Valutazione formativa

Una scuola senza voti... è possibile?

La valutazione degli apprendimenti è un tema complesso, sempre più oggetto di diatribe accese e di diffidenze.

Le discussioni sul mondo della scuola in famiglia, tra amici, tra docenti, girano quasi sempre intorno ai voti. A volte sembra che giudizi e voti mettano totalmente in ombra il processo formativo e i risultati di apprendimento dell’allievo come vero oggetto della valutazione. Non sarà che siano i docenti per primi a sopravvalutare la valutazione? Prima di provare a dare delle risposte sull’argomento, o prima di abbandonare il campo per manifesta incapacità a dipanarne la complessità, cerchiamo le giuste domande.

Cosa (e chi) valutiamo?

Conviene partire dalla normativa: secondo il comma 3 del primo articolo del DPR 122 del 2009, “La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni” (affermazione ripresa ed enfatizzata nell’art. 1 del D.lgs. n. 62/2017). Dunque, trascurando in questo contesto il comportamento, dovremmo valutare il processo di apprendimento e il rendimento scolastico complessivo.

Ma noi docenti, normalmente, cosa valutiamo? A pensarci bene, oggetto delle nostre valutazioni di solito sono l’andamento di un compito, un test, un colloquio (per troppi ancora “interrogazione”) che, a fine periodo o a fine anno, si traducono in una media, più o meno approssimata, delle valutazioni registrate. Se, valutando i risultati di queste performance, valutiamo anche i processi sottesi ai risultati è una questione complessa. Speriamo sia così, perché solo in questo caso faremmo emergere i due poli del processo stesso: l’insegnamento per l’apprendimento e l’apprendimento grazie all’insegnamento. La valutazione, quindi, e l’autovalutazione riguarda in primo luogo i docenti.

Perché valutiamo?

Semplificando, ma nemmeno troppo, possiamo riportare tutte le valutazioni scolastiche a due tipologie:

  • quella formativa (che tende a formare), finalizzata a individuare punti di forza e debolezza degli allievi nel loro sviluppo cognitivo, sociale e relazionale, utilizzata come aiuto fondamentale all’autovalutazione per il miglioramento da parte dell’allievo stesso;
  • quella sommativa (complessiva, cumulativa), finalizzata a misurare, per quanto possibile, conoscenze e competenze nella loro progressione verso gli obiettivi prefissati per ciascuno e per l’intera classe.

Appare chiaro che la prima serva in itinere, giorno per giorno, per aiutare con preziosi feedback gli alunni e i docenti nel processo formativo di insegnamento-apprendimento e che quindi sia parte integrante di questo processo. La seconda porta a sintesi un percorso per quantificare e ordinare gli apprendimenti conseguiti.

Quindi possiamo valutare il progressivo miglioramento degli studenti (modalità formativa) o possiamo valutare per esprime un giudizio sugli apprendimenti acquisiti, in base agli obiettivi nazionali, utilizzando i voti, così come è previsto dalla stessa normativa (modalità sommativa).

Come valutiamo?

I docenti a quale delle due modalità sono più interessati? Fino a ieri avremmo risposto: “Ma diamine, ai voti! Come dovremmo valutare? Con dei numeri da 1 a 10, che possiamo ulteriormente definire con dei segni come +, -, ½, per meglio precisare, con più esattezza e grande raffinatezza”. È così, da quando i nostri ragazzi entrano nel mondo della scuola a quando ne escono, ormai maggiorenni, hanno a che fare con i numeri, si assegnano loro dei numeri e vengono associati a dei numeri. Escludendo la scuola primaria, dove i voti numerici in pagella vanno e vengono, a seconda dei governi e dei ministri, la quantificazione è alla base del nostro sistema valutativo, arrivando a intricati e, a volte, perversi sistemi di debiti e crediti che sembrano molto simili alle logiche economicistiche.

Ma oggi il dibattito è aperto. Il comma 3 del primo articolo delDPR 122/2009 dice che “La valutazione concorre, con la sua finalità anche formativa e attraverso l’individuazione delle potenzialità e delle carenze di ciascun alunno, ai processi di autovalutazione degli alunni medesimi, al miglioramento dei livelli di conoscenza e al successo formativo”. Mentre nell’articolo 1 del D.lgs n. 62 del 13 luglio 2017 si enfatizza ancor più la finalità formativa ed educativa e si accentua l’importanza dei processi[1]. È possibile realizzare tutto ciò tramite i numeri? Nessuno potrebbe sostenerlo.

L’apprendimento è v(u)oto?

L’apprendimento ha ben poco a che fare col voto. Anzi. Generalmente il voto crea la cornice per un apprendimento inefficace, nel senso di poco duraturo, poco pervasivo, poco maturo. La didattica imperniata sul giudizio e sul voto incentiva lo studente a considerare primaria non la propria crescita culturale, ma l’acquisizione di un voto positivo.

Il voto, da mezzo per la didattica, quale dovrebbe essere nelle intenzioni di chi lo usa giorno dopo giorno, può diventare il “fine”, lo scopo ultimo delle attività. Il docente è soddisfatto quando ha il registro a posto con i voti tutti messi, l’alunno è realizzato se ha preso il voto a cui aspirava.

I voti sono divisivi, innescano confronti tra ragazzi, creano graduatorie e meccanismi competitivi che possono diventare deleteri per il gruppo classe. E se non sono accompagnati da descrizioni che diano conto dei processi che hanno condotto alla sintesi del voto, non aggiungono nulla al progressivo sviluppo dello studente. Insomma, di ragioni per allontanare il nostro sistema scolastico dall’utilizzo dei voti, ce ne sarebbero, anche se volessimo trascurare alcuni eccessi, come quelli del voto usato come arma di ricatto da parte del docente o come i possibili atteggiamenti di sudditanza, piaggeria o adulazione cui, a volte, alcuni alunni ricorrono per ottenere una migliore considerazione.

La valutazione formativa orienta, i voti no

Quindi abbiamo da una parte la norma che spinge verso la valutazione formativa (comma 3 del dell’articolo 1 del DPR 122/2009 e l’articolo 1, D.lgs. 62/2017), nel senso di orientante nel percorso di crescita personale e culturale; dall’altra, abbiamo il voto, come espressione sintetica di una valutazione che può avere solo funzione sommativa.

Comunque, pur volendo tralasciare i possibili effetti negativi dell’utilizzo dei numeri, a nostro parere i voti non andrebbero usati se non alla fine di un percorso (nel documento finale).

Vero è che molti docenti sono soliti accompagnare i voti con commenti che illustrano e spiegano l’andamento di una prova, pensando così di unire la valutazione formativa a quella sommativa. Va comunque rilevato che, anche in questo caso, è il voto che ha una maggiore forza attrattiva che attutisce tutto ciò che si può dire di sensato sui processi di ogni studente, sui punti di forza e di criticità che permettono, attraverso una azione di riflessione, di migliorare i propri percorsi.

I soli voti, quindi, non aiutano i ragazzi ad orientarsi nel loro cammino. Necessitiamo di entrambi i tipi di espressioni valutative, che non sono e non devono essere in conflitto né si devono sovrapporre: la valutazione formativa che deve essere necessariamente discorsiva e descrittiva; la valutazione sommativa che può utilizzare anche espressioni numeriche.

Le valutazioni descrittive

Perché le valutazioni formative siano realmente utili, devono essere descritte con linguaggio chiaro, diretto e facilmente comprensibile ai ragazzi e alle famiglie, non devono essere né apparire come giudizi sulla persona, non devono incutere timore, non devono chiaramente essere una traduzione di un voto in parole. Di più: non devono essere traducibili in un voto, anche quando comunicano l’andamento complessivo di una performance. In questo caso, al loro interno, sempre in maniera discorsiva, si possono fornire informazioni relative agli specifici indicatori e descrittori individuati per quel tipo di attività/prova/prestazione, come, ad esempio, aderenza alle specifiche assegnate, correttezza, completezza, livello di approfondimento, espressione nella lingua, utilizzo appropriato del linguaggio tecnico. Il tutto sempre nell’ottica di potenziamento e affinamento dei processi di autovalutazione e metacognizione, non per comunicare una graduatoria interna alla classe.

Un ruolo fondamentale viene giocato dalle valutazioni dell’osservazione quotidiana, per segnalare aspetti positivi o criticità nel percorso di apprendimento, per commenti saltuari o periodici su qualsiasi aspetto della vita scolastica. È grazie all’osservazione quotidiana che possiamo valutare la partecipazione, l’impegno nelle attività, la disponibilità alla collaborazione.

Il tempo della valutazione

Quanto tempo ed energie dei docenti e degli studenti si consumano per le verifiche? Fermiamo la didattica due ore per fare un compito e molte di più per un giro di interrogazioni. Ha senso tutto questo se non è fatto in un’ottica orientante? In genere, va detto che in corrispondenza delle prove i ragazzi studiano, approfondiscono, ripassano cercando di consolidare certi apprendimenti. È questo uno dei motivi per cui si continuano a realizzare queste tipologie di prove. Potrebbe anche capitare, però, che siano in molti a non raggiungere i risultati auspicati oppure che abbiano copiato nonostante il controllo. Siamo sicuri che queste tecniche tradizionali, attraverso cui assegniamo i voti, siano comunque veritiere? Sono tecniche che inducono, da sempre, gli studenti a specializzarsi nelle copiature con fogliettini nelle tasche, rotolini nelle penne, frasi scritte dentro i vocabolari, telefonini di riserva, codici per scambiarsi risultati e risposte. Con i colloqui, se possibile, va anche peggio: la classe spesso si disinteressa e si annoia.

Effetti del controllo eccessivo

Sottoporre a prove continue gli studenti, controllarli e sorvegliare, serve solo a limitare la libertà di azione e di espressione, a stimolare autodifesa nei confronti del giudizio dell’altro. Gli esseri umani in generale, di qualsiasi età, si sentono in diritto di fare qualsiasi cosa per proteggere e tutelare la propria persona dall’invadenza esterna. Maggiore è il controllo, più sviluppate saranno le arti per eluderlo, ma soprattutto meno serena e costruttiva sarà la relazione tra l’insegnante e la classe.

In troppi casi, costringiamo i ragazzi ad andare a scuola preoccupati solo del giudizio anziché con il desiderio di apprendere. Il timore di essere costantemente giudicati crea ansia e malessere, sollecita strategie di autodifesa, e da qui una serie di tecniche fatte di inganni e sotterfugi. Un altro effetto è “lo studio matto e disperatissimo” del giorno prima, che può anche portare ad un giudizio positivo, ma difficilmente ad un apprendimento duraturo.

Una scuola senza l’assillo del voto non è una scuola di minore efficacia, ma è una scuola che crea serenità, più fiducia, più collaborazione, più motivazione, più metacognizione, più responsabilità, più autonomia, più maturità.

Qualità e quantità della valutazione

In sintesi, nel corso dell’anno, nelle scuole, secondo le nostre esperienze, si dovrebbe utilizzare la valutazione descrittiva (formativa e orientante): è la maniera più naturale così come accade, nell’apprendimento non formale, nella maggior parte dei contesti di vita. Si tratta di una scelta professionale che qualsiasi docente, consiglio di classe o collegio può assumere in sintonia non solo con le indicazioni pedagogiche più accreditate, ma soprattutto con la stessa normativa. La valutazione sommativa può rappresentare una sintesi da affrontare alla fine dell’anno scolastico. Anche la valutazione sommativa potrebbe essere di tipo discorsivo e senza voti, almeno fino ai 15-16 anni, ma per questo servirebbe un intervento legislativo.


[1] Articolo 1, D.lgs. 62/2017: La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.