Certificazioni DSA in aumento: perché?

La certificazione diagnostica di DSA

È evidente come le certificazioni diagnostiche di Disturbo specifico dell’apprendimento (DSA) siano vertiginosamente aumentate dal 2010, anno di introduzione della L. 170, ad oggi.

Come ben noto, con la succitata Legge sono state dettate nuove norme in materia di DSA in ambito scolastico e sono state introdotte, per la prima volta in un testo legislativo, sia la definizione di DSA, sia quella di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia.

Nello specifico la dislessia viene definita come “un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura”; la disgrafia come “un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica”; la disortografia come “un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica”; la discalculia come “un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri”.

Si tratta di un grande passo avanti se consideriamo che, in passato, negli ambienti scolastici, le cause di difficoltà nella lettura, scrittura, calcolo erano spesso attribuite a pigrizia, svogliatezza, disattenzione.

Tuttavia, secondo i dati forniti dal MIUR, ogni anno la percentuale di studenti con DSA aumenta.

Se nell’anno scolastico 2014/2015 si è registrata, infatti, una percentuale di alunni con DSA sul totale degli alunni pari al 2,1%, nell’anno scolastico 2010/2011 tale percentuale era di appena lo 0,7% come di seguito rappresentato graficamente:

Come si spiega l’aumento delle certificazioni?

Un tale aumento è dovuto, verosimilmente, ad una maggiore sensibilizzazione in seguito all’approvazione della L. 170/2010, che ha creato un clima favorevole ad una diversa lettura delle difficoltà scolastiche dei bambini, sollecitando pure una sinergia educativa tra scuola, famiglia, specialisti, ASL, nell’ottica di una presa in carico globale e tempestiva.

Tuttavia si potrebbe adombrare anche una sorta di “corsa” alla diagnosi come strumento per motivare risultati di apprendimento mediocri o negativi che hanno altre cause.

Paradossalmente si potrebbe ipotizzare che, molte volte, gli effetti negativi dei disturbi dell’apprendimento possano essere generati da “disturbi di insegnamento”, cioè da una modalità di insegnamento che prevede un modello di funzionamento e risposta identico per tutti gli alunni, non rispettoso degli specifici repertori di abilità e che si nutre dell’idea che si impara ripetendo in maniera ostinata.

Infine una domanda nasce spontanea: se secondo l’O.M.S. i disturbi dell’apprendimento non possono superare il 2,5 – 3% della popolazione, è possibile che a scuola facciano fatica 5 bambini su 25?

Probabilmente è possibile, ma è opportuno evitare di continuare ad associare tutti i bambini che fanno fatica ad imparare con soggetti che hanno una patologia neuropsicologica basale come il DSA.

Evidentemente buona parte dei casi che la scuola segnala sono alunni che hanno bisogni specifici di apprendimento e che necessitano semplicemente di un trattamento pedagogico competente.

In che modo si può contenere l’aumento esponenziale di DSA?

Sicuramente sono necessari percorsi di formazione rivolti ai docenti, basati sul modello della ricerca-azione con studio di casi, e che sollecitino l’approfondimento delle abilità cognitive implicate nell’apprendimento, nonché le relative modalità di stimolazione.

Le scelte didattiche e valutative dovrebbero essere attente non solo alla misurazione degli esiti raggiunti dagli studenti, ma alla qualità del percorso apprenditivo svolto, nella consapevolezza che il modo in cui si sviluppano le potenzialità del cervello di un bambino dipende anche e soprattutto dal docente.

L’intelligenza umana, infatti, è un processo interattivo che si costruisce nella relazione di insegnamento-apprendimento.

Una formazione appropriata aiuta a non patologizzare in maniera accanita ciò che può essere, invece, oggetto di un efficace intervento educativo, evitando i cosiddetti “falsi positivi”, cioè bambini che, se destinatari di un trattamento pedagogico competente, possono realizzare il proprio potenziale apprenditivo.

Una formazione appropriata sa porre l’accento sulla pedagogia dell’errore ed è in grado di fornire strumenti funzionali all’analisi di quest’ultimo e alla comprensione delle relative motivazioni. Inoltre è attenta alle strategie di relazione di aiuto, nella convinzione che il miglior aiuto che si possa fornire ad un alunno con DSA è allearsi con lui nel fronteggiare e superare gli errori.

Parallelamente si rende necessaria la corretta informazione dei genitori mediante dei percorsi specifici e l’attivazione di sportelli d’ascolto dedicati.

Quali opportunità per la scuola?

Si rammentano alcune opportunità offerte alle scuole per implementare azioni finalizzate al successo formativo di alunni con DSA:

  1. Finanziamento ex legge 440/97 – Avviso relativo all’articolo 1 del D.M. 663/2016 finalizzato al potenziamento delle azioni di supporto al processo di inclusione degli alunni e degli studenti con disabilità e/o con disturbi specifici dell’apprendimento;
  2. Progetto “Dislessia amica” – Percorso di formazione gratuito on line della durata di quaranta ore, organizzato dall’Associazione Italiana Dislessia e da Fondazione TIM, d’intesa con il

Conclusione

In conclusione i disturbi dell’apprendimento esistono, ma non devono essere confusi con le difficoltà di apprendimento; il criterio di diagnosi deve consentirci una prospettiva di aiuto che, se non è in grado di rimuovere la causa, può però condizionare l’effetto e le funzioni cognitive coinvolte, migliorandole – soprattutto in età plastica – mediante specifiche strategie di potenziamento.

“Ogni uomo è destinato ad essere un successo…” (Rapporto Faure 1972)