Valorizzare i docenti di “sostegno”

Check-up all’integrazione

In Italia operano ben 124.572 docenti di sostegno, su un totale di 804.772 docenti complessivamente in servizio nelle scuole di ogni ordine e grado. Una cifra ragguardevole che dovrebbe assicurare le condizioni necessarie per l’inclusione di 224.509 allievi disabili nelle classi comuni [1]. Ma è veramente così? Intanto sappiamo ancora troppo poco di questo gruppo professionale, della sua stabilità, della sua preparazione, del suo concreto agire per l’integrazione degli alunni con handicap. È vero che il quadro normativo è assai dettagliato e che ogni aspetto dell’integrazione è stato via via regolamentato da leggi (a partire dalla fondamentale Legge 104/1992), da decreti (come il DPR 24-2-1994 sui compiti delle unità Sanitarie Locali in materia di handicap), da atti di indirizzo (fondamentale risulta quello del 4 agosto 2009 sulle Linee guida MIUR in materia di integrazione), da accordi di programma (Intesa Conferenza Unificata del 20-3-2008 sulla presa in carico dell’alunno disabile), da circolari, faq, ecc. Eppure non sempre le notizie che rimbalzano dal mondo della disabilità esprimono soddisfazione per lo stato di salute dell’integrazione. Grandi valori etico-giuridici (di natura costituzionale), grandi numeri, risorse ingenti non significano sempre qualità dell’integrazione scolastica. La ricerca di Fondazione Agnelli-Treellle-Caritas [2] ci parla di pratiche organizzative e didattiche che a volte separano l’allievo disabile dalla classe, di discontinuità di presenze, di interventi specializzati non all’altezza, di carenza di formazione, di scarso coinvolgimento dei docenti curricolari. Ovviamente ci sono anche esperienze di qualità, e non è un caso che alcuni anni fa il riconoscimento di miglior docente italiano sia andato ad un docente di sostegno.

Per un sostegno di qualità

I posti di sostegno appaiono spesso “ballerini”: l’organico di diritto non coincide con quello di fatto, ci sono poi le risorse aggiuntive per casi gravi (sentenza della Corte Costituzionale), oggi anche il potenziamento di sostegno, infine la galassia poco esplorata di tutte le figure assistenziali che gravitano attorno alla disabilità. Si assiste ad una “fuga” dal sostegno, dopo i 5 anni di obbligo di permanenza nel ruolo, verso l’insegnamento curricolare, evidentemente per la percezione di marginalità che la figura del docente di sostegno riverbera nella scuola. Troppo spesso questo insegnante assume la veste di un “tutore” dell’allievo disabile, e l’integrazione finisce col poggiare in gran parte sulle sue spalle (e su quelle di qualche assistente educativo), costruendo un rapporto “diadico” che non agevola la progressiva autonomia dell’allievo disabile, anzi potrebbe frenarla (Canevaro, 2014) [3]. Tutti, a parole (e le norme innanzi tutto), affermano che l’integrazione coinvolge l’intera classe e la scuola, che tutti i docenti curricolari devono sentirsi “parte in causa”, che la progettazione didattica deve includere ogni allievo. Il PAI (Piano Annuale per l’Inclusione) dovrebbe sancire e concretizzare questi principi. È evidente che una vera integrazione richiede un forte impegno da parte di ogni scuola in termini di progettazione, formazione, valutazione (e non è un caso che l’inclusione sia uno degli undici indicatori su cui si costruisce il Rapporto di Autovalutazione – RAV). Molte scuole dedicano una funzione strumentale al coordinamento dell’integrazione scolastica. È però indispensabile assicurare a tali figure le competenze necessarie per esercitare un ruolo attivo di effettivo coordinamento dell’integrazione (nelle progettazioni di classe, nel rapporto con le figure specialistiche, nei contatti con le famiglie).

La formazione dei coordinatori/referenti dell’inclusione

È da queste premesse che scaturisce l’esigenza di realizzare attività di formazione specifiche per le figure che in ogni scuola si occupano di “tenere insieme” le molte sfaccettature dell’integrazione. Il MIUR ha provveduto con la nota 37900 del 19-11-2015 ad avviare un programma di formazione per docenti referenti dell’inclusione (rivolgendosi con priorità a coloro che appartengono al ruolo dei docenti specializzati). La circolare è stata rinnovata per il secondo anno (nota 32839 del 3-11-2016), per consolidare il programma di formazione di tali figure e dare la necessaria continuità. Si tratta di impegnare in attività formative di carattere laboratoriale ed operativo circa 10.000 docenti (1 figura per ogni scuola, 2 per le scuole di grandi dimensioni), che possono rappresentare la nervatura “intelligente” per l’inclusione. In sintesi l’attività formativa si articola in:

– 2 unità formative del valore di 25 ore ciascuna, comprensive di lezioni, laboratorio, studio, ricerca, documentazione, ecc;

– tematiche di tipo professionale con attenzione a strumenti operativi (la diagnosi funzionale, il Pei, il progetto di vita, ecc.);

– simulazioni, produzione di materiali e prototipi di accordi, progettazione, modelli formativi.

L’attività vuole interpretare al meglio le nuove Linee metodologiche contenute nel Piano nazionale di formazione, presentato il 4 ottobre u.s., rispondendo alla priorità 4.5 (Inclusione e disabilità), e si rivolge in primo luogo ai docenti di sostegno: un segnale simbolico per dire che il profilo di sostegno non è marginale o residuale, ma merita uno sviluppo professionale interno.

…in attesa del decreto legislativo sulla disabilità

L’attività di formazione proposta dal MIUR è importante, ma occorre una revisione più profonda delle politiche dell’integrazione. È quanto ci si aspetta dalla delega legislativa contenuta nella legge 107/2015, che ha però una scadenza ravvicinata (entro gennaio 2017) e lavori di elaborazione non ancora completati e comunque non ancora pubblici. Dalle prime anticipazioni si evince che nel decreto:

– sarà mantenuto, ma reso più rigoroso, l’attuale modello di formazione iniziale del docente specializzato e intensificata la formazione in servizio per tutti;

– sarà confermata l’attuale modalità di accesso ai posti di sostegno (con uno specifico concorso), ma con una permanenza prolungata a 6 anni (c’è chi vorrebbe almeno 9), mentre i posti di organico saranno definiti a livello di ambito territoriale;

– viene rafforzato il coordinamento dei diversi enti competenti in materia di integrazione, costituendo un punto unico di accesso (all’informazione) sulla disabilità, proiettato verso il progetto di vita;

– viene semplificata la documentazione progettuale (dalla diagnosi funzionale al progetto educativo), ma ricondotta al progetto complessivo dell’inclusione;

– viene rafforzato il monitoraggio, con la definizione di indicatori di qualità per l’inclusione.

Si aspetta ora il testo definitivo, ma già mettere ordine nell’attuale precarietà (a partire dai ritardi nella definizione delle deroghe e dalla piaga delle assegnazioni provvisorie) sarebbe un passo in avanti per una integrazione troppo spesso affidata alla buona volontà dei singoli.

[1] Le cifre si riferiscono ai posti funzionanti all’inizio dell’a.s. 2016-17, così come riportati del Dossier del MIUR “Focus. Anticipazioni sui principali dati della scuola statale”, settembre 2016. http://www.istruzione.it/allegati/2016/REPORT_Dati_Avvio_anno_scolastico_2016-2017.pdf

[2] Associazione TreLLLe, Caritas Italiana, Fondazione Giovanni Agnelli, Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, Erickson, Trento, 2011.

[3] A. Canevaro, Per un “sostegno” di prossimità, in “Rivista dell’istruzione”, n. 1-2, 2014, pp. 46-51, Maggioli, Rimini.