Esami di Stato: un colloquio “trasversale”?

Il nuovo decreto sugli esami di Stato

L’art. 2 del decreto ministeriale 18 gennaio 2019 disciplina le modalità del colloquio dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione. Come spesso capita, il testo normativo suppone delle idee sull’insegnamento che è utile mettere in evidenza, anche perché non sempre le polemiche e le discussioni che lo stesso testo innesca ne tengono debito conto. In questo caso balza agli occhi principalmente la questione del sorteggio, ed è questa all’ordine del giorno sui siti degli studenti e anche nelle discussioni tra gli insegnanti.

Qui però vorrei spostare l’attenzione su una questione soggiacente, a mio parere, a tutte le altre: quella della modalità di presenza delle discipline in questa terza e ultima fase dell’esame, dopo le due prove scritte. Ma occorre partire, sia pur brevemente, da più lontano.

Le competenze trasversali nell’ordinamento scolastico

Il costrutto “competenze trasversali” ormai circola da diversi anni nel mondo della scuola. L’Europa le ha chiamate competenze chiave per la cittadinanza e la legislazione scolastica italiana le ha recepite fin dall’innalzamento dell’obbligo di istruzione del 2007, per approdare alle Indicazioni nazionali per il primo ciclo del 2012, in cui esse campeggiano come riferimento prioritario per la costruzione dei curricoli. Nel secondo ciclo, poi, l’alternanza scuola-lavoro le ha fortemente enfatizzate.

Per la verità già nel 1997 l’esame di Stato riformato poneva l’istanza di un dialogo tra i saperi disciplinari. Sia la terza prova che il colloquio avevano la funzione di far vedere la capacità di istituire nessi tra le materie, e l’elaborato con cui si apriva il colloquio, a cura dello studente, si prestava proprio a far rilevare questa capacità di mettere in mappa, attorno ad una tematica trasversale, gli apprendimenti disciplinari.

De profundis per le discipline?

Oggi, in virtù del D.lgs. 62/2017 che discende dalla Legge 107 del 2015, siamo davanti dopo venti anni ad un cambiamento. La terza prova – che ha ampiamente tradito il suo mandato riducendosi ad una sommatoria di rilevazioni disciplinari – va in soffitta, ed il colloquio assume dei caratteri, almeno nelle intenzioni, più marcatamente trasversali. In qualche conferenza di servizio qualcuno si è lanciato nel de profundis delle discipline scolastiche, forse immaginando una scuola secondaria di secondo grado che non solo non esiste nel nostro Paese, ma è difficile che possa esistere, se non a fronte di una profonda rivoluzione del sapere professionale degli insegnanti, che resta fortemente disciplinarista, come si può constatare assistendo ad una qualsiasi seduta di consiglio di classe o ad uno scrutinio o ancora ad un ricevimento genitori.

Il legislatore mostra di conoscere bene questo disciplinarismo diffuso (ne è spia l’espressione “evitando rigide distinzioni tra le discipline” su cui mi soffermerò più avanti), ma non può e non vuole rinunciare, com’è giusto che sia, all’istanza di trasversalità. Ne vien fuori questo articolo 2, che qui prendiamo in esame.

Le discipline alla base delle competenze

Il colloquio presenta, come nel passato, varie fasi (comma 2), di cui è certo che la prima riguarda l’analisi di “testi, documenti, esperienze, progetti e problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, nonché la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e metterle in relazione per argomentare in maniera critica e personale” (comma 1). Quelle cinque categorie di oggetti culturali sono chiamate in causa perché si vuole vedere se l’alunno abbia acquisito qualcosa che riguarda le singole discipline. Stiamo parlando sia dei contenuti che dei metodi, che quindi sono disciplinari. Qui quel che viene messo sotto osservazione è l’acquisire, cui poi si aggiunge l’utilizzare e il mettere in relazione. E il tutto prelude all’argomentare, competenza che percorre tutte le prove d’esame. A ben vedere, le discipline, lungi dallo scomparire, costituiscono la base per esercitare le competenze trasversali. Come questo possa accadere sarà materia di riflessione delle scuole, ma soprattutto dipenderà dalla fisionomia delle singole commissioni.

C’è però una spia interessante del sentire didattico del legislatore, già anticipata, nello stesso comma 2: “La commissione cura […] il coinvolgimento delle diverse discipline, evitando però una rigida distinzione tra le stesse. Affinché tale coinvolgimento sia quanto più possibile ampio, i commissari interni ed esterni conducono l’esame in tutte le discipline per le quali hanno titolo secondo la normativa vigente, anche relativamente alla discussione degli elaborati relativi alle prove scritte”.

Colloquio senza rigide distinzioni tra le discipline

Le diverse discipline non solo vanno coinvolte, ma anche in modo ampio, e tutte quelle di cui sono titolari i commissari. Il legislatore è attento alla possibilità che qualcosa resti fuori. E dunque cosa ci sarebbe di nuovo? Di nuovo ci sarebbe la necessità di evitare una “rigida distinzione tra le stesse”. Non vi è chi non veda la discrezionalità delle singole commissioni a questo proposito. Chi valuterà se il commissario di scienze stia praticando una “rigida distinzione”? Certo verificherà il possesso delle conoscenze scientifiche, quindi dovrà distinguere la propria disciplina dalle altre. Ed è doveroso che lo faccia, se vuole conferire dignità al sapere di cui è titolare. Ma lo farà in modo morbido o rigido? Quale presidente censurerà un commissario perché sta operando rigide distinzioni?

I materiali e la ricerca dei nodi concettuali

Ma anche il comma 3 non va trascurato. I materiali della fase iniziale del colloquio (saranno testi, documenti, mappe, schemi? Trasversali o tratti dalle singole discipline?) hanno “l’obiettivo di favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline”. Le discipline rifanno la loro comparsa davanti al candidato, ma egli dovrà trattarne i nodi concettuali. Il legislatore ha certamente contezza di cosa sia un nodo concettuale disciplinare, ma ha contezza di quanti docenti possono pronunciarsi, ammesso che sia possibile, su un nodo concettuale? Che tipo di stimoli vanno offerti ad un alunno, supponiamo in letteratura italiana, affinché egli tratti un nodo concettuale? Gli si chiederà, piuttosto che il titolo di una raccolta poetica di Montale, il tema del correlativo oggettivo? Oppure si rinuncerà a Montale e gli si chiederà “il linguaggio della poesia primo novecentesca”? Quale presidente interverrebbe per avvisare un commissario che non sta facendo trattare nodi concettuali? E quale didattica disciplinare verrebbe suggerita da questo tipo di impulso normativo?

La predisposizione e la scelta delle buste

Poi il comma 5 parla del sorteggio. I candidati scelgono una busta e vi trovano i materiali da “analizzare”. Saranno materiali scelti in modo tale da prestarsi alla trattazione dei nodi concettuali delle diverse discipline coinvolte in modo ampio, senza escludere alcun commissario.

Che tipo di colloquio allora sarà? Qualcuno sospetta che la norma consenta un’interpretazione gattopardesca, a parte la predisposizione delle buste. Avremo alunni di cui davvero si verificheranno le competenze trasversali? E cosa si metterà nel documento del consiglio di classe, che consenta ai commissari esterni di muoversi nel rispetto dei percorsi compiuti?

Quattro mesi non bastano… ci sono ritardi di anni

Le scuole hanno pochi mesi per rispondere a tutte queste domande, ma ovviamente ci riusciranno. Non possono non riuscirci. Si tratterà di predisporre il colloquio in modo da garantire l’assoluta efficienza della procedura di sorteggio, che presuppone ovviamente una presa di posizione sulla tipologia di materiali che andrà collocata nelle singole buste e, a ritroso, una capacità di creare coerenza tra essi e il documento del consiglio di classe. L’unico problema, forse, resta la coerenza tra tutto ciò e le didattiche che i docenti metteranno in campo in mezzo anno scolastico, considerato che se tali didattiche fossero state messe in campo da prima, e nell’ultimo ventennio, probabilmente non ci sarebbe stata ragione per riformare l’esame. Se l’esame è stato riformato, infatti, è perché si è ritenuto che la trasversalità – sebbene la normativa precedente la prevedesse – non venisse praticata abbastanza, e se questo non è avvenuto ci sarà un perché su cui converrebbe interrogarsi. Ma non bastano certamente quattro mesi per farlo.