Cittadinanza globale vs educazione globale?

Dai documenti europei alle Nuove indicazioni 2025

La società italiana negli ultimi decenni ha subito, come tutte le società occidentali, profondi cambiamenti: la globalizzazione economica, le interconnessioni tecnologiche, le ondate migratorie hanno disegnato una realtà nuova ed estremamente complessa. La scuola rispecchia fedelmente tutte le caratteristiche ed è gravata dalla difficoltà di gestire i cambiamenti, in alcuni casi radicali, che arrivano dalla sua utenza multiculturale. Deve avere la capacità di dialogare con il territorio, interpretarne i bisogni educativi e organizzare un’offerta formativa adeguata. L’interrogativo principale riguarda quale approccio educativo e pedagogico sia più adatto in un periodo di crescente interconnessione globale, in cui il contatto tra gruppi etnici con lingue, culture e religioni diverse avviene con grande facilità e frequenza e in cui le vicende di una persona sono influenzate, in modo diretto o indiretto, da eventi che accadono in altre parti del mondo.

Dalla multiculturalità all’interculturalità

Dalla fine degli anni Ottanta la proposta educativa della scuola italiana di fronte alla composizione sempre più multietnica della sua utenza si è sostanzialmente identificata con il multiculturalismo: si perseguiva la conoscenza e lo scambio con i vari gruppi etnici minoritari garantendo che ognuno mantenesse le proprie peculiarità senza omologarsi con la cultura predominante.

Dall’approccio iniziale multiculturale, alla cui base c’era la tolleranza tra culture diverse, si è passati all’interculturalismo, inteso come dialogo, scambio e maggiore comprensione tra diversi gruppi.

Sostenere con convinzione la promozione della diversità culturale e del dialogo tra culture costituiva un imperativo categorico per le scuole. La pace e la prevenzione dei conflitti, la diversità culturale invitavano a valorizzare il concetto di «unità nella diversità», cioè l’umanità che si riconosce e si arricchisce attraverso le differenze. Le diversità culturali non sono, quindi, un ostacolo, ma una risorsa preziosa per i diritti umani universali. Non sono un limite, ma uno strumento che ne garantisce l’efficacia e ne rafforza la coesione sociale. Riconoscere e valorizzare le differenze culturali significava e significa promuovere un dialogo costruttivo, dove le diverse prospettive si arricchiscono a vicenda. Quindi, la scuola deve impegnarsi perché migliori il dialogo tra culture, affinché si possano superare stereotipi e pregiudizi e favorire un approccio più aperto e inclusivo.

Una pedagogia interculturale e una didattica inclusiva

L’approccio ad una pedagogia realmente interculturale rappresenta una vera e propria rivoluzione: concetti come «identità» e «cultura» non sono più intesi in maniera statica, bensì dinamica, in continua evoluzione, presuppongono la relazione, il confronto nel senso di saper gestire differenze di opinioni, dissensi e conflitti.

La scuola italiana ha adottato, quindi, un approccio interculturale che promuove il dialogo e lo scambio tra culture differenti, considerando la diversità come elemento fondamentale dell’identità scolastica e come opportunità di arricchimento. Partendo dal presupposto di una concezione dinamica della cultura, bisogna evitare stereotipi e chiusure, favorire il confronto e la trasformazione reciproca, creare un ambiente di convivenza aperto e capace di gestire i conflitti derivanti dalla diversità.

Ricordiamo che nel 2007 l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, all’epoca attivo presso il Ministero della Pubblica Istruzione, ha redatto un documento La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli allievi stranieri[1] che risulta ancora pienamente attuale.

Va aggiunto che la scuola italiana ha una lunga tradizione di accettazione e integrazione degli alunni considerati “diversi” nel contesto classe, ha affinato metodologie e sviluppato una pedagogia speciale orientata oltre che ai soggetti con disabilità, anche alle situazioni di disadattamento, svantaggio socio-economico e linguistico e a tutte le forme di disagio. La didattica inclusiva è una didattica che tiene conto delle individualità, delle potenzialità, delle peculiarità di ognuno e la sua cifra consiste proprio nel riconoscimento delle differenze, nella capacità di assumere la diversità delle provenienze geografiche e culturali dei suoi alunni e trasformarla in una ricchezza di proposte che consenta a tutti di sentirsi compresi, valorizzati, accolti e parte viva di un progetto educativo inclusivo.

Dialogo tra culture differenti

Di dialogo tra culture differenti e di ricerca di tecniche adeguate all’educazione internazionale si parlava già nel Rapporto sulle strategie dell’educazione del 1974[2]. Nello stesso anno, Jean Piaget, su richiesta della Commissione europea, aveva scritto un testo, “Dove va l’educazione”, in cui analizzava l’articolo 26 della Dichiarazione Internazionale dei diritti dell’uomo: “(…) L’istruzione deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”. Per Piaget l’istruzione deve trasformarsi in educazione all’internazionalità. Lo studioso si preoccupava di individuare modalità utili per un’educazione internazionale indispensabile per comprendere e rispondere all’interdipendenza di fatto che esiste tra i popoli. La strada suggerita è quella di abbandonare i sociocentrismi, passare dalla dimensione dell’io a quella del noi. Per J. Piaget occorre rendere internazionale tutto l‘insegnamento, e non soltanto quello della storia, geografia e lingue straniere dove risulta più chiara l’interdipendenza delle nazioni.

La scuola deve sentire, dunque, la responsabilità di insegnare ai propri alunni la convivenza pacifica, il dialogo fattivo, in una visione di cittadinanza globale consapevole del destino che accomuna la razza umana.

L’umanità come comunità planetaria: le indicazioni europee

Questi principi, un quarto di secolo dopo, nel 1999, vengono ripresi e ampliati da E. Morin nel suo libro I sette saperi necessari all’educazione del futuro”[3]. Il libro è stato concepito come un rapporto per l’UNESCO e ha avuto diverse riedizioni e traduzioni. “L’educazione dovrebbe mostrare e illustrare il destino a molte facce dell’umano: il destino della specie umana, il destino individuale, il destino sociale, il destino storico […]. Dovrebbe sfociare nella presa di conoscenza, dunque di coscienza, della condizione umana, della condizione comune a tutti gli umani e della ricchissima e necessaria diversità degli individui, dei popoli, delle culture. L’istruzione dovrebbe quindi, riformare la mentalità, educare ad un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma in grado di concepire gli insiemi, adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza. L’insegnamento deve comprendere la nostra connessione con il mondo naturale e far acquisire ai giovani la consapevolezza che l’uomo è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie, di un’umanità che è «comunità planetaria”.

Questo cambio deciso verso l’interculturalismo è ripreso ancora nel “Libro bianco sul dialogo interculturale – Vivere insieme in pari dignità”[4] del 2008, dove si argomenta che il futuro comune dipende dalla capacità di difendere e sviluppare i diritti umani e promuovere la comprensione reciproca: l’approccio interculturale è quello che offre il modello più lungimirante per gestire la diversità culturale.

Nello stesso anno le Linee guida per l’educazione interculturale[5] pubblicate dal Centro Nord-Sud del Consiglio d’Europa esplicitano i principi già enunciati nel 2002 dalla Dichiarazione di Maastricht che definisce l’Educazione Globale come un concetto “ombrello” che include varie forme di educazione, tra cui quella interculturale: “apre gli occhi agli individui, mostrando loro le realtà del mondo e li spinge a operare, per ottenere una maggiore giustizia, una maggiore equità e un maggior rispetto dei diritti umani, per tutti e ovunque nel mondo”[6]. Questo concetto non si limita alla mera convivenza, ma ingloba diverse dimensioni:

  • educazione allo sviluppo. Comprendere le cause della povertà e delle disuguaglianze;
  • educazione ai diritti umani.  Promuovere il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali;
  • educazione alla sostenibilità. Affrontare le sfide ambientali e sociali;
  • educazione interculturale. Apprezzare la diversità e contrastare pregiudizi e stereotipi;
  • educazione alla pace e alla prevenzione dei conflitti. Lavorare per la risoluzione non violenta delle tensioni.

I successivi documenti, come la Dichiarazione di Dublino (2022)[7], hanno rafforzato questi principi, collegando l’educazione globale al concetto di cittadinanza globale promosso anche dall’UNESCO, con l’obiettivo di formare cittadini attivi e responsabili su scala planetaria.

Continuità o discontinuità con le Nuove Indicazioni 2025?

L’orientamento italiano più recente lo deduciamo nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del luglio 2025[8] in cui si legge: “La scuola italiana adotta misure sistemiche e prassi specifiche per l’accoglienza e l’integrazione di studenti provenienti da contesti migratori (…) La promozione dell’educazione interculturale, volta a valorizzare e potenziare le competenze linguistiche culturali e civiche di ogni studente è assicurata”.

E più oltre, “L’internazionalizzazione rappresenta una dimensione trasversale e fondativa del curricolo, anche nel primo ciclo di istruzione. In una realtà segnata da connessioni sempre più ampie tra contesti e culture, essa promuove l’esperienza incommensurabile dell’incontro con l’altro da sé, inteso nei termini di saperi, relazioni, luoghi, identità diverse. E tale incontro è generativo di crescita personale, consapevolezza e arricchimento formativo”.

Questo approccio risulta parzialmente in linea con i documenti e le indicazioni europee citati perché sembrano limitarsi solo ad alcuni aspetti dell’istruzione, infatti il documento prosegue: “L’insegnamento delle lingue straniere – a partire dalla scuola primaria – si configura come strumento pedagogico privilegiato per favorire il confronto con l’alterità”.

L’impianto generale delle Nuove Indicazioni 2025 mostra un allineamento parziale e, per certi aspetti, debole con il concetto di educazione globale e interculturale promosso dalle dichiarazioni europee, in particolare dalla Dichiarazione di Maastricht del 2002. Mentre i documenti europei hanno progressivamente ampliato la visione dell’educazione per includere la giustizia sociale, i diritti umani e la sostenibilità, le Nuove Indicazioni 2025 tendono a mantenere un approccio eurocentrico e una visione dell’educazione interculturale che, pur riconoscendo il multilinguismo e l’importanza del dialogo, non sembra ancora pienamente abbracciare la complessità e la globalità dei problemi contemporanei. Alcuni temi cruciali come le disuguaglianze e la giustizia sociale non appaiono affrontati in modo esplicito e sistematico. L’integrazione di questi argomenti è spesso lasciata all’iniziativa delle singole discipline, senza un quadro unitario che valorizzi la loro interconnessione. Nonostante alcuni riferimenti ai temi dell’Agenda 2030, le Indicazioni non ne esplicitano pienamente il legame con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, limitando la possibilità di un’educazione che prepari gli studenti a un impegno concreto e trasformativo

Compiti della scuola

È compito delle singole istituzioni scolastiche nella loro autonomia, in collaborazione con le risorse del proprio territorio, avere lo sguardo attento ai cambiamenti socio-culturali e progettare curricoli che tengano conto di queste sollecitazioni.

Quello che occorre oggi è sviluppare un sincero atteggiamento mentale interculturale, integrando tale prospettiva in tutte le discipline e le attività didattiche, che consenta ai giovani di interpretare la realtà e viverla in maniera attiva e consapevole. Le competenze interculturali autentiche necessarie nel mondo globalizzato di oggi sono la capacità di conoscere e rispettare le differenze culturali, sviluppare principi e regole condivise, essere aperti e capaci di dialogare e interagire tra persone con background diversi. L’educazione interculturale si propone dunque di educare i cittadini in materia di giustizia sociale e di sviluppo sostenibile con l’obiettivo di favorire il cambiamento e la comprensione reciproca.


[1] Ministero della Pubblica Istruzione-Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, 2007.

[2] Faure E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Roma, Armando Editore, 1974.

[3] Morin E., Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur, UNESCO, Paris, 1999.

[4] Consiglio d’Europa, Libro bianco sul dialogo interculturale «Vivere insieme in pari dignità», 2008.

[5] Linee guida per l’educazione interculturale – Un manuale per educatori per conoscere e implementare l’educazione interculturale, elaborate dalla Rete della Settimana dell’Educazione Interculturale, con il coordinamento del Centro Nord-Sud del Consiglio d’Europa. Lisbona, 2008.

[6] Dichiarazione di Maastricht sull’educazione interculturale, 15-17 novembre 2002.

[7] La Dichiarazione di Dublino del 2022 (o Dichiarazione europea sull’educazione globale) è un documento che definisce l’educazione globale come un approccio che promuove la comprensione di un mondo interconnesso e la partecipazione attiva alla sua trasformazione verso giustizia, equità, sostenibilità e solidarietà. Non si tratta di un singolo documento, ma di un processo di aggiornamento della definizione di educazione globale per affrontare le sfide contemporanee. 

[8] Ministero dell’Istruzione e del Merito, Indicazioni Nazionali per il curricolo Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione, 7 luglio 2025.