Si scrive device, si legge smartphone

Non fraintendiamo: l’uso deve essere didattico

Una questione controversa, che da qualche tempo anima il dibattito pubblico, riguarda l’utilizzo degli smartphone a scuola. Il dibattito era già “caldo” una decina di anni fa. Nel 2007 l’allora ministro Fioroni dovette emanare una circolare che ne vietava l’uso in classe, anche a causa di alcuni fatti incresciosi di cyberbullismo accaduti all’epoca. In dieci anni molte cose sono però cambiate. Le varie dichiarazioni del Miur, nella figura prima del sottosegretario e poi, l’anno scorso, della Ministra, sono andate in tutt’altra direzione. Sicuramente hanno riacceso il dibattito, in realtà mai sopito, tra fautori ed oppositori delle tecnologie personali a scuola.  Il contrasto è diventato particolarmente accesso poiché la dichiarazione della Ministra fu in parte fraintesa. Alcuni la interpretarono come un vero e proprio endorsement a favore di un uso indiscriminato dei cellulari durante le ore di lezioni. Lungi dall’essere vero: la Ministra chiarì che l’uso era condizionato esclusivamente alla finalizzazione didattica. Se il docente aveva programmato un’attività che contemplava l’uso dei cellulari come strumenti interattivi di studio e di ricerca, il loro utilizzo era del tutto lecito.

A regola di PUA (Politica Uso Accettabile)

Al di là di tali diatribe e considerazioni, in molti regolamenti di istituto è quasi sempre previsto e consentito l’uso didattico degli smartphone sotto la supervisione dei docenti. Tale condizione è ulteriormente regolata dalla PUA (Politica d’uso accettabile della rete e delle tecnologie) elaborata da ogni istituzione scolastica. La PUA descrive dettagliatamente come le tecnologie e la rete devono essere utilizzate responsabilmente all’interno della scuola. Essa è rivolta non solo agli studenti, ma anche al personale scolastico, e per conoscenza alle famiglie. Tutti devono essere consci e informati non solo delle potenzialità, ma anche dei rischi presenti nell’uso delle tecnologie, in particolare quando sono connesse in rete. Gli studenti e tutto il personale scolastico devono essere consapevoli anche dei comportamenti non ammessi e inaccettabili. Nella PUA sono specificati, tra l’altro, i controlli a campione che la scuola adotta per monitorare l’ottemperanza a tali condizioni di utilizzo, e i relativi provvedimenti sanzionatori.

Gestire la complessità dei device a scuola

Nelle istituzioni scolastiche fino a qualche anno fa ci si confrontava facilmente con le poche tecnologie presenti. Essenzialmente si trattava di PC, per lo più desktop, collocati fisicamente nei laboratori. C’era un regolamento del laboratorio in cui, oltre a stabilire le norme di utilizzo e di sicurezza, si arrivava finanche a specificare quali erano le discipline “elette” che potevano contare su tali strumentazioni. Più recentemente, con l’incrementarsi delle tecnologie e il loro posizionamento direttamente all’interno delle classi, il grado di complessità è notevolmente aumentato. È evidente che tutte le tecnologie di proprietà dell’istituto, indipendentemente dalla loro localizzazione, hanno una loro specifica funzione didattica e/o amministrativa (registro elettronico) ben regolata. Se sono posizionate nelle aule, servono soprattutto per sperimentare e diffondere la didattica digitale. Per i docenti significa avere strumenti innovativi per rendere le lezioni più stimolanti e interattive; per gli studenti significa diventare attivi protagonisti. L’incremento nella complessità non deriva tanto dall’eterogeneità del parco tecnologico, tra videoproiettori, televisori e LIM di diversa marca, accumulatosi nel corso del tempo, ma dalla presenza dei device portatili personali degli studenti.

Il termine inglese device è una parola per indicare un dispositivo generico. Tale anglicismo tecnico ormai ampiamente utilizzato è compreso da tutti. La sua declinazione al plurale sta ad indicare la babele di tecnologie che circondano l’individuo. Ma più in particolare la parola è molto usata quando ci si riferisce ai dispositivi mobili (smartphone, tablet, netbook e pc convertibili) e/o indossabili (smartwatch, occhiali e visori 3d, braccialetti digitali-fitness tracker), che hanno una pervasività del tutto nuova, in quanto o seguono o sono integrati nella persona. Di fatto tali tecnologie costituiscono la scatola nera in cui sono registrate le attitudini, le preferenze e i comportamenti. Per questo motivo hanno un profondo impatto emotivo.

BYOD: il decalogo per un uso corretto dei device mobili a scuola

La necessità di regolare la complessità generata dalle strumentazioni portatili personali a scuola era già stata preannunciata da qualche tempo. Si era insediata un’apposita commissione di esperti con il compito di elaborarla. Qualche giorno fa il Miur ne ha pubblicato il risultato nella forma di un decalogo. In questo elenco ci si riferisce alla gestione/utilizzo a scuola delle tecnologie mobili di proprietà degli studenti secondo la metodologia didattica BYOD (Bring Your Own Device). Nel metodo BYOD le azioni didattiche sono progettate in modo tale che gli studenti possano usare la propria tecnologia mobile in classe. Nell’immagine sottostante è riportato il decalogo.

Per un uso responsabile delle tecnologie

I dieci argomenti presentati, in realtà, possono essere letti come abbinati concettualmente a due a due tra loro. Raggruppate così, le dieci voci diventano cinque elementi tematici, che sono:

  • lo sviluppo di un’attitudine positiva al cambiamento prodotto dalle tecnologie;
  • la promozione della tecnologia a scuola come mezzo e non come fine;
  • l’uso responsabile/consapevole delle tecnologie da parte degli studenti;
  • l’innovazione nella didattica e negli ambienti di apprendimento;
  • la cittadinanza digitale attiva e responsabile.

Un’altra considerazione che emerge leggendo il decalogo è che, a seconda della particolare voce descrittiva, cambia anche l’interlocutore di riferimento. Si passa dalla scuola in senso lato al discente, al docente, alle famiglie e alla società. Ovviamente docenti e studenti sono le due categorie protagoniste, non solo per il ruolo essenziale che occupano nella scuola, ma anche perché il cambiamento stesso della società, nel bene e nel male, è condizionato dal risultato delle loro interazioni/relazioni educative.

Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono ripari, altri mulini a vento (proverbio cinese)

Il decalogo sul BYOD essenzialmente vuole trasmettere a tutti gli attori che gravitano nell’orbita scolastica una cultura e una concezione tecnologica educativa e costruttiva. Si evidenziano le potenzialità formative e creative insite nelle tecnologie personali, senza nasconderne i lati oscuri. Usate positivamente, esse possono aiutare e supportare gli studenti ampliando le possibilità di studio, di ricerca e di acquisizioni cognitive. Le tecnologie mobili personali rendono gli studenti partecipi e attivi protagonisti del proprio apprendimento e della propria crescita personale, per prepararsi ad esercitare una cittadinanza attiva nella società digitale futura. Il messaggio rivolto nei confronti dei docenti è semplice ed immediato: non temere i cambiamenti che le tecnologie, anche quelle considerate per certi versi distruttive, pongono. I docenti devono comprenderle, valutarle e utilizzarle al meglio, per innovare la propria didattica e rendere la scuola più aderente alle esigenze di una società in perenne trasformazione.

Una generazione vissuta nel “rumore” tecnologico

La generazione Z (ragazzi nati tra il 1995 e il 2010), che frequenta attualmente le scuole, ha avuto, nel bene e nel male, un profondo “imprinting” da smartphone sin dai primi anni d’età. Si tratta in effetti dello strumento tecnologico con cui sono cresciuti, e che ha surclassato i computer e offuscato persino gli stessi tablet. Lo smartphone è considerato dai ragazzi un’appendice insostituibile, innestata indissolubilmente nel loro modo di vivere, di relazionarsi e di divertirsi. Si tratta della tecnologia al momento più invasiva, con profondi risvolti emotivi e psicologici, in grado purtroppo di sviluppare facilmente forme di dipendenza e di isolamento assolute. Anche per questo motivo la scuola non può permettersi di trascurare tale tecnologia. Non si tratta solo di insegnare in modo diverso e maggiormente accattivante, ma anche di far comprendere ai giovani che lo strumento può e deve essere usato in modo diverso, meno istintivo e più razionale.

Le virtù del silenzio tecnologico

Alternare, a scuola, momenti di attività digitali con momenti di silenzio tecnologico, è il più importante insegnamento che si può offrire. In tali frangenti si alza la testa dal piccolo schermo, e ci si confronta con i propri compagni e con il docente direttamente, con apertura ed empatia, alla ricerca di una produzione collettiva di senso. Tale atteggiamento diventa poi un’abitudine e si trasferisce nella vita quotidiana: c’è il tempo in cui si utilizza la tecnologia, ma c’è anche il tempo in cui la si spegne, e si parla e si riflette senza l’assillo o la psicosi continua di rispondere ad una chat, di leggere un messaggio, o di compiere qualsiasi altra attività nel mondo digitale.

Insicurezza e decaloghi

Come scriveva il sociologo Bauman, la liquidità insita nella nostra società provoca, a livello psicologico individuale, un senso di incertezza e di insicurezza. Le tecnologie sono alla base di tali cambiamenti continui. La condizione di indeterminatezza è sintomatica in tutti i campi. Sicuramente tale nevrosi viene trasmessa e si riflette nella scuola, che è alla base stessa della società. Ma i messaggi e le sollecitazioni che la scuola riceve non sono sempre chiari e coerenti. Si sente allora, sempre più stringente, la necessità di certezze e di regolazione per governare tali incongruenze. Il proliferare di decaloghi rivolti alla scuola è sintomatico di tale situazione. Nella loro diversità, essi hanno un denominatore comune: la tecnologia e le mutazioni che genera. Oltre al decalogo BYOD illustrato precedentemente, sempre il Miur, in accordo con Camera dei Deputati, ha pubblicato nell’ottobre 2017 il decalogo “BastaBufale”  sulle “fake news” postate in internet, che si diffondono incontrollabili a macchia d’olio grazie alle diverse condivisioni, compiute anche in buona fede dai navigatori dei social network. Nell’immagine sottostante è ritratto il suddetto decalogo (anche se in realtà trattasi di un ottalogo).

Una scuola a prova di privacy

Un altro punto caldo presente nella società, e ovviamente nella scuola, riguarda la privacy, messa a serio rischio dalle tecnologie digitali. “La scuola a prova di privacy” non è proprio un decalogo, ma un vademecum pubblicato dal Garante della privacy (l’ultima versione è del 2016), indirizzato alle scuole. La copertina della pubblicazione è del tutto esplicativa: una studentessa intenta a utilizzare lo smartphone. Una parte del vademecum riguarda proprio ciò che è possibile compiere all’interno della classe con gli smartphone, o gli altri strumenti in grado di registrare in video/audio, senza incorrere in situazioni di illiceità.

Roberto Baldascino