La delega sulla valutazione: la “battaglia” del voto

Quando la valutazione è formativa…

Si riscalda il dibattito sulla delega (contenuta nella legge 107/2015) per rinnovare le forme della valutazione e della certificazione nel primo ciclo, per ispirarle ad una funzione effettivamente formativa e di orientamento, nonché per rivedere le caratteristiche degli esami di Stato (sia al termine del primo ciclo: la vecchia licenza media; sia nel secondo ciclo: la vecchia maturità). Si tratta di un provvedimento complesso, viste le numerose sovrapposizioni di norme che si sono succedute negli ultimi anni, a partire dal ripristino dei voti in decimi nella scuola primaria e secondaria di I grado, voluto nel 2008 dal Ministro Gelmini (Legge 169/2008).

Ma non è solo questione di voto o di bocciature e promozioni, come invece sembrerebbe a leggere gli interventi sui mezzi di informazione e sui social. Da un lato c’è il valore da dare alla valutazione, specie nel primo ciclo. Le Indicazioni/2012 sono chiare al riguardo, quando affermano che la valutazione “precede, accompagna e segue i percorsi curricolari”, e si pone – in fondo – l’obiettivo di conoscere il livello degli apprendimenti degli allievi, per stimolarli a conseguire quelle competenze di base previste come finalità della scuola. In quest’ottica parliamo di valutazione formativa, cioè di informazioni e dati raccolti dai docenti (anche con il contributo degli allievi: autovalutazione) per regolare al meglio l’insegnamento, renderlo più efficace, predisponendo anche gli opportuni interventi personalizzati nei confronti di ciascun alunno. È una forma di conoscenza, che attiene alla relazione educativa, che argomenta e descrive i processi di apprendimento degli allievi piuttosto che cristallizzarli in un giudizio. Sotto questo aspetto non sono adatti i voti, né gli aggettivi, né altri codici ecc. Occorre che la valutazione (e qui parliamo di valutazione quotidiana del lavoro degli allievi) sia capace di chiarire e spiegare loro lo “stato dell’apprendimento” e di incoraggiarli e motivarli a fare meglio.

… e la valutazione sommativa…

C’è poi il giudizio di sintesi, al termine di un quadrimestre, di un anno, di un ciclo scolastico, per “dare conto” dei risultati raggiunti, per comunicarli ai genitori, per certificarli verso l’esterno. Valutazione formativa e valutazione sommativa sono due problemi distinti, che spesso vengono invece mescolati con l’uso del voto, quando si usa sui compiti, nelle interrogazioni, nelle medie aritmetiche, negli scrutini. La proposta in discussione cerca di rompere questo circolo vizioso (per cui la valutazione diventa spesso un’operazione matematica) ipotizzando di sostituire il voto in decimi con una scala a 5 valori rappresentati, come in altri paesi europei, dalle lettere A, B, C, D, E. È un cambiamento del gattopardo, diranno molti lettori, perché basta leggere le lettere con gli occhi dei voti, ed il gioco è fatto, magari con qualche complicazione in più. Non è però così, se entra in gioco il significato da attribuire alle lettere, che saranno accompagnate da una “rubrica” descrittiva definita a livello nazionale. Si potrà così dare un’interpretazione più omogenea alle valutazioni sommative. Ma con quale significato? Le lettere al posto dei voti – ma soprattutto le rubriche – dovrebbero mettere in evidenza i livelli di progressione verso le competenze attese, dare un messaggio veritiero ma in termini pro-attivi: “il tuo apprendimento non è adeguato, ma faremo di tutto, io insegnante, tu allievo, i tuoi genitori, per ottenere risultati positivi”. I diversi gradienti della valutazione (sono cinque) daranno conto del “posizionamento” degli allievi verso l’acquisizione delle competenze attese. Il sistema più collaudato in Europa (il quadro comune di riferimento delle lingue) prevede sei livelli: A1, A2, B1, B2, C1, C2 e non si parla di insufficienza… non per questo è poco chiaro, anzi è assai “serio” e apprezzato.

Gli effetti della valutazione

Entrano dunque in gioco gli effetti della valutazione e si torna a parlare anche di promozione/bocciatura. Come stanno le cose? La bocciatura è oggi al 2,2% in prima elementare e al 6,8% in prima media (per ridursi al 3-4% in terza media) con forti differenze regionali, che penalizzano il Sud). Alle superiori i dati si aggravano e sono al 10,6% (ma con i licei al 5,9%, i tecnici al 13,3%, i professionali al 17,4%) cui si aggiunge il 2,4% di studenti non valutati per insufficienza di presenza (che sono ben il 7,8% al professionale). Dunque il problema della bocciatura è assai contenuto alle elementari, ove oggi è possibile solo in casi eccezionali, ed ha un suo rilievo (geograficamente caratterizzato) alle medie. La proposta è di farla diventare “eccezionale”, chiedendo di intervenire “normalmente” su recupero, personalizzazione, supporto, ri-motivazione, ecc. come già molte scuole stanno facendo. La valutazione sarà realistica (un’insufficienza resta un’insufficienza), ma ci sarà l’impegno di tutti a trovare i giusti rimedi, trattandosi di scuola dell’obbligo (che, anzi, termina a 16 anni). Il problema semmai è l’efficacia dei codici comunicativi: il voto, i giudizi sintetici, le lettere dell’alfabeto (e il significato esplicito ed implicito che essi assumono).

Come si valuta in Europa

Uno sguardo al resto dell’Europa ci può aiutare. Come è noto, i sistemi educativi europei sono molto diversi tra di loro, per storia, ordinamento, principi pedagogici. Anche la valutazione assume caratteristiche diverse. L’Unione Europea impegna i paesi aderenti a definire strutture scolastiche o programmi comuni, ma offre obiettivi convergenti (es. le otto competenze chiave, il quadro comune delle competenze linguistiche, la tavola di conversione delle qualifiche EFQ, ecc.).

In materia di valutazione degli allievi il panorama è assai variegato. Solo considerando paesi comparabili con il nostro, abbiamo – nella scuola di base – la presenza di:

– voti numerici, con una scala a 7 livelli (da 4 a 10), come in Finlandia, con un solo livello negativo e la bocciatura è molto rara. In Germania vige una scala di sei voti da 1 = molto bene a 6 = molto scarso (due livelli non adeguati);

– giudizi sintetici, con aggettivi, come in Francia, nella primaria, con 4 livelli: maìtrise insuffisante, fragile, satisfaisante, trés bonne… però alle medie vige un sistema di punteggi, da 0 a 20; e in Spagna c’è una scala a 6 giudizi da insufficiente a sobresaliente (ottimo), con un solo livello negativo;

– punteggi analitici, come in Gran Bretagna, con un complesso sistema di test che vengono rapportati agli obiettivi previsti per ogni gradino scolastico (da 85 a 115 punti, sommando le misurazioni nelle discipline fondamentali);

– scala con lettere, come in Svezia, però a partire dalla sesta classe, e con sei valori: da A a F: A = ottimo, F = insufficiente. Un solo giudizio negativo.

In alcuni (pochi) paesi la valutazione non viene attribuita nei primi anni del ciclo scolastico di base. Questa pluralità di situazioni testimonia la difficoltà a trovare modalità soddisfacenti a rispondere alle diverse esigenze della scuola di base: valutazione comprensibile ai genitori, sincera, capace di stimolare il miglioramento. Anche le vicende italiane, ripercorrendo gli ultimi 40 anni, hanno visto alternarsi quasi tutte queste diverse soluzioni, ed ora si è alla (non facile) ricerca di quella più efficace.

Punti interrogativi

Abbiamo visto come la scelta di un codice (i voti, gli aggettivi sintetici, i punteggi, le lettere) non sia risolutiva delle questioni in gioco, e che la corretta interpretazione dei cambiamenti richiede ulteriori approfondimenti:

– Qual è il valore da dare ad una scala a più livelli? Rappresenta una progressione? Ha una corrispondenza con standard predefiniti?

– Come si arriva alla valutazione sommativa? Cosa succede nelle pratiche quotidiane di valutazione? Che tipo di prove si utilizzano? Come vengono valutate? Come si fa sintesi?

– Quali sono le conseguenze della valutazione? Ci si limita a prendere atto di livelli non adeguati? Si fermano gli allievi (bocciatura)? Quali interventi sono previsti per sostenere l’apprendimento, soprattutto per gli allievi più “fragili”, in modo che poi nel “grande passaggio” alle scuole superiori non si riproducano gli attuali tassi di dispersione?

– Qual è il rapporto tra certificazione delle competenze e valutazione degli apprendimenti? È opportuno usare gli stessi criteri? Tenere distinti i due tipi di valutazione? Che ne sarà della sperimentazione attualmente in atto in 2.000 scuole (di cui a giorni uscirà il rapporto di monitoraggio del MIUR?).

Infine, quale ruolo dare alle cosiddette prove “oggettive”, meglio dire “standardizzate”, somministrate ogni anno a intere leve scolastiche? Posto che saranno tolte dall’esame di Stato di 3^ media, il loro svolgimento avverrà nel corso dell’ultimo anno di corso (magari aggiungendo una prova di inglese)… Ma ci chiediamo: gli esiti saranno utilizzati per avere un quadro dell’andamento degli apprendimenti su grandi numeri (una classe, una scuola, un territorio, un intero paese) come oggi avviene o avranno un peso “specifico” – di carattere certificativo – nei confronti dei singoli alunni? Su quest’ultima ipotesi si esprime il Presidente dell’Invalsi Ajello in una sua recente intervista (http://www.scuola24.ilsole24ore.com/art/scuola/2016-09-19/per-invalsi-funzione-certificativa–202657.php?uuid=ADadSQNB), ma la scelta richiede di essere attentamente soppesata nei suoi pro e nei suoi contro.

È possibile che prima di dare via libera alle novità previste nel decreto legislativo sulla valutazione in fase di elaborazione, il Governo voglia sondare le opinioni dei docenti in proposito. Si prospetta così una consultazione con le scuole per verificare come gli insegnanti, di base in questo caso, vivano le questioni valutative. Non sarà certamente un referendum, ma potrebbe diventare un’occasione utile a sviluppare quella cultura della valutazione, che è uno dei punti deboli della scuola del nostro Paese. Su un tema così delicato non sono ammessi scorciatoie, ammiccamenti, populismi.