La storia disegnata dalle Indicazioni 2025

Narrazioni e scorciatoie semplificate

Il curricolo relativo all’insegnamento della storia nelle Indicazioni 2025 sta sollevando un acceso dibattito sia per il suo impianto generale, sia per una serie di suggerimenti decisamente discutibili.

Una delle affermazioni più controverse è quella di mettere al centro di tale studio la dimensione narrativa dell’insegnante, a scapito dell’esame delle fonti da parte degli alunni.

Si afferma che “è irrealistico formare ragazzi (o perfino bambini!) pensando che siano capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente (…) La dimensione narrativa della storia è di per sé affascinante e tale deve restare nell’insegnamento, svincolato da qualsiasi nozionismo così come da un inutile ricorso a grandi temi, disancorati dall’effettiva conoscenza degli eventiâ€.

Il problema vero: come si diventa persone

Per gli estensori del testo divulgato nel marzo scorso, ai bambini, a cominciare dalla seconda classe della primaria, deve essere spiegato il contenuto dell’inno di Mameli, illustrati episodi del Risorgimento (i prigionieri dello Spielberg, Anita Garibaldi, i martiri di Belfiore) e racconti del libro Cuore di Edmondo De Amicis.

Come afferma Massimo Recalcati, il problema vero dell’educazione è «come si diventa soggetti» o, per utilizzare una parola cara ai nostri Padri costituenti, “come si diventa personeâ€.

Persone si nasce per ciò che attiene ai diritti irrinunciabili e non negoziabili, ma questi stessi diritti devono essere tessuti nel corso della vita. Dunque, persone si diventa!

Il problema allora è il seguente: come i saperi, i sistemi culturali e le discipline che si studiano a scuola concorrono a farci diventare soggetti sovrani (don Milani docet!), autonomi, responsabili, rispettosi?

L’idea gentiliana che colui che sa, sa anche insegnare è solo parzialmente vera. Sicuramente il maestro deve possedere una solida cultura. Su questo punto, pur con sfumature diverse, concordano sia le attuali che le future Indicazioni.

Infatti, nel testo del 2012 viene sottolineata l’importanza di “insegnanti motivati, preparati, attenti alle specificità dei bambiniâ€. Inoltre, si afferma che: “La professionalità docente si arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la formazione continua in servizio, il rapporto adulto con i saperi e la culturaâ€.

Nel testo delle Indicazioni 2025, diffuso nel marzo scorso, il Maestro “è magis, di più … il volano del desiderio di apprendere di un allievo. Come tale, è un punto di riferimento essenziale del suo percorso di formazioneâ€. Si insiste, in particolare, sulla esemplarità del docente, che costituisce il modello per catturare l’attenzione degli alunni, affascinarli ed appassionarli allo studio. 

Dunque, si insegna “ciò che si sa†e “ciò che si èâ€!

Perché contrapporre le dimensioni dell’insegnare?

Nell’insegnamento di ogni disciplina si intrecciano due dimensioni:

  • la prima riconducibile all’oggetto di uno specifico sistema culturale (conoscenze dichiarative: che cosa so);
  • la seconda riguarda le strategie didattiche e gli aspetti metodologici con cui viene insegnata e appresa (conoscenze procedurali: che cosa so fare).

Possiamo immaginare la stessa duplice articolazione proiettando su uno schermo la struttura epistemologica di ogni sistema simbolico e si vedrà che le discipline si organizzano attorno a due assi:

  • sostanziale (teorie, concetti, principi, …);
  • sintattico (analisi, metodi di indagine, di osservazione, strumenti specifici di lavoro…).

A queste dimensioni costitutive di ogni campo di conoscenza, occorre aggiungerne un’altra, inerente ai tratti professionali degli insegnanti. Ogni disciplina, infatti, interpella lo stile educativo del docente, il quale deve creare appassionamento, interesse, partecipazione. In una parola, incombe sulla sua persona il compito di creare la desiderabilità del sapere e, dunque, di valorizzare la centralità della relazione educativa tra l’insegnante e l’allievo.

Questa concezione del sapere scolastico fa parte di una consolidata cultura pedagogica che, dalla seconda metà del Novecento, costituisce un riconosciuto patrimonio professionale di ogni “buon†docente. La stessa formazione iniziale degli insegnanti nei percorsi universitari segue questo orientamento.

La strategia narrativa si presta ad essere utilizzata nel rapporto docente-alunno in cui prevale la dimensione dichiarativa e informativa del conoscere. Coincide in larga misura con la lezione tradizionale. Al contrario, il sapere procedurale presuppone una mente investigativa, indagatrice, esplorativa. Richiede una partecipazione attiva e costruttiva della persona che mette in gioco le proprie risorse cognitive e affettive, in una ri-creazione del sapere con gli altri, coetanei e adulti.

Narrazione e laboratorialità sono strategie complementari e interdipendenti, che si completano, non forze antagoniste!   

Narrazione sì, ma anche sapere procedurale…

Considerata, pertanto, la valenza formativa della storia, la dimensione narrativa e quella laboratoriale possono tranquillamente coesistere. Un’efficace narrazione, ad esempio, può costituire la premessa di una specifica attività riguardante un particolare documento, una fotografia, un reperto materiale, oppure costituire un testo di sintesi di un’unità formativa, ma anche la “messa a punto†di un percorso nella sua fase di svolgimento.

La storia però non può avere solo una valenza informativa e/o di memorizzazione di fatti, personaggi e date; in tal caso ritornerebbe ad essere solo una “materia†di studio non una “disciplinaâ€. La storia, come l’italiano, la matematica, l’arte…, aiuta lo studente ad “imparare a pensareâ€. Pertanto, non consiste solo nella conoscenza dei risultati della ricerca storica, ma anche nel tendere all’acquisizione di consapevolezze e padronanze delle procedure del sapere storico.

… per orientarsi nella complessità

Tali apparati metodologici non servono agli allievi per diventare “piccoli storiciâ€, bensì per orientarli nella complessità dei fatti, per problematizzarli e considerarli secondo una pluralità di punti di vista. In storia, questa struttura sintattica si acquisisce soprattutto attraverso la capacità di leggere le fonti che, come ben sappiamo, sono di varie tipologie: visive (iconografiche), materiali, scritte e orali.

Un bambino del secondo anno della scuola primaria si avvicina di più al sapere storico lavorando sulla sua storia personale, attraverso fotografie della sua vita, della sua famiglia o ascoltando dall’insegnante il racconto dei Martiri di Belfiore? Nel primo caso, l’alunno ha la possibilità di confrontarsi con aspetti propri del pensiero storico: il tipo di fonte, i cambiamenti intervenuti, la dimensione cronologica. Nella seconda circostanza, ascolterà la narrazione di un fatto, peraltro molto complesso e difficilmente affrontabile da bambini di quell’età, che però, secondo gli estensori nelle Indicazioni 2015 diventa fondamentale per maturare il senso di appartenenza all’Italia.

Il ricorso alla narrazione sembra celare la volontà di educare ad una coscienza nazionale, che oggi i bambini non vivono più, perché abituati a viaggiare, a frequentare classi “colorateâ€, a confrontarsi con le tecnologie digitali, con tempi e spazi non recintati da confini territoriali.      

Ritornano centrali i valori deamicisiani?

La storia, nella sua versione identitaria, ha conosciuto una stagione favorevole nell’Ottocento, quando fu ampiamente utilizzata per costruire il sentimento di adesione ad una nuova Nazione. Massimo D’Azeglio disse: Come pensate di fare l’Italia se non avete fatto gli italiani! Il libro Cuore di Edmondo De Amicis ha svolto questa funzione: fare gli italiani, cioè educarli al dovere, all’eroismo, al rispetto del re, all’amore per il Paese, per l’esercito, per tutti coloro che si sacrificavano per il bene della Patria.

Il romanzo è studiato per offrire un quadro variegato di una classe torinese della società post-unitaria, ma soprattutto per veicolare i valori dell’autorità, dell’onore, della famiglia, che dovevano modellare il futuro cittadino italiano.

I racconti del Tamburino sardo e della Piccola vedetta lombarda sono esempi di amore per l’Italia da parte di ragazzi, che arrivano ad immolare anche se stessi, pur di compiere fino in fondo il proprio dovere di patrioti. Il Piccolo scrivano fiorentino celebra la dedizione per la scuola e l’affetto del padre verso il figlio. Nella variegata “geografia†dei personaggi, non poteva mancare la figura del “cattivoâ€, Franti, attaccabrighe e irridente verso le parate militari, che sarà espulso dalla scuola. A tanti protagonisti positivi, dal cuore d’oro e ubbidienti verso tutte le autorità, si contrappone l’antagonista Franti, che finirà addirittura in galera, perché chi si ribella finisce male e va punito.

La storia solo raccontata?

Dunque, nelle Indicazioni 2025 gli estensori del testo privilegiano una didattica che trasmetta “buoni†contenuti, soprattutto dell’epopea risorgimentale. Alcuni passaggi sembrano copiati dai Programmi didattici del 1955, in cui si afferma che l’apprendimento della storia “deve soprattutto proporsi la caratterizzazione di grandi figure dell’umanità e di momenti rappresentativi di un’epoca: per l’antica Roma, per l’affermarsi del Cristianesimo, per la vita e i costumi del Medio Evo e del Rinascimento, per le grandi scoperte e invenzioni che introducono all’età moderna, fino a dare un maggior risalto al Risorgimento nazionaleâ€. Si esalta, implicitamente, la lezione tradizionale incentrata sull’esposizione dell’insegnante e sull’ascolto dell’alunno, il quale deve memorizzare e ripetere quanto comunicato dal docente. È su questo tipo di sapere che si devono concentrare poi la verifica (orale o scritta) e l’attribuzione del voto.

Siamo, tuttavia, dell’avviso che la cosiddetta didattica a mediazione individuale, che vede al centro del processo di insegnamento-apprendimento il docente, costituisca una strategia che non deve essere demonizzata. Una buona lezione, possibilmente interattiva, può essere molto efficace se svolta, per esempio, nella fase iniziale di un’attività di apprendimento, per collegare conoscenze nuove a quelle pregresse, per educare all’ascolto attivo, per abituare gli alunni a prendere appunti, formulare domande, dubbi. Il rischio è che tale approccio possa trasformarsi in un monologo del docente. Il pericolo esiste se consideriamo che il tempo dedicato alla storia nella scuola secondaria di primo grado si aggira sulle 60 ore annuali.

Una scuola anacronista che guarda al passato

La finalità delle Indicazioni in genere dovrebbe essere quella di sollecitare gli insegnanti a mettere in pratica didattiche attive, che vedano la diretta partecipazione degli alunni nel costruire le conoscenze e nell’acquisire padronanze e competenze. I docenti dovrebbero trovare nelle Indicazioni sollecitazioni che li portino ad un reale sviluppo professionale e ad essere invogliati ad innovare il proprio repertorio di lavoro.

L’idea del maestro magis, che ha davanti a sé un “vaso da riempireâ€, pensavamo fosse definitivamente alle nostre spalle: pensiamo ai Programmi della scuola media del 1979, a quelli della scuola elementare del 1985, agli Orientamenti della scuola dell’infanzia del 1991.  Già, quaranta anni fa, i Programmi del 1985 dell’allora scuola elementare dicevano: “Un efficace insegnamento della storia non si risolve nella informazione su avvenimenti e personaggi del passato. (…) La ricostruzione del fatto storico deve essere indirizzata a promuovere la capacità di usare in modo via via più produttivo i procedimenti della ricerca storicaâ€.

Al contrario, le Indicazione 2025 guardano esclusivamente al passato, a Fénelon, a Comenio, a Jean Jacques Rousseau. Non c’è traccia neanche della grande tradizione, sia cattolica che laica, del nostro tempo. Si pensi a don Lorenzo Milani per la didattica laboratoriale, a Mario Lodi per la scrittura collettiva, a Bruno Ciari per il tempo pieno, a Loris Malaguzzi e Sergio Neri per le scuole dell’infanzia, a Cesare Scurati per il curricolo, a Giancarlo Cerini, uomo del dialogo… L’elenco potrebbe continuare a lungo. Perché dunque, si deve studiare Anita Garibaldi e La piccola vedetta lombarda e non padre Kolbe o Salvo D’Acquisto?

Il rischio che la scuola corre è quello di un anacronismo che blandisce la mediocrità e mortifica gli insegnanti che hanno saputo integrare e valorizzare il meglio del passato promuovendo innovazioni proiettate verso il futuro.

La scuola che non c’è

La scuola rappresentata in queste Indicazioni sembra vagheggiare quella “di un tempoâ€, dove tutti erano ubbidienti e studiosi. Il maestro insegnava e l’alunno imparava. Ma quella scuola, a base sociale ristretta, frequentata solo da una élite (i “pochi miglioriâ€), non c’è più da 60 anni. Quella di oggi è una scuola a base sociale ampia (di massa), aperta a tutti, anche a coloro che vivono in condizione di fragilità. Fino agli anni Sessanta, dopo la quinta elementare, la stragrande maggioranza dei ragazzi e delle ragazze andava a lavorare nei campi, nelle fabbriche o a fare servizio (venivano chiamate serve!). Oggi, fortunatamente, la scuola c’è per tutti! Per quanto complesso e problematico, il nostro modello educativo resta tra i migliori. Ed è inevitabile che sia anche la scuola dei Franti, di coloro che non sono allineati con uno studio disancorato dalla realtà e che, quindi, hanno bisogno di attenzioni speciali sotto tutti i punti di vista. Che dire poi delle migliaia di ragazzi che si isolano dentro le mura domestiche e a scuola proprio non vogliono andare? Problemi loro? Certamente no. È un problema di tutti. Una società democratica, che mette in pratica l’articolo 3 della Costituzione, peraltro richiamato nelle Indicazioni 2025, deve eliminare barriere e ostacoli. La scuola serve anche per “curare i feriti!â€.

In sintesi

La storia della morte di Anita o della rosa di Pietro Maroncelli, per quanto straordinariamente affascinanti, non riusciranno a formare un’identità nazionale, che oggi si costruisce nel confronto con una pluralità di presenze, di culture, di appartenenze. Non alzando muri, ma costruendo ponti e corsie di dialogo si potrà apprezzare l’inestimabile patrimonio del nostro Paese.   

La realtà è molto più complessa delle scorciatoie semplificanti intraprese dagli estensori della bozza delle Indicazioni 2025.