Blue Whale Challenge: pericolo reale o “bufala”?

Allarmismi per una macabra sfida

L’espressione “Blue Whale Challenge”, letteralmente “Sfida della balena azzurra”, indica un “gioco” ideato dallo studente ventiduenne di Psicologia Philip Budeikin, in carcere dal 2016 a San Pietroburgo, e che, a partire dalla Russia, si starebbe diffondendo a macchia d’olio tra gli adolescenti in diversi paesi.

Le regole del “gioco”, se “gioco” può definirsi e che tale appare a chi si iscrive alla sfida, sono inquietanti, ed il premio finale consiste nel suicidio.

Le decine di segnalazioni di casi sospetti arrivati alla Polizia postale, e altrettanti i messaggi di allerta inviati su WhatsApp, ci fanno pensare ad una psicosi collettiva; eppure la storia ha molti punti non verificati e altri impossibili da verificare.

Quali sono le origini e le caratteristiche di questa macabra sfida? Quali motivi la rendono così affascinante agli occhi degli adolescenti? In che modo gli adulti possono proteggere la gioventù, sempre più fragile emotivamente, da questo crimine cibernetico? Blue Whale Challenge: allarme o allarmismo, pericolo reale o bufala?

Su questi interrogativi rifletteremo nel presente contributo.

In che cosa consiste la “Blue whale challenge”?

“Blue whale”, “balena blu”, prende spunto da un fenomeno naturale: le balene, spesso, si spiaggiano sulle coste con il rischio di morire per asfissia e disidratazione. Il “gioco” consiste nell’attuare 50 azioni, una al giorno, come ‘preparazione alla morte’, che si concretizza con il fatale e raggelante salto nel vuoto da un edificio.  Queste regole quotidiane consistono nello svegliarsi ad orari improponibili del mattino e tagliarsi con lamette e coltelli per incidersi l’immagine di una balena o di altre scritte, come per esempio dei codici, direttamente sulla pelle; guardare film dell’orrore per 24 ore continuative, ascoltare una particolare musica con video psichedelici e non dormire. Delle prove superate deve essere spedita, di volta in volta, la foto all’amministratore, detto “curatore”.

Il “gioco” non è scaricabile con il download libero ma è necessario essere invitati a giocare; quindi i “ragazzi bersaglio” vengono adescati tramite hashtag, gruppi chiusi e specifici link sui social media. Una volta che si scarica il gioco, è possibile prendere possesso dei social del ragazzo vittima e iniziare a fargli un lavaggio del cervello, spaventandolo e incitandolo a giocare attraverso le minacce, sostenendo di essere a conoscenza di tutte le sue informazioni e che, una volta iniziato il percorso, non si può più interrompere o tornare indietro.

Che cosa può spingere un adolescente a partecipare alla Blue whale challenge?

L’adolescenza di per sé è caratterizzata dalla “sensation seeking”, ossia la sensibilità verso le sfide estreme, la tendenza e la ricerca di emozioni intense, anche al prezzo di mettere a rischio la propria ed altrui incolumità. Si ricercano l’eccitazione, l’adrenalina e tutte quelle sensazioni che fanno sentire i ragazzi “vivi”; il macabro, la morte, l’occulto allettano gli adolescenti perché sono vissuti come una sfida con se stessi, un affrontare i propri demoni, che in questa fase inducono spesso anche a pensieri suicidi e autolesionistici.

Il suicidio è visto, purtroppo, da molti giovani come un gesto eroico di cui sono capaci solo i più coraggiosi, ed anche come un mezzo per mostrare ed urlare al mondo cieco e sordo, incapace di coglierne i segnali, la loro sofferenza.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che siamo nell’era delle sfide estreme, delle challenge che rinforzano a suon di hashtag chi riesce ad andare più vicino alla morte con tanti like, fino ad arrivare agli horror game che rischiano di far passare il suicidio come un aver compiuto un gesto degno dell’attenzione altrui.

Soprattutto nella fase adolescenziale, inoltre, è importante l’effetto del mostrare agli altri il proprio successo, dell’essere riconosciuti da qualcuno, come può essere un “curatore” di un gioco, che sottolinea la tua bravura, è fiero di te e del tuo coraggio, presta quell’attenzione che è mancata un po’ troppo nella vita di questi ragazzi, che cercano nella rete ciò che non hanno nella vita reale.

Ovviamente per rimanere vittima di gruppi e spazi oscuri del web, ci devono già essere una predisposizione a questo tipo di contenuti, condizioni di fragilità e vulnerabilità emotiva, solitudine, bisogno di riconoscimento ed approvazione.

Un’alfabetizzazione emotiva per gli adolescenti

È evidente che adolescenti con un buon supporto familiare e sociale, con un’adeguata autostima, non si lasciano coinvolgere da queste folli sfide, non hanno bisogno di spazi macabri per cercare se stessi e dimostrare il loro valore, non sono così facilmente manipolabili e adescabili.

Forse è arrivata l’ora che gli adulti, molto onestamente, la smettano di credere alla favola del lupo cattivo vestito da Cappuccetto Rosso di cui tutti possono rimanere vittime. Ci sono dei segnali più o meno evidenti che i ragazzi lanciano, e che andrebbero colti e soprattutto visti.

È importante osservarli ed ascoltarli autenticamente per cogliere, ad esempio, cambiamenti di umore, uscite notturne, poche ore dedicate al sonno, mutamenti di comportamento nel mangiare o nella tipologia di serie o film che guardano, nella quantità di tempo che trascorrono con gli amici, nelle uscite con gli altri, nella condivisione nel “reale” e nel rapporto con la scuola, maggiore attenzione al cellulare ed utilizzo soprattutto di notte.

È importante un lavoro congiunto scuola-famiglia di osservazione ed ascolto autentico delle nuove generazioni, riappropriandosi di quell’autorevolezza che sembra essersi affievolita.

È utile ragionare sul ruolo del suicidio per gli adolescenti con il supporto di esperti, per evitare l’effetto contagio che induce ad emulare il comportamento degli altri; fondamentali sono, altresì, efficaci percorsi di alfabetizzazione emotiva che spingano i giovani a conoscere, riconoscere ed esprimere adeguatamente le proprie emozioni, nonché attività che consentano ai ragazzi di sperimentare occasioni di successo, di vita autentica, incrementando il senso di autoefficacia ed il livello di autostima.

Necessari sono, infine, percorsi di educazione ad un uso sano e consapevole della rete, atteso che nel web vi sono numerosi pericoli di adescamento.

In Italia, situazione sotto controllo

In Italia si sta attualmente indagando su una cinquantina di segnalazioni, ma nessuna al momento può ascriversi con certezza alla “blue whale challenge”; la bomba mediatica ha creato un forte effetto contagio, per cui tanti ragazzi, pur di acquisire un ruolo, dicono di essere entrati in contatto con il gioco.

A tal proposito, al fine di arginare la disinformazione e per scongiurare il rischio che gli adolescenti restino vittime di questo lavaggio digitale del cervello, la polizia postale ha pubblicato sul proprio sito una serie di utili suggerimenti rivolti ai ragazzi ed alle famiglie. Interessante è anche l’intervento in Emilia Romagna della Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, Clede Maria Garavini, che ha diffuso una nota del Procuratore della Repubblica per i minori, Silvia Marzocchi, nella quale si allertano i servizi sociali.

Comunque, un campanello d’allarme

Ritornando alla domanda iniziale “Blue whale challenge: allarme o allarmismo? Pericolo reale o bufala?”, probabilmente la risposta sta nel mezzo. È noto, ormai, che esistono troppi spazi virtuali di rischio, nei quali i ragazzi possono incontrare menti deviate che li conquistano, ed iniziano una danza per condurli a fare il ballo che decidono loro.

È opportuno pertanto che, con un atteggiamento proattivo, si tenga sempre desta l’attenzione di famiglia ed istituzioni educative sulla prevenzione e la cura del disagio adolescenziale, cogliendone i segnali per tempo ed attivando una rete di aiuti che non si concentri solo sulla “Blue whale challenge”, ma la consideri un campanello d’allarme di un problema molto più vasto e complesso.