Telecamere con vista… sui bambini

Il provvedimento del Parlamento

Con l’approvazione al Senato nei giorni scorsi del DDL n. 1248, sembra subire una accelerazione l’iter legislativo che permetterà di introdurre telecamere per la videosorveglianza in tutti i locali degli asili e delle scuole dell’infanzia e nelle case di cura per anziani e disabili.

Il DDL prevede lo stanziamento iniziale di 5 milioni di euro per il 2019, da destinare ai Comuni per l’installazione dei dispositivi, e di 15 milioni per ogni anno dal 2020 al 2024. Analogo stanziamento è previsto per le case di riposo e cura.

I promotori sostengono che il provvedimento servirà a tutelare i minori e i più deboli da vessazioni, violenze e soprusi da parte degli operatori, dati anche i fatti, testimoniati dalle cronache, che periodicamente coinvolgono insegnanti, infermieri, addetti all’assistenza. La presenza delle apparecchiature – si sostiene – sarebbe prima di tutto un deterrente e assolverebbe alla funzione di testimoniare e provare eventuali abusi, dando modo di allertare le forze dell’ordine e mettere in sicurezza le vittime.

Le perplessità e i dubbi

I contrari oppongono argomenti di diversa natura: il provvedimento appare sproporzionato rispetto all’effettiva incidenza dei fatti che si vogliono reprimere; il costo per la copertura dei locali e la manutenzione successiva; la necessità di prevedere risorse umane che controllino le registrazioni; le questioni non marginali legate alla riservatezza sia degli operatori che degli utenti; le implicazioni sulla relazione di cura; la domanda su chi possa essere deputato a visionare i filmati; la loro conservazione e custodia. Sono tutti aspetti da valutare attentamente. Tali questioni sono state adombrate anche dal Garante per la privacy, durante l’audizione informale alla Commissione del Senato il 30 gennaio scorso.

La videosorveglianza è effettivamente utile, a fronte dei costi finanziari e umani necessari per realizzarla? In caso di rilevazione di abusi, la scuola dovrà denunciare il fatto all’autorità giudiziaria, che è la sola titolata a svolgere indagini per accertare l’esistenza di un reato. Ciò significa che si metterebbe in moto lo stesso meccanismo che ora, senza le telecamere, viene attivato quando vi sono segnali di violenza e abusi. Si può ribattere che le forze dell’ordine potrebbero avvalersi già in partenza di elementi potenzialmente probanti, ma ciò non le esime dall’indagare. C’è anche la possibilità che persone estranee alle professioni di cura, che visionino i filmati, possano interpretare comportamenti di contenimento, di prevenzione di rischi per l’incolumità, di rimproveri magari esasperati, come abusi di mezzi correttivi. Sono più d’uno i casi di indagini, aperte e mandate a giudizio sulla scorta di videoregistrazioni, che la Magistratura ha chiuso senza ravvisare reati nei comportamenti degli operatori, alla luce di un più attento ed obiettivo esame delle circostanze.

Taluni temono anche un altro rischio molto concreto: un possibile dilagare di richieste di accesso agli atti da parte di genitori che vorranno vedere i filmati alla minima avvisaglia di rimprovero, presunta ingiustizia o prepotenza subita dai figli.

La delicatezza della relazione di cura educativa

La relazione educativa e di cura ha bisogno di un costante controllo da parte di un occhio estraneo? Non è forse il contrario di autonomia, responsabilità, empatia, il fatto di sapersi continuamente osservati? Non è forse irrispettoso anche degli stessi bambini riprenderli continuamente, anche nei momenti in cui possono manifestare i propri disagi, fragilità, insicurezze o i loro pensieri più intimi? A maggior ragione ciò vale per gli anziani, che sarebbero filmati anche quando vengono accuditi, nelle stanze, nei propri più personali bisogni.

Il tema dei possibili abusi può e dev’essere serenamente affrontato, ma in modo razionale e pacato, non sull’onda emotiva e con soluzioni “di pancia”.

Il rischio burn out

Il lavoro di cura, tipico di educatori, insegnanti, infermieri, addetti all’assistenza, è faticoso, logorante, difficile, e porta dopo lunghi anni di lavoro al rischio di burn out. Questo è un fatto noto da decenni. Il burn out è un problema di salute degli operatori, piuttosto che una questione di repressione giudiziaria. Una persona di salute ed equilibrio emotivo instabili non trae alcun beneficio dalla presenza delle telecamere, né può coglierne l’aspetto di deterrenza. Inoltre non si esclude che gli abusi possano essere perpetrati in luoghi dove le telecamere non possono essere installate (es. i servizi igienici).

La complessità delle sezioni e delle classi, l’allentamento del presidio educativo da parte delle famiglie, la contrazione delle risorse, l’invecchiamento della forza lavoro, aumentano considerevolmente i rischi per la salute dei lavoratori, e di conseguenza per la qualità del servizio all’utenza.

Ci possono essere delle misure alternative più efficaci?

Vi sarebbero, per la scuola (e anche per la sanità), misure preventive di maggiore efficacia, qualità e forse, alla fine, anche di minore costo? Alcune sono misure organizzative cha la scuola più avvertita chiede da lungo tempo per il miglioramento della qualità del servizio:

– potenziamento della collegialità, fattore protettivo per la salute dei singoli, perché garantisce corresponsabilità e condivisione; ciò richiederebbe l’istituzione esplicita di tempi e di spazi per il confronto nell’orario di lavoro. Attualmente, in misura limitata, ciò è garantito solo alla scuola primaria;

– istituzione di figure stabili di coordinatori di aree didattiche e organizzative e di operatori psicopedagogici, a sostegno del lavoro degli insegnanti, di interfaccia con le famiglie e a supporto dei dirigenti scolastici;

– occasioni di tutoraggio e osservazione tra pari, anche nell’ambito di iniziative di formazione continua (e obbligatoria) degli operatori;

– formazione in ingresso e forme di reclutamento più accurate;

– istituzione di presìdi per la salute nei luoghi di lavoro e per la valutazione dello stress lavoro-correlato, che possano prevedere anche valutazioni psicofisiche periodiche sul personale e l’eventuale destinazione temporanea o definitiva ad altri compiti nella stessa o in altra Amministrazione degli operatori dalla salute compromessa. Ora un controllo di questo tipo è affidato alle Commissioni di valutazione medico-collegiali, ma purtroppo sovente accade che le visite non riescano a intercettare il disagio tipico delle professioni di cura e le sue conseguenze sugli utenti;

– conduzione a regime del sistema di valutazione esterna delle scuole, con la possibilità di valutare, da parte di un team esperto, tutte le scuole ogni tre anni.

Le misure indicate servirebbero innanzitutto a qualificare il servizio educativo nella sua attività ordinaria. Un servizio più forte e attrezzato è in grado di sviluppare anche efficaci “anticorpi interni”, per far fronte ai rischi che nessuna videosorveglianza potrebbe scongiurare e sradicare.

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