Diritti fondamentali e “nuovi diritti”

Un modo diverso per affrontare lo studio della Costituzione

Cosa significa per un insegnante mettere lo studente al centro del processo di insegnamento apprendimento? In genere chi insegna ha già ampiamente sperimentato che la “chiarezza espositiva e di spiegazione” non aiutano la comprensione dell’allievo, se non sono integrate da esperienze significative di apprendimento in situazione.

Centralità dello studente nell’epoca delle transizioni

Il problema è sicuramente complesso, perché la domanda a cui l’insegnante deve rispondere non riguarda solo come aiutare l’allievo a conoscere e rappresentare il presente delle sue esperienze, ma anche come capire con quali parole egli stia pensando il rapporto tra presente e futuro.

La vera sfida è proprio nella seconda domanda: la storicità delle parole (a salvaguardia del rischio di banalizzazione e semplificazione) rappresenta il patrimonio delle giovani generazioni, è il rispettoso passaggio di testimone dell’insegnante a chi il futuro lo deve costruire.

Il gioco delle parti è ben rappresentato in questa citazione di Francis Bacon, che Jorge Luis Borges mette all’inizio del suo libro di racconti L’Aleph: “Salomone dice: non c’è nulla di nuovo sulla terra. E come Platone immagina che ogni conoscenza debba essere null’altro che ricordo, Salomone sostiene che ogni novità altro non è che oblio”.

Se il futuro, dunque, non è automaticamente proiezione del passato, cosa immaginano i nostri ragazzi di portarsi dietro nel bagaglio volutamente leggero dell’epoca delle transizioni? E, soprattutto, con quali significati custodiranno parole come guerra, pace, democrazia e diritti che oggi vedono il mondo sempre più diviso?

La “biblioteca di Babele”

Ricorriamo ancora ad una metafora di Borges, tratta questa volta dal racconto La biblioteca di Babele: “È ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, ci sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali, di incoerenze. So d’una regione barbarica in cui i bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano…”.

La biblioteca, metafora dell’universo conoscitivo, forse già scritto da qualche parte in un libro introvabile e in un alfabeto indecifrabile, è il senso della ricerca umana. Ma se il nostro mondo coincide con il nostro linguaggio, come sosteneva Wiettgenstein, potrebbe anche accadere che un eccesso di passato nel nostro linguaggio renda più difficile pensare in modo creativo il futuro.

Cosa deve fare, allora, l’insegnante per trasformare il dialogo in classe in un autentico dialogo intergenerazionale che produca conoscenza e prospettiva di vita?

L’aiuto della filosofia

Chiedere aiuto alla filosofia serve sempre, peccato che questa disciplina non sia presente in tutti gli ordini di scuola e in tutti gli indirizzi della scuola secondaria superiore.

Nel caso di parole come guerra, pace, democrazia e diritti, usate ed abusate nel lessico quotidiano, di cui i giovani possono avere esperienze dirette ma più spesso mediate, ricorrere ad alcune riflessioni filosofiche significa consentire ai ragazzi di “mettere insieme” significati importanti sparsi e divisi nei saperi disciplinari e di affrontare le misconoscenze e gli stereotipi del senso comune.

Parole su cui interrogarsi: cominciamo dai “diritti umani”

Non possiamo, con le cinquantanove guerre in corso, e due di queste per noi in primo piano, non affrontare la questione dei diritti umani, riconosciuti o negati, ragione delle profonde disuguaglianze nelle cosiddette democrazie e discriminante per la definizione dei cosiddetti regimi totalitari. Si tratta di una definizione che ha ereditato dal secolo breve uno spessore semantico che ha dato senso e significato ad altre parole che oggi ne acquisiscono a loro volta di nuovi, come Costituzione e cittadinanza. 

C’è stata, c’è (e ci sarà) una trasformazione storica dei diritti umani che i nostri studenti devono conoscere, pena la mancata consapevolezza dell’esercizio stesso della cittadinanza nel contesto attuale, a ulteriore rinforzo dell’obbligatorietà dell’insegnamento di educazione civica.

Cosa cambia e cosa permane nel significato di “diritti umani” (e quindi di doveri umani universali) per un cittadino del XXI secolo è una questione che merita di essere indagata. E dove farlo, se non a scuola?

Due studi importanti possono orientarci: “L’età dei diritti”[1] di Norberto Bobbio e “Il diritto di avere diritti”[2] di Stefano Rodotà.

L’universalità dei diritti

La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 segna il primo grande cambio di paradigma: se le Rivoluzioni americana e francese avevano prodotto l’affermazione prioritaria dei diritti civili e politici, con la fine dei regimi totalitari del Novecento si affermava l’universalità dei diritti umani, alla base degli Stati costituzionali democratici.

Non a caso, sostiene Bobbio, la Dichiarazione mette a fondamento di tutti gli articoli successivi il “riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti umani inalienabili”. In altre parole, la tutela e la messa in sicurezza dei diritti soggettivi dell’individuo dovrebbero garantire da sole le libertà, la giustizia e la pace.

Nuovi paradigmi e protezione dei diritti

Con questo ottimismo morale della Dichiarazione universale dei diritti umani (che ricorda molto quello razionale di Kant) sta facendo i conti l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Di fronte ad ogni conflitto, il monito dell’ONU è sempre lo stesso: l’età presente dovrebbe essere l’età dei diritti giuridicamente e non solo moralmente riconosciuti, ma mancano gli strumenti per rendere esecutivi i diritti universali, manca una Costituzione Globale per affermare un’effettiva cittadinanza mondiale. 

Anche il tentativo della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa (1950) va in questa stessa direzione e incontra i medesimi ostacoli.

Eppure, insiste Bobbio, dobbiamo operare affinché la protezione di questi diritti non rappresenti solo la protezione di un sistema di valori che riteniamo fermo e valido per sempre, dobbiamo invece fare bene i conti con la loro evoluzione a fronte, per esempio, della globalizzazione economica e dei profondi cambiamenti nella vita sociale e personale prodotti dalla tecnologia. I giovani devono interrogarsi su quale profilo giuridico (e non solo morale) sicuramente inedito sarà possibile definire i nuovi confini dei diritti umani nel campo dell’evoluzione scientifica e tecnologica. E dopo l’esperienza traumatica della pandemia anche i nostri ragazzi potrebbero avere molte cose da dire…

Dal costituzionalismo dei diritti al costituzionalismo dei bisogni

Interessanti per i nostri studenti possono essere gli spunti di riflessione che propone Rodotà: nella cornice della nostra Costituzione trovano posto i nuovi diritti all’autodeterminazione?  Pensiamo a tutti i problemi del rapporto con il corpo e della proprietà che vantiamo su di esso. Se ancora la risposta è “no, la nostra Costituzione non se ne occupa”, allora una soluzione possibile sta nello spostamento da un soggetto astratto di diritto ad una persona storicamente individuata.

Una Costituzione che si trasforma su queste basi non può accontentarsi di farsi carico dei nuovi diritti dell’ambiente, ma deve occuparsi, riconoscere e dare tutela a tutte le trasformazioni sociali e personali in atto e che sono avvenute dalla sua scrittura in poi: il fine vita, la procreazione, la genetica, i diritti delle persone LGBTQ, la privacy e la sicurezza fino a prefigurare quelli che già si definiscono i lineamenti del post umano. 

Diritti e Democrazia

Per i nostri studenti può essere questo un modo nuovo per dare valore allo studio della Costituzione, proprio quando lo sguardo sempre più inclusivo e interculturale fa emergere il conflitto inevitabile tra le istituzioni e i cittadini che chiedono nuovi diritti in nome di nuovi bisogni.

Da sempre i diritti nascono dalla vita reale e potrebbe essere una piacevole scoperta quella di doversi confrontare non con istituzioni neutrali e indifferenti, ma che re-agiscono in base non ad una presunta universalità dei diritti umani, bensì in forza di una dimensione materiale e concreta della persona che reclama i suoi diritti. 

Così si stanno muovendo la Corte di Giustizia Europea e la nostra Corte Costituzionale nel far rientrare i nuovi diritti nei diritti umani fondamentali.

Aumenta però il timore di una crescita ipertrofica e incontrollabile dei diritti umani o semplicemente il conflitto tra un diritto costituzionalmente protetto e uno non tutelato, solo perché a rappresentarlo è un non cittadino. Siamo già dentro un’altra parola che ci interroga sulla sua storicità: democrazia. Ma per ora ci fermiamo qui.


[1] N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino 1997.

[2] Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Bari 2012.