L’esame conclusivo del I ciclo: ancora sul colloquio

L’esame di Stato di fine I ciclo: dubbi e interrogativi

L’affidamento della presidenza dell’esame al dirigente dell’istituto fa sì che dall’indirizzo dirigenziale dipenderanno molte cose importanti: in un istituto l’esame consisterà in una serie di adempimenti attraverso i quali applicare alla bell’e meglio quanto di nuovo prescritto dalla norma, in un altro istituto l’esame rappresenterà un campo di ricerca e di sperimentazione di nuove pratiche.

Nel numero 91 di Scuola7, Angelo Prontera descrive in maniera puntuale quanto richiesto dal decreto 741/2017 in merito al colloquio pluridisciplinare: ne mette in rilievo la coerenza con le Indicazioni nazionali e con il profilo dello studente, ne segnala alcuni elementi innovativi.

Evidenzia tuttavia dei “dubbi e nodi irrisolti”, sostanzialmente riconducibili a tre aspetti del colloquio:

  1. aspetti di contenuto (se il colloquio verta sulle discipline dell’ultimo anno o dell’intero triennio; se possa costituire “momento di approfondimento di aspetti culturali, non necessariamente pertinenti ciascuna disciplina” come previsto dal “vecchio” DM 26 agosto 1981; se gli alunni si possano discostare in sede di colloquio finale dagli argomenti trattati durante l’ultimo o gli ultimi anni, scegliendo e portando eventualmente, altri argomenti autori o opere non svolti in alcuna delle discipline d’esame);
  2. modalità di conduzione del colloquio (se il colloquio ha inizio con un argomento scelto dal candidato, per poi passare ad altri argomenti trattati durante l’ultimo anno, o se verte “esclusivamente” sugli argomenti del percorso tematico prescelto dall’alunno);
  3. formalità burocratiche (se gli “argomenti effettivamente svolti” durante l’ultimo anno – il vecchio “programma” – vanno ancora consegnati alla commissione d’esame in sede di riunione preliminare, e pertanto sono vincolanti per il colloquio finale, com’era previsto dall’OM n. 90/2001).

Quali modalità per la conduzione del colloquio?

Viene posta infine, da Angelo Prontera, una domanda relativa alle possibili bussole da fornire agli istituti ai fini dello svolgimento del colloquio: un documento ministeriale di orientamento (del tipo del documento Serianni) o un documento elaborato da ciascun istituto, con le conseguenti diverse modalità di conduzione del colloquio finale?

Questo mio contributo deriva dalla convinzione che le domande poste meritino delle risposte, o quantomeno delle riflessioni.

Per quanto riguarda i primi dubbi espressi, mi sembra importante segnalare che, ai fini dell’accertamento del profilo indicato a livello nazionale, e considerata la centralità del curricolo di scuola quale strumento di interpretazione e di contestualizzazione di quel profilo, mentre è rilevante condividere sul territorio nazionale la necessità di accertare conoscenze, abilità e competenze, con indicazione di quelle ritenute di maggior rilevanza (che lo stesso Prontera opportunamente segnala), non mi sembra affatto rilevante condividere se i contenuti culturali debbano essere attinenti a quanto affrontato nell’ultimo anno o nel triennio, né se oltre ai contenuti affrontati in classe possano essere oggetto di colloquio contenuti culturali affrontati in autonomia dallo studente, né ancora se i contenuti accertati debbano riguardare tutte o solo alcune discipline: sarà il curricolo di scuola, con le sue scelte di contenuto e di metodo, ad indirizzare le scelte d’esame.

Un esame in sintonia con il curricolo di scuola

Se il curricolo è stato concepito come “svolgimento di programmi” e ispirato da una concezione lineare dell’apprendimento, sarà in grado di accertare appena appena i contenuti affrontati nell’ultimo anno, mentre un curricolo che sia stato davvero “progressivo” nello sviluppo dei contenuti culturali, e che si sia fatto carico di reimpiegare strutturalmente il già fatto per approcci significativi al da fare, non avrà problemi a testare la padronanza di contenuti vecchi e nuovi, disciplinari o multidisciplinari, legati al libro di testo o alla realtà; un curricolo che abbia realizzato un’offerta rigida e standardizzata, senza opzioni e senza possibili personalizzazioni, non potrà che richiedere in sede di colloquio quanto affrontato in classe tutti insieme, mentre un curricolo che abbia previsto spazi di differenziazione, stimoli all’eccellenza, compiti di approfondimento e cose simili, potrà colloquiare entro orizzonti culturali più vasti.

Indicazioni rispettose dell’autonomia della scuola

In ogni caso non sarà certo il Ministero, in una scuola centrata sull’autonomia e su un curricolo concepito come cuore dell’autonoma offerta formativa d’istituto, a poter sancire quali contenuti saggiare in fase di accertamento finale. Altro scopo ed altra necessità, per evitare dannose dimenticanze (educative e didattiche più che valutative!), era segnalare, come il decreto fa, l’opportunità di accertare gli apprendimenti relativi a Cittadinanza e Costituzione.

(“La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche” – dpr 122/2009, art. 1 comma 2; “La valutazione è coerente con l’offerta formativa delle istituzioni scolastiche, con la personalizzazione dei percorsi e con le Indicazioni Nazionali per il curricolo…; è effettuata dai docenti nell’esercizio della propria autonomia professionale, in conformità con i criteri e le modalità definiti dal collegio dei docenti e inseriti nel piano triennale dell’offerta formativa…” – d.lgs. 62/2017, art. 1 comma 2).

Un colloquio coerente con il profilo delle competenze attese

Anche il dubbio sulla necessità di consegnare alla commissione d’esame i “programmi effettivamente svolti” mi lascia molto perplessa: quale sarebbe la funzione di tale consegna, e quale il significato dei “programmi effettivamente svolti”, in una scuola che si sforza, a fatica, di superare la concezione dei programmi, di assumere visioni curricolari, di adottare pratiche collegiali, di definire i propri risultati attesi in termini di conoscenze, abilità e competenze condivise, di esercitare periodicamente strumenti e modalità di verifica parallele?

Mi sembra che ciascun istituto debba porsi, sì, delle domande sulla conduzione del colloquio, ma per interpretare lo spirito del nuovo decreto in direzioni di più ampio respiro, non per decidere se partire dal ragazzo o dal docente, da una disciplina o da un lavoro già svolto: mi sembra che sia necessario piuttosto (sempre che si sia lavorato nella logica dello sviluppo di competenze, e sempre che si voglia attivare una seria ricerca di nuove logiche e nuove pratiche valutative) ragionare sulla tipologia degli stimoli che consentano di rendere il colloquio uno strumento di accertamento coerente con quanto ci si chiede di accertare.

Utilizzare conoscenze per dimostrare abilità e competenze

“(…) Abbiamo dunque un ampio paniere di conoscenze da accertare e un ampio paniere di abilità e competenze da sollecitare.

Il problema è che non può esserci un colloquio per accertare le conoscenze e un colloquio per accertare abilità e competenze: deve esserci un colloquio condotto in modo tale da utilizzare conoscenze per dimostrare abilità e competenze. Dovremo cioè chiedere agli studenti performance in situazione: argomentare in situazione, risolvere problemi in situazione, riflettere criticamente in situazione, comprendere testi in situazione, collegare saperi diversi in situazione. Sempre utilizzando le conoscenze acquisite.

Sarà necessario poter disporre di un’ampia gamma di materiali, di stimoli, di possibili richieste da fare ai candidati. Si tratterà di selezionare preventivamente testi, dati, grafici, filmati, video, musiche, che siano portatori di contesti, di eventi, di casi, di situazioni, di problemi.

E si tratterà di programmare le possibili modalità di domanda e di richiesta (…). Nulla, insomma, che assomigli al “parlami di un argomento a piacere” o alle “tesine” preconfezionate, spesso portatrici di “accostamenti forzati e puramente estrinseci” (come scrivevano i Nuovi Programmi del ‘79) e che, anche nel migliore dei casi, contenevano collegamenti già fatti, testi già supervisionati e corretti, pensieri già elaborati e sottoposti a controlli.

La qualità del colloquio dunque sta nella sua capacità di tirar fuori da ciascuno ciò che ciascuno possiede, utilizzando strumenti e risorse che siano a ciascuno adatte.

Occorreranno un’attenta programmazione ed un’attenta costruzione di strumenti e criteri valutativi, senza i quali la valutazione dell’esame rischia di restare una “valutazione a occhio e croce”, condizionata dalla pre-conoscenza degli alunni, dagli inevitabili pre-giudizi, da soggettive interpretazioni delle performance di ciascuno” (R. Bortone, Esami di Stato a conclusione del I ciclo, Rivista dell’istruzione, n. 2, marzo-aprile 2018).

Criteri definiti a livello di istituto, di cui il dirigente è garante

Una considerazione infine sull’ultimo dubbio espresso: come bussola per orientare, un documento nazionale o un documento d’istituto?

Non c’è qui lo spazio per riflettere sui problemi e sugli ostacoli che inibiscono una pratica valutativa omogenea sul territorio nazionale: tuttavia non saranno i dettati nazionali ad ottenere l’omogeneità e l’equità richieste.

Se la prova scritta, nelle tipologie definite a livello nazionale, poteva essere utilmente oggetto di esemplificazioni e orientamenti (documento Serianni), il colloquio presenta una tale quantità di variabili che da qualsiasi indicazione nazionale sarebbero state soffocate. A livello centrale ci è stato detto cosa accertare e a quali abilità e conoscenze prestare maggiore attenzione. Ci è stato detto che la prova va condotta collegialmente. Cosa vogliamo? Non sarà una norma dello Stato a dar senso alla nostra pratica valutativa. E non sarà autonomia, la nostra, se aspettiamo dettagli operativi dallo Stato.

Ciascun istituto ha già l’obbligo di inserire nella propria offerta formativa le modalità e i criteri di valutazione (dpr 122, art. 1 comma 5: Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento. Detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell’offerta formativa); aggiungerà al proprio documento di valutazione (lo ha già, forse, e se non lo ha ancora lo dovrà comunque concepire!) la programmazione dell’esame, che comprenderà a sua volta le modalità di gestione del colloquio.

L’autonomia degli istituti scolastici è una cosa che va agita. Le indicazioni nazionali ci sono, ma per interpretarle occorre autonomia di pensiero, collegialità d’intenti, impegno intellettuale e organizzativo. Ben venga dunque la presidenza d’esame al dirigente: il suo indirizzo e la sua azione saranno determinanti.