Dirigenza tecnica

Dalla prova preselettiva all’eredità dei grandi burocrati

Il 3 ottobre 2025 alle ore 14,30 ha avuto luogo la prova preselettiva che ha dato avvio al nuovo percorso concorsuale per coloro che intendono diventare dirigenti tecnici.

Il dirigente tecnico è quella figura che un tempo veniva chiamata “ispettore scolastico”. Oggi, sebbene tutte le funzioni siano definite dalla normativa vigente, il ruolo attuale, che bilancia la vigilanza con il supporto tecnico e l’innovazione, non è riconducibile ad una sintesi univoca. Non è così che accade quando ci riferiamo ad altre professioni, per esempio ad un avvocato, ad un medico, ad un ingegnere, ad un maestro, anche se, di fatto, non tutti coloro che esercitano la stessa professione fanno le stesse cose. Se andiamo ad analizzare le varie aree disciplinari, che attengono all’esercizio di un lavoro che assume lo stesso nome, ci accorgiamo della grande distanza che spesso separa le une dalle altre. Ma quello che rende riconoscibile una professione è il suo principio unificante, cioè un corpo unitario di conoscenze e di pratiche finalizzate ad un bene pubblico specifico. È il bene pubblico specifico che rende una professione riconoscibile da tutti. Nell’immaginario collettivo, l’avvocato è colui che tutela la giustizia e il diritto, il medico è quello che si occupa di salute e di benessere, l’ingegnere crea infrastrutture e soluzioni tecnologiche, il maestro si occupa di educazione e di istruzione degli studenti.

Ma cosa c’è nell’immaginario collettivo quando ci si riferisce al dirigente tecnico?

Dirigente tecnico con funzioni ispettive

Si legge nei documenti ufficiali che il dirigente tecnico con funzioni ispettive è “espressione di alta professionalità in ambito educativo, pedagogico e didattico”, una risorsa fondamentale per sostenere e sviluppare una scuola attenta, inclusiva, al servizio della persona. Pur essendo l’erede storico dell’ispettore scolastico, il suo ruolo si è progressivamente allontanato dalla semplice funzione di vigilanza e controllo per abbracciare un ventaglio di compiti molto più ampio e complesso, centrato sul miglioramento continuo del sistema scolastico.

Uno dei più recenti documenti, il DM 41 del 21 febbraio 2022, stabilisce le modalità di esercizio della funzione tecnico-ispettiva nel sistema scolastico italiano in linea con i nuovi scenari pedagogici e didattici e con le nuove esigenze legislative. Al decreto è allegato un documento diviso in quattro parti. C’è una “Premessa” dove sono definiti identità, ruolo e importanza del corpo ispettivo. Segue una sezione dedicata alle “Modalità di esercizio della funzione tecnico-ispettiva” con un’ampia ricognizione delle diverse attività affidate ai dirigenti tecnici. La terza parte sottolinea quanto sia importante il costante aggiornamento delle competenze di questa figura professionale. L’ultima sezione, dedicata all’organizzazione della funzione, ribadisce la collocazione dei dirigenti tecnici a livello centrale e territoriale, i ruoli e i compiti del Coordinatore nazionale, dei Coordinamenti regionali e delle Segreterie tecniche.

Le aree di competenza del Dirigente tecnico delineate nel documento sono comunque cinque:

  1. sostegno alla progettazione e supporto ai processi formativi
  2. supporto ai processi valutazione e autovalutazione
  3. supporto tecnico-didattico pedagogico
  4. supporto tecnico-scientifico per le tematiche ed i processi definiti dall’Amministrazione
  5. accertamenti ispettivi.

La ragion d’essere della funzione

Sono, di fatto, le stesse aree che ritroviamo nell’articolo 7 del Regolamento (Decreto ministeriale 12 giugno 2024, n. 109), con leggerissime variazioni di posizionamento e con alcune integrazioni significative. Va evidenziato, infatti, che, anche nel Regolamento, gli accertamenti ispettivi, quelli che connotano maggiormente la professione, sono relegati al quinto posto, dimostrando in tal modo che non devono costituire una priorità assoluta (come purtroppo si è verificato negli ultimi anni), tutt’al più una necessità. Le competenze prioritarie di un dirigente tecnico sono quelle finalizzate al miglioramento della scuola. Il Regolamento sostanzia tale priorità facendo altre due scelte importanti: la prima, aggiungendo una sesta competenza in materia di “Relazioni”, cioè “gestire reti di relazioni complesse, comunicando efficacemente con i diversi interlocutori, anche al fine di valorizzare in maniera proattiva i processi di cambiamento”; la seconda, specificando che un dirigente tecnico deve sapere padroneggiare competenze in ambito educativo, pedagogico e didattico.  In modo particolare deve essere in grado di:

  1. attivare strategie di confronto e coordinamento con le istituzioni scolastiche ed educative e con soggetti pubblici e privati presenti sul territorio;
  2. prendere in carico le fragilità sia per realizzare una scuola inclusiva sia per ridurre i divari sociali, culturali ed economici;
  3. indicare strategie di intervento e attivare processi mirati di monitoraggio, innovazione, sperimentazione.

Una professione per i “migliori talenti”

Per esercitare tali funzioni, un dirigente di alta professionalità (come è stato definito a livello istituzionale) deve dimostrare di possedere un sapere dedicato, teorico e pratico, insieme alle conoscenze fondamentali finalizzate per l’esercizio del bene pubblico. Nel caso della dirigenza tecnica è il DM 41/2022 che specifica come il dirigente tecnico deve mirare ad agire per il bene pubblico.

Concorre alla realizzazione dei compiti di istruzione e formazione delle istituzioni scolastiche; orienta le strategie di innovazione e di valutazione del sistema scolastico, anche nella prospettiva internazionale; realizza l’attività ispettiva di supporto dei processi formativi e di assistenza tecnico-didattica a favore delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado; svolge attività di studio, ricerca e consulenza tecnica”.

Il ritratto che ne esce da questa descrizione istituzionale è quello di una figura, impegnata sì nella valutazione e nell’accertamento, ma sempre nell’ottica del miglioramento. È una professione, quindi, aperta ai “migliori talenti”, capaci di sostenere l’innovazione e di affrontare le sfide del futuro.

Per migliori talenti non ci si riferisce, però, a coloro che sembrano avere un dono innato, ma a coloro che si impegnano ed acquisiscono quelle competenze che rendono ogni prestazione corretta, fondata e riproducibile. È l’impegno che trasforma la competenza in vera capacità professionale. Non si tratta solo di lavorare con tenacia, ma di lavorare in modo intelligente e focalizzato, cioè attraverso una pratica deliberata, con resilienza e perseveranza, dedicando tempo per raggiungere il traguardo.

Acquisire talento significa, in altre parole, essere in grado di eseguire compiti complessi con rapidità e accuratezza, essere costantemente in grado di fornire risultati di alta qualità anche in condizioni mutevoli e sotto pressione.

Il talento professionale acquisito è la sintesi di un’alta competenza tecnica e di un profondo impegno etico: competenza ed impegno producono una prestazione coerente e affidabile. Essere eccellenti, quindi, è una questione di allenamento strutturato, non certamente di predisposizione genetica.

I “migliori talenti” alla prova

Sono queste le indicazioni sulla funzione ispettiva che i 5.976 ammessi a sostenere la prova preselettiva conoscono molto bene. Ma questi stessi candidati si saranno posti di certo molte domande di fronte al programma di studi, riportato nell’allegato A del Regolamento, che hanno dovuto affrontare nel corso della preparazione. Si tratta di un programma enciclopedico seppure distribuito in aree che il futuro dirigente tecnico non può ignorare. I candidati si saranno sicuramente posti la domanda se tale programma permette di accertare il possesso delle competenze che servono alla professione. Per esempio, le quattro domande sul diritto costituzionale, amministrativo, civile e penale saranno sufficienti a far capire alla commissione esaminatrice non solo il tipo di conoscenza che il candidato possiede in merito, ma se tali conoscenze saranno usate nella maniera consona per esercitare la funzione?

La risposta è sicuramente negativa, ma ciò non toglie che le competenze giuridiche siano fondamentali. Non è quindi una questione di programma, più o meno enciclopedico, ma di tipologia di accertamento delle competenze.

E qui si ritorna all’annoso problema della prova preselettiva mediante test a risposta chiusa. Tralasciando le principali criticità che negli ultimi decenni sono state oggetto di ampio dibattito, quello che emerge in sostanza è che le prove a risposta chiusa tendono a privilegiare l’accertamento di conoscenze nozionistiche e abilità di base, rendendo più difficile la valutazione di livelli superiori di apprendimento e di capacità di giudizio. Malgrado ciò, sappiamo pure che l’alto numero di candidati preclude la possibilità di cambiare il sistema di accertamento, per via dei tempi e delle risorse che l’istituzione non può sostenere.

Ma c’è una buona notizia: questo concorso a dirigente tecnico garantirà l’accesso alle prove successive a un numero molto ampio di candidati, otto volte i posti disponibili. Questo approccio riduce notevolmente il peso della possibile casualità dei test preselettivi e fornisce maggiori garanzie per una valutazione complessiva più fondata.

Dirigenti tecnici come “burocrati”?

Non c’è comunque da meravigliarsi se i candidati, che si trovano ad affrontare per la prima volta un concorso di questo genere, possano sottovalutare l’ampiezza e l’elevato livello delle competenze assegnate dalla normativa alla dirigenza tecnica. Pur conoscendo bene il profilo dirigenziale, molti si possono convincere erroneamente di dover studiare per andare poi ad esercitare un ruolo puramente formale, incentrato sulla rigida applicazione di norme e scollegato dalla realtà scolastica. In altre parole, sono molti ad immaginare il dirigente tecnico come il “burocrate” che tutti abbiamo incontrato, almeno una volta, nella vita: impersonale e inaccessibile, senza pena e senza colpa, ma anche maniacale e servile o sostituto del potere.

In realtà, nella pubblica amministrazione tutte le funzioni possono essere esercitate in maniera burocratica, secondo l’accezione nazional popolare della burocrazia. Complici i tempi difficili, la pesantezza degli incarichi, la paura di sbagliare. Anche i dirigenti tecnici possono cadere in questo tranello, soprattutto in un contesto dove una funzione così ampia e articolata (descritta nel DM 41/2022) non è supportata da un numero sufficiente di risorse umane. La mancanza di un organico adeguato ha costretto, fino ad oggi, gli attuali dirigenti tecnici a dedicarsi prevalentemente alla funzione accertativa, ivi comprese le verifiche della permanenza dei requisiti delle scuole paritarie.

Il rischio che questa situazione permanga esiste, ma bisogna trovare le strategie giuste per uscire da queste trappole cercando di trasformare l’inevitabile necessità di gestire le procedure in un’opportunità per facilitare i processi e supportare la missione educativa.

Come uscire dalla trappola della “burocrazia”

Per affrontare questa sfida, con poche risorse e molti problemi, occorre un cambio di mentalità e l’adozione di strategie mirate. Per esempio è utile focalizzare l’attenzione sul “perché” e sulla “persona”. Ogni azione, ogni progetto tecnico o amministrativo deve essere filtrato dalla domanda: “migliora l’apprendimento degli studenti, migliora l’ambiente scolastico, migliora la qualità della scuola?” Se la procedura non supporta direttamente o indirettamente l’obiettivo educativo, va semplificata o messa in discussione (sempre nei limiti di legge). L’attenzione al processo è molto importante, ma non va avviato senza una analisi preventiva che aiuti a identificare i nodi critici e ad eliminare i passaggi non essenziali.

Oggi possiamo contare sulla digitalizzazione e sull’intelligenza artificiale, ma questi strumenti devono fungere da motori di snellimento non di trasformazione della burocrazia cartacea in burocrazia digitale. Dobbiamo impiegare l’automazione (software gestionali, piattaforme collaborative) per delegare le incombenze ripetitive (raccolta e trasmissione dati) e dedicarci prioritariamente a ciò che solo l’essere umano può fare: dare consulenza, risolvere problemi, interagire.

Bisogna curare la cultura della “soluzione” non dell’applicazione pedissequa della “regola”, o meglio, bilanciare la regola con l’impatto che ha sul contesto. Se l’applicazione automatica di una norma crea un danno all’attività didattica o al benessere di una persona, bisogna cercare altre soluzioni, sempre nella piena legalità, ma più adeguate alla situazione, documentando naturalmente la scelta. Il dirigente tecnico-burocrate (in senso negativo) di fronte ad un problema direbbe: “Non si può fare perché c’è la regola che lo vieta”. Il dirigente tecnico che si pone al servizio delle scuole dice invece: “La regola esiste, vediamo come possiamo raggiungere il risultato desiderato rispettando lo spirito della legge”.

In sintesi, la trappola si evita trasformando la propria funzione da controllore delle procedure a facilitatore dei risultati educativi, usando la normativa come una guida e una risorsa, non come un ostacolo insormontabile.

Ma c’è burocrate e burocrate

Il burocrate viene generalmente immaginato come una figura schiava del regolamento, colui che antepone ciecamente l’applicazione rigida della norma anche a scapito del risultato o del buon senso. L’obiettivo primario è la conformità alla procedura.

Ma c’è anche il burocrate che conosce bene le regole, che sa applicarle in modo efficiente, riducendo gli ostacoli e aiutando le scuole a raggiungere i loro obiettivi nel rispetto della legge, che non perde mai di vista il focus, cioè l’efficacia del servizio. È il burocrate che sa andare oltre, cercando anche di migliorare le norme o di proporre soluzioni più adeguate per snellire i processi. Sa che il motore del cambiamento è la competenza e la dedizione.

Al di là delle tante visioni di scuola, è la professionalità del singolo funzionario che conta: una persona ben preparata e motivata può trasformare un’esperienza amministrativa complessa in un servizio rapido, trasparente ed innovativo. Ci sono molti servitori pubblici (civil servant) che lavorano con grande professionalità e con l’obiettivo di rendere la macchina amministrativa più funzionale. È un ruolo che richiede grande equilibrio tra il rispetto della legge (necessario per l’equità) e la capacità di problem-solving (indispensabile per affrontare la realtà).

Burocrati riformatori

Dobbiamo in merito ricordare che i grandi cambiamenti in uno Stato non sono quasi mai solo opera dei politici, ma anche dei funzionari di alto livello, dei prefetti e dei tecnici che hanno saputo applicare le riforme con intelligenza e visione. In Italia, soprattutto nei momenti di maggiore crisi o di fondazione dello Stato, la figura del “burocrate riformatore” è stata fondamentale.

Pensiamo, per esempio, all’epoca risorgimentale quando era necessario unificare leggi e procedure in una nazione appena nata e ricca per diversità. È il caso di ricordare la figura dei prefetti inviati in periferia, specialmente nel Sud, non solo per mantenere l’ordine, ma anche come veri e propri agenti di modernizzazione. Erano spesso loro a spingere per l’avvio di opere pubbliche, l’organizzazione dei servizi e l’applicazione delle nuove leggi, agendo come motori dello sviluppo locale in contesti arretrati.

Spesso si cita a ragione il burocrate-politico-statista Camillo Benso di Cavour. Sotto la sua egida furono emanati i primi regolamenti analitici e dettagliati per il funzionamento della pubblica amministrazione, introducendo criteri di merito e disciplina.

In epoca giolittiana l’obiettivo dello Stato era passato dall’unificazione alla qualificazione del personale. Possiamo ricordare Vittorio Emanuele Orlando che nel 1908 rese obbligatorio il requisito della laurea per l’accesso a molti concorsi pubblici. Una riforma importantissima per la professionalizzazione della burocrazia italiana, garantendo che i funzionari di livello più alto avessero una formazione universitaria uniforme e solida.

Carlo Giannini, funzionario nel Ministero delle Poste, fu un esempio di burocrate “innovatore” che tentò (non sempre ascoltato) di introdurre in Italia, già agli inizi del ‘900, i metodi di organizzazione scientifica del lavoro (Taylorismo).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia aveva bisogno di funzionari con competenze economiche e tecniche per ricostruire il Paese e i conti dello Stato. Il ruolo di Luigi Einaudi, in qualità di Ministro del Bilancio (1947), fu quello di un super-burocrate tecnico, sebbene fosse un economista. Guidò l’operazione di risanamento dell’economia e del bilancio italiano attraverso misure rigorose e necessarie, che erano più amministrative e tecniche che puramente politiche, ponendo le basi per il “Miracolo Economico”.

In sintesi

I “grandi burocrati” sono stati quelli che, agendo all’interno della macchina statale, hanno saputo bilanciare l’aderenza alla legge con la visione di un’Italia più moderna, unita ed efficiente. Anche oggi abbiamo bisogno di figure che sappiano coniugare visione strategica, agilità operativa e intelligenza emotiva.

Il dirigente tecnico con funzioni ispettive potrebbe incarnare anche il ruolo del “burocrate riformatore” che usa la sua profonda conoscenza della normativa e della didattica per guidare il cambiamento e la crescita del sistema scolastico.