qui “Autonomia differenziata”) caratterizzata dall’esercizio delle competenze aggiuntive di carattere amministrative e legislativo richieste.

Disegno di legge n. 615

Il Disegno di legge consta di dieci articoli e ha l’ambizione di porsi come strumento per un ordinato e coordinato processo di attuazione dell’autonomia differenziata, portando a compimento una storia “travagliata” iniziata nel 2001. In considerazione della sua attualità, se ne fornisce, di seguito, un riassunto puntuale.

Finalità

Nel primo articolo si definisce la finalità della legge che è quella di stabilire “i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione”. Questo perché si vorrebbe favorire la semplificazione di procedure, la sburocratizzazione e una distribuzione delle competenze che meglio si conformi ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Procedure

Nel secondo articolo si disciplina la procedura di attivazione: l’iniziativa parte dalla Regione interessata e viene trasmessa al Presidente del Consiglio e al Ministro per gli affari regionali. Una volta acquisiti i pareri dei Ministri competenti e del Ministro dell’economia e delle finanze, entro 30 giorni inizia il negoziato con la Regione per definire lo schema generale dell’intesa tra Stato e Regione. L’atto o gli atti d’iniziativa di ciascuna Regione possono riguardare una o più materie o ambiti di materie. Lo schema, approvato dal Consiglio dei Ministri, viene trasmesso alla Conferenza unificata per un parere da acquisire entro 30 giorni, decorsi i quali è in ogni caso trasmesso alle Camere per l’esame che deve essere compiuto entro 60 giorni. Le Camere si esprimono con atti di indirizzo. Lo schema d’intesa definitivo viene quindi inviato alla Regione per la sua approvazione, assicurando la consultazione degli enti locali. Entro 30 giorni dalla data di comunicazione dell’approvazione da parte della Regione, lo schema d’intesa definitivo, corredato da relazione tecnica, è approvato dal Consiglio dei Ministri che procede a deliberare un disegno di legge di approvazione dell’intesa che verrà trasmesso alle Camere per la deliberazione.

Livelli essenziali di prestazione

Nel terzo articolo si affronta l’importante questione dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Vengono definiti con uno o più DPCM. Il Procedimento prevede l’acquisizione del parere della Conferenza unificata, entro 30 giorni, e il parere delle Camere, da acquisire entro 45 giorni. Il Presidente del Consiglio, quindi, acquisita la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adotta il decreto.

L’articolo 4 evidenzia che la definizione dei LEP è condicio sine qua non per procedere al trasferimento, tra Stato e Regione, delle materie o ambiti di materie oggetto dell’intesa, con conseguente trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie. Nella legge di bilancio la definizione dei LEP è demandata a una cabina di regia, composta dal Presidente del Consiglio e dai Ministri competenti nelle materie chiamate in causa. La cabina di regia si avvale del supporto di un Comitato tecnico, presieduto da Sabino Cassese e composto da 61 autorevolissimi esperti[1].

Attribuzione delle risorse

Nel quinto articolo si parla di una Commissione paritetica Stato-Regioni per l’attribuzione delle risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie alle Regioni per l’esercizio delle ulteriori forme di autonomia. Il finanziamento avviene attraverso la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale.

L’articolo 6 prevede la possibilità che le funzioni, trasferite alla Regione, possano da questa essere attribuite a Enti della stessa Regione.

Durata, clausole e misure perequative

L’articolo 7 riguarda la durata delle intese che non può essere superiore a 10 anni. L’articolo 8 stabilisce clausole finanziarie, evidenziando che dall’applicazione della legge non possono derivare costi aggiuntivi per lo Stato. L’articolo 9 prevede misure perequative per la promozione dello sviluppo economico, della coesione, della solidarietà sociale per le Regioni che non concludono intese, in applicazione dell’art. 119 della Costituzione. Infine l’articolo 10 è dedicato a disposizioni transitorie e finali.

Il Dibattito in corso

Il nostro sistema costituzionale è unitario, ma pluralista (art. 5: “la Repubblica, una e indivisibile, promuove le autonomie locali”). È perciò opinione condivisa da autorevoli studiosi a livello accademico che una maggiore autonomia per le Regioni a statuto ordinario possa “garantire una maggior aderenza agli specifici bisogni dei cittadini e rendere possibile un loro controllo più diretto sulla qualità dei servizi erogati”[2]. Anche la differenziazione in sé non dovrebbe essere un problema perché già presente nella Costituzione per le Regioni a statuto speciale. Questo a condizione che essa sia motivata sulla base di specifiche situazioni, esigenze e vocazioni territoriali e che sia attuata in equilibrio con i principi di unità e di uguaglianza. C’è, tra gli studiosi, chi parla pertanto di una “differenziazione solidaristica” o altrimenti detta “cooperativa”, evidenziando che “qualsiasi forma di differenziazione deve in ogni caso avvenire non mettendo mai in discussione quei vincoli di solidarietà necessari all’unità giuridica, economica e sociale della Repubblica”[3]. Strettamente legata alla questione di inquadrare l’autonomia differenziata nell’alveo costituzionale di unità e solidarietà è quella non solo di definire i LEP, ma anche di accompagnare tale definizione con adeguati stanziamenti perequativi, affinché non aumentino i divari tra i cittadini. Esiste poi il problema del numero di materie, o per meglio dire dei compiti e delle funzioni da trasferire alle Regioni, per le implicazioni che questo trasferimento può avere nella vita dei cittadini. Tra queste materie c’è l’istruzione e fa molto discutere la possibilità che venga regionalizzata.

Regionalizzazione del sistema scolastico?

Il Ministro Calderoli durante il seminario di Astrid[4] nell’aprile scorso (2023) ha escluso trasferimenti di competenze in materia di norme generali sull’istruzione, condividendo l’interpretazione che oggetto dell’autonomia differenziata non sono intere materie, ma funzioni e compiti che le Regioni possono richiedere con l’intento di una migliore gestione. Le richieste delle Regioni in ambito istruzione andrebbero analizzate singulatim e nel concreto, cosa che in questo momento non risulta possibile, visto che il processo di definizione della legge è in atto. È però possibile vedere, a titolo di esempio concreto, che cosa sia stato richiesto nel 2019 dalla Lombardia. La richiesta riguardava sostanzialmente la gestione del personale scolastico. Tale richiesta era basata su due criteri:

  1. gradualità dell’inserimento del personale scolastico in ruoli regionali, individuando un percorso volto a mantenere i diritti acquisiti del personale a tempo indeterminato;
  2. invarianza di spesa pubblica.

Da un lato si garantiva al personale la mobilità in entrata e in uscita dalla Regione Lombardia, dall’altro che la stessa Regione avrebbe indetto concorsi per il reclutamento dei nuovi assunti sulla base del fabbisogno annuale.

Per la realizzazione di questo progetto lo Stato avrebbe dovuto trasferire beni e risorse per assicurare il funzionamento del sistema educativo lombardo.

Rischi e limiti

Quello che va evidenziato e che rappresenta un possibile limite della proposta di autonomia differenziata in campo dell’istruzione presentata in Lombardia sta nel fatto che la proposta non era definita nei dettagli e non sappiamo come sarebbe stata implementata. E inoltre il passaggio delle competenze richieste dallo Stato alle Regioni, ipso facto, non sarebbe stata garanzia di miglioramento tout court.  Anche a livello regionale si sarebbero potuti riprodurre meccanismi poco virtuosi già sperimentati a livello statale; non necessariamente la richiesta di maggiore autonomia regionale avrebbe garantito automaticamente il miglioramento del servizio in termini di efficacia, efficienza.

Auspicio

Qualora in futuro venga deciso di procedere con la regionalizzazione di alcune competenze in materia di istruzione, la strada da percorrere dovrebbe essere quella di rilanciare l’autonomia dei singoli istituti scolastici, introdotta dalla riforma Bassanini e mai pienamente realizzata. Un’armonizzazione tra quelle competenze eventualmente trasferite dallo Stato alle Regioni e un’autonomia agita delle scuole forse potrebbe garantire un effettivo miglioramento del sistema.


[1] Risale al 26 giugno scorso una lettera con la quale Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajno si sono dimessi dal Comitato, spiegando le ragioni del loro dissenso. La lettera è stata pubblicata sul Sole 24 ore del 4 luglio 2023.

[2] L’autonomia regionale “differenziata” e la sua attuazione: questioni di procedura e metodo, Astrid paper 93, Aprile 2023, p. 3.

[3] Fabio Ascenzi, Autonomia o secessione? Limiti e possibilità del regionalismo differenziato, Firenze, 2023, p. 227.

[4] ASTRID è una fondazione che riunisce più di 400 accademici, ricercatori ed esperti, specializzati nell’analisi, progettazione e implementazione delle politiche pubbliche, delle riforme istituzionali e amministrative, della regolazione dell’economia e delle problematiche dell’Unione europea.