Con la nota n. 40228 dell’8 settembre 2025 il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha fornito le indicazioni operative per la somministrazione, per la prima volta, del Questionario Docente nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione, in concomitanza con l’avvio della nuova triennalità 2025-2028.
La procedura prevede che i dirigenti scolastici abilitino i docenti interessati sulla piattaforma RAV, caricando un file Excel con i nominativi, per poi consentire a ciascun insegnante di ricevere via email un link personale che conduce alla compilazione online su LimeSurvey.
Dopo una prima scadenza molto ravvicinata, il Ministero ha prorogato i termini permettendo ai dirigenti di inserire i nominativi fino al 18 settembre e ai docenti di completare il questionario entro il 30 settembre 2025. La nota, specifica: “i dati raccolti non hanno alcuna finalità valutativa nei confronti dei singoli insegnanti, ma serviranno a costruire i descrittori necessari all’autovalutazione di istituto”.
Uno strumento nuovo
Ci troviamo dunque di fronte a uno strumento nuovo, che intende sistematizzare e rendere comparabile la voce dei docenti all’interno del RAV. Proprio questo aspetto richiede una riflessione. L’iniziativa può infatti costituire una ulteriore occasione di arricchimento, se i dati saranno utilizzati in modo consapevole e metodologicamente corretto, oppure potrebbe ridursi a un mero adempimento burocratico, se sarà percepita come un passaggio formale da espletare senza reale impatto sul processo di autovalutazione. Inoltre se le risposte dei docenti saranno anche portatrici di pregiudizi e distorsioni cognitive, il questionario potrebbe modificare notevolmente la fotografia della scuola. Ma andiamo per ordine.
Perché un questionario rivolto ai docenti
Va sottolineato che i processi didattici e organizzativi erano già parte integrante del RAV sin dalla prima edizione del 2015. La novità del Questionario Docente non consiste quindi nell’introdurre nuove aree di analisi, ma nell’ampliare le fonti di informazione su quelle stesse aree, attraverso una survey nazionale standardizzata. L’obiettivo dichiarato dal Ministero e dall’INVALSI è quello di valorizzare la prospettiva dei docenti, che costituiscono il punto di osservazione più diretto dei processi didattici e organizzativi, e di integrare queste percezioni con i dati sugli esiti di apprendimento già disponibili sulla piattaforma SNV in forma dettagliata (risultati delle prove INVALSI, livelli di competenza, indici di variabilità interna ed esterna, esiti scolastici e percorsi successivi degli studenti).
Finora le scuole avevano a disposizione il Questionario Scuola, compilato a livello istituzionale, che raccoglieva dati di contesto e di processo utili a orientare l’autovalutazione. Con il nuovo strumento rivolto ai docenti, l’INVALSI aggiunge un ulteriore tassello, chiamando in causa direttamente la percezione professionale degli insegnanti. Questa scelta si colloca nella cornice tracciata dal DPR 80/2013, che definisce le fasi del Sistema nazionale di valutazione: autovalutazione, valutazione esterna (al momento sospesa), azioni di miglioramento e rendicontazione sociale.
La vera novità, dunque, non sta tanto nei contenuti quanto nel cambio di prospettiva, in quanto finora l’autovalutazione si basava soprattutto sulla voce del dirigente e del nucleo interno, per la prima volta adesso si chiede un contributo diretto e diffuso a tutti i docenti. Questo può arricchire la lettura della scuola con sguardi plurali, affiancando agli esiti quantificabili anche indicatori indiretti relativi a clima, benessere e pratiche didattiche. Tuttavia, perché questa triangolazione di fonti produca conoscenza utile, occorre trattare le percezioni con il necessario rigore metodologico e considerarne la specificità, senza confonderle con i dati oggettivi.
Chi compila e chi resta fuori
La platea dei rispondenti è stata delimitata con criteri precisi. Partecipano tutti i docenti a tempo indeterminato della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, insieme ai docenti a tempo determinato con incarico annuale e almeno due anni di continuità nella stessa istituzione.
Sono invece esclusi i docenti dell’organico dell’autonomia non impiegati in attività di insegnamento. La scelta appare coerente con l’impianto del RAV, che mira a fotografare la realtà stabile della scuola, ma introduce anche un possibile selection bias. In territori caratterizzati da forte precarietà, con alti tassi di turn-over e di supplenze brevi, la rilevazione rischia di restituire un’immagine parziale, più stabile e ottimistica di quanto non sia nella realtà quotidiana.
La voce dei precari, spesso impegnati in classi con alunni fragili o in attività di supporto mirate, rischia di restare fuori dal quadro. In molte scuole, infatti, una parte consistente dei docenti non potrà partecipare alla rilevazione. Questo significa che i dati raccolti descriveranno solo una porzione della comunità professionale. Per questo motivo sarebbe importante che il Nucleo di valutazione dichiarasse in modo trasparente quanti docenti sono stati abilitati e quanti hanno effettivamente risposto, così da comprendere meglio il perimetro entro cui leggere i risultati.
Struttura del questionario: parti comuni e parti differenziate
La parte introduttiva del questionario chiede al docente di dichiarare in quale segmento scolastico ha insegnato nell’anno scolastico 2024/2025. Nel caso della secondaria di II grado, occorre specificare anche il percorso (liceo, tecnico, professionale/IeFP, al momento restano esclusi i docenti dei CPIA). Da qui si diramano i quesiti, che alternano sezioni specifiche per ordine di scuola e sezioni comuni a tutti.
Per l’infanzia la sezione è particolarmente articolata: “la dimensione 2”, per esempio, riguarda gli esiti di sviluppo e apprendimento ed è distinta per età (3, 4 e 5 anni), con una parte aggiuntiva dedicata ai gruppi eterogenei per età. Sono presenti anche domande specifiche sui processi di sviluppo, sull’osservazione e documentazione (con riferimenti a strumenti come checklist, scale, portfolio, diari di bordo, videodocumentazione) e sull’ambiente di apprendimento, corredate da note esplicative che chiariscono il significato dei termini utilizzati (ad esempio cosa si intende per “accoglienza” o per “checklist”).
Accanto a queste sezioni specifiche, il questionario contiene blocchi comuni a tutti gli ordini, come:
- la domanda 5 chiede in quali ambiti (interessi, benessere, traguardi di competenza, competenze chiave) siano stati utilizzati strumenti di rilevazione formalizzati;
- le sezioni sull’ambiente di apprendimento,contiene un elenco delle metodologie didattiche (cooperative learning, project work, problem solving, storytelling, tinkering, ecc.), opportunamente calibrato per ordine di scuola. Non compaiono quindi, per l’infanzia, metodologie come debate, flipped classroom o gamification, previste invece per primaria e secondaria;
- le domande 7, 8, 9 e 10, dedicate al clima scolastico, alla collaborazione professionale e allo sviluppo professionale, restano uguali per tutti.
In sintesi, il questionario combina sezioni molto accurate, soprattutto per l’infanzia, con altre più generali comuni a tutti gli ordini. Questa scelta garantisce la possibilità di confrontare i dati a livello nazionale, con il rischio, però, che alcune domande, pensate per essere trasversali, risultino meno pertinenti o meno aderenti alle pratiche concrete dei diversi segmenti scolastici.
Cosa si misura davvero
Lasciando da parte la sezione dell’infanzia, particolarmente dettagliata, vale la pena soffermarsi sulle domande comuni a tutti gli ordini di scuola, che rappresentano il cuore del questionario. Tra queste spiccano i quesiti dedicati:
- al benessere degli studenti (domanda 3);
- all’uso di strumenti di rilevazione (domanda 5);
- all’ambiente di apprendimento (domanda 7);
- alle pratiche didattiche (domanda 8);
- al clima scolastico e alla collegialità (domanda 9);
- allo sviluppo professionale (domanda 10).
Sezione “Benessere”
La prima area affrontata è quella del benessere, che già nelle istruzioni viene presentata come trasversale a tutti i segmenti. Qui si chiede al docente di considerare “complessivamente ai bambini/alunni/studenti a cui ha insegnato nell’anno scolastico 2024/2025”: un’indicazione che rende evidente la complessità dell’operazione, perché significa sommare esperienze differenti, talvolta persino contraddittorie. È chiaro quanto sia difficile sintetizzare in un’unica risposta situazioni molto eterogenee, come classi con livelli di coesione e benessere molto diversi tra loro. A ciò si aggiunge il limite della scala proposta, che prevede solo quattro opzioni: “per niente d’accordo”, “poco d’accordo”, “abbastanza d’accordo”, “molto d’accordo”. L’assenza di una posizione neutra elimina la possibilità di scegliere “né d’accordo né in disaccordo”. Questo riduce la quota di risposte evasive o indecise, ma al tempo stesso obbliga chi ha un’opinione incerta o sfumata a collocarsi artificialmente su un versante, rischiando di generare un dato meno fedele alla complessità delle percezioni reali.
Sezione “Curricolo, progettazione, valutazione”
Un’altra sezione riguarda il curricolo, la progettazione e la valutazione. In particolare, il quesito 5 chiede al docente di indicare «per quali aspetti relativi a interessi e benessere di bambini/alunni/studenti ha utilizzato strumenti di rilevazione formalizzati», con possibilità di rispondere scegliendo tra opzioni come interessi e inclinazioni, livello di benessere generale, sviluppo rispetto ai traguardi di competenza, acquisizione delle competenze chiave o, in alternativa, dichiarare di non aver utilizzato alcuno strumento. Il limite evidente di questa formulazione è che la rilevazione si concentra sulla presenza o assenza di strumenti, senza interrogarsi sulla loro qualità. Dichiarare di aver utilizzato uno strumento non significa che questo sia stato costruito con criteri validi, applicato in modo sistematico o effettivamente utile a orientare le decisioni didattiche. In altre parole, il questionario fotografa l’esistenza di pratiche di rilevazione, ma non consente di valutarne la reale efficacia.
Sezione “Ambiente di apprendimento”
Analoga ambiguità si ritrova nella parte sull’ambiente di apprendimento: l’elenco delle metodologie è ampio e accattivante, ma senza un glossario condiviso ciascun docente rischia di attribuire significati diversi alle stesse etichette. Ciò che un docente definisce “compito autentico” può essere molto diverso da ciò che intende un collega, e lo stesso vale per “didattica laboratoriale” o “storytelling”. La letteratura pedagogica offre definizioni consolidate, che sarebbe stato utile richiamare almeno in nota per favorire omogeneità interpretativa. Senza queste precisazioni, le risposte rischiano di non essere realmente comparabili e di ridursi a semplici dichiarazioni di principio.
Clima relazionale e sviluppo professionale
Il questionario dedica ampio spazio al clima relazionale e alla collaborazione professionale, indagando la qualità della comunicazione, il grado di collegialità, la partecipazione alla governance della scuola e il rapporto con le famiglie. Nel quesito 9, ad esempio, il docente è chiamato a esprimere il proprio grado di accordo su affermazioni come «C’è una buona comunicazione tra colleghi», «Le decisioni sono assunte collegialmente», «I docenti condividono delle strategie per prevenire i conflitti» o «I docenti ascoltano le preoccupazioni delle famiglie». Si tratta di item che non misurano direttamente il clima scolastico, ma ne restituiscono la percezione soggettiva.
Un item diretto, infatti, dovrebbe fare riferimento a dati osservabili, ad esempio alla frequenza di riunioni collegiali svolte o al numero di episodi disciplinari registrati. In questo senso, il questionario privilegia la voce dei docenti, ma richiede cautela nell’interpretazione perché ciò che emerge è filtrato dalle esperienze personali e dalle dinamiche del contesto.
Nella parte finale il questionario esplora lo sviluppo professionale. Il quesito 10 chiede, ad esempio, quanto spesso si pratichino attività come l’osservazione reciproca, lo scambio di materiali, le classi aperte o la collaborazione con docenti di altri segmenti scolastici. Il terreno di quest’area è più concreto, fatto di pratiche osservabili, e proprio per questo i dati possono fornire indicazioni utili sul funzionamento quotidiano. Tanto più che la scala di risposta – che va da “mai o quasi mai” a “sempre o quasi sempre”, passando per opzioni intermedie come “qualche volta all’anno” o “almeno una volta al mese” “una volta a settimana” – consente di cogliere la frequenza dichiarata di tali pratiche, offrendo quindi un elemento informativo più vicino all’esperienza concreta della scuola.
Resta, naturalmente, il limite dell’auto-dichiarazione. Come in tutti i questionari, le risposte possono risentire di percezioni soggettive o di dinamiche di contesto. Alcuni docenti potrebbero tendere a rappresentare un quadro più positivo per senso di appartenenza alla scuola, altri invece, che si sentono meno partecipi, potrebbero cogliere l’occasione per accentuare le criticità. In ogni caso, ciò che viene restituito non è una “misurazione” oggettiva, ma una fotografia filtrata dalle percezioni individuali, che necessita di essere interpretata e collegata ad altri dati disponibili.
Non tutti gli item sono adatti ai diversi ordini di scuola
Nonostante la differenziazione, restano item non sempre pertinenti a tutti gli ordini di scuola. Per esempio, l’affermazione “gli alunni partecipano attivamente alle decisioni scolastiche” ha senso soprattutto nella scuola secondaria, dove esistono organi di rappresentanza, ma appare poco applicabile all’infanzia, dove la partecipazione assume forme completamente diverse. Analoghe difficoltà emergono quando si parla di prevenzione dei conflitti, regole di convivenza o pratiche gestionali, che assumono significati differenti a seconda del segmento scolastico. La scelta di inserire nei quesiti le tre categorie “bambini/alunni/studenti” non basta a rendere omogenea l’interpretazione.
Dal questionario al RAV
In conclusione, la vera questione aperta non è la compilazione, che richiede un tempo molto limitato (un quarto d’ora circa), ma l’uso che le scuole sapranno fare dei dati. La qualità della restituzione determinerà se il questionario diventerà uno strumento utile di conoscenza o resterà un semplice adempimento burocratico. Sarà decisivo, da un lato, verificare il tasso di risposta, per capire quanto la rilevazione rappresenti davvero la comunità docente; dall’altro, leggere i risultati insieme ad altre fonti, come gli esiti INVALSI, i monitoraggi interni o le osservazioni documentate, così da non fermarsi alla sola percezione. Infine, occorrerà trasformare queste percezioni in scelte operative che orientino il Piano di miglioramento e diano concretezza al processo di autovalutazione. Proprio perché si tratta di percezioni, le risposte possono risentire di diversi bias: il desiderio di rappresentare la scuola in una luce positiva o viceversa, il clima interno che orienta i giudizi, le esperienze individuali dei docenti e la difficoltà di sintetizzare situazioni eterogenee in un’unica risposta. Non per questo i dati perdono valore, ma vanno letti con cautela, come indicatori utili se messi in triangolazione con altre evidenze.
È in questa prospettiva che il Questionario Docente può davvero arricchire il RAV attraverso la voce diretta degli insegnanti e restituire una fotografia plurale della scuola. La differenza la farà la governance di ciascun istituto, chiamata a garantire trasparenza, chiarezza metodologica e soprattutto una restituzione collegiale dei risultati. Solo così le percezioni raccolte potranno tradursi in azioni concrete per migliorare il benessere degli studenti e la qualità dei processi educativi.