Il dirigente scolastico: equilibrista o leader per l’apprendimento?

Emergenza dispersione: la scuola colabrodo

[1]Da molti anni si parla del bisogno di adeguamento dei sistemi educativi ad una società profondamente mutata, complessa e in continua trasformazione. A conferma di questo, il mondo del lavoro lamenta da tempo un mancato allineamento fra competenze richieste e le competenze possedute da parte dei giovani lavoratori. L’urgenza di cambiamento riguarda dunque tutti i sistemi di istruzione affinché scuola, formazione terziaria e università diventino una risorsa sociale strategica per lo sviluppo e la crescita del Paese.

Tra le numerose componenti del disallineamento tra sistemi educativi e società c’è sicuramente il sussistere di un modello ‘industriale’ e trasmissivo di scuola che propone strumenti, pratiche e linguaggi non più adeguati alla nuova generazione di studenti della società della conoscenza.

Uno degli effetti più evidenti di questo scollamento sono i dati relativi alla dispersione scolastica che assume oggi le dimensioni di un’emergenza nazionale. Secondo un recente dossier di Tuttoscuola, ‘La scuola colabrodo’, dal 1995 a oggi 3 milioni e mezzo di studenti hanno abbandonato la scuola, su oltre 11 milioni. Si tratta di un fallimento educativo costato allo Stato italiano 55 miliardi di euro. Parafrasando don Milani in ‘Lettera a una professoressa’, il problema della scuola italiana oggi si identifica con ‘i ragazzi che perde’ causando così l’indebolimento dell’elemento più giovane del tessuto sociale nazionale.

Da diversi anni le direttive europee invitano i sistemi di istruzione ad intervenire in maniera operativa per formare il futuro cittadino globale e per sviluppare negli studenti competenze generali e trasversali spendibili sul mercato del lavoro.

Se da un lato moltissimi documenti politici e tecnici della Commissione Europea hanno incoraggiato nei paesi membri l’innovazione dei sistemi educativi, dall’altro è rilevabile un procedere lento nella direzione del cambiamento.

Per quanto riguarda la scuola, in ambito nazionale l’innovazione procede ancora a macchia di leopardo, lontana da un rinnovamento complessivo e profondo.

Il Movimento delle Avanguardie Educative

Il Movimento Avanguardie Educative è nato nel 2014 da un’azione congiunta di Indire e un gruppo di 22 scuole con lo scopo di trasformare il modello organizzativo e didattico della scuola italiana. Attualmente hanno aderito al movimento più di 800 scuole che stanno sperimentato forme di innovazione didattica e organizzativa. Il numero delle scuole candidate a far parte del movimento è in costante crescita. Le scuole che aderiscono al movimento adottano una o più Idee, ovvero approcci didattici e organizzativi che scardinano le dimensioni della Didattica, del Tempo e dello Spazio del ‘fare scuola’. Le scuole adottanti sono accompagnate nelle varie fasi di implementazione delle Idee attraverso un percorso di assistenza-coaching, attuato in modalità blended e promosso da Indire, dalle scuole capofila e da scuole polo regionali. Le scuole polo regionali garantiscono una forte presenza sul territorio attraverso attività di formazione ma anche di informazione, documentazione e diffusione di esperienze in atto o concluse.

http://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/

Fig.1 La rete di Avanguardie Educative

Il Dirigente scolastico italiano: equilibrista sulla corda

Qualsiasi riflessione sulla professionalità dirigenziale e sul suo ruolo nei processi d’innovazione di una scuola deve tener ben presente il contesto nazionale in cui tale professione viene esercitata. Lo statuto giuridico e il profilo professionale dei capi d’istituto è infatti determinato dal grado di autonomia raggiunto dalla scuola di una determinata nazione e dal livello di decentramento dei suoi sistemi educativi.

Nel sistema educativo italiano il capo d’istituto ha un’autonomia circoscritta, o addirittura assente se paragonata a quella dei capi d’istituto di altri paesi europei. Benché possa scegliere i propri collaboratori, non ha alcun controllo su assunzioni e licenziamenti del personale scolastico. Il Dirigente può però agire sul loro sviluppo professionale e favorire un clima collaborativo contribuendo così a creare buoni rapporti con studenti, famiglie e territorio.

Purtroppo un sovraccarico di adempimenti amministrativi e problematiche, quali conflittualità e contenzioni, riducono enormemente il suo campo d’azione.

Lo stesso esercizio di una leadership distribuita, considerata oggi il modello più appropriato per il nuovo ruolo richiesto alla dirigenza scolastica, il più delle volte si limita ad un modo per distribuire un carico di lavoro troppo oneroso.

All’interno di un interessante studio etnografico del 2015[2] sono state studiate le principali attività svolte dal Dirigente Scolastico italiano nel corso della sua quotidianità professionale. I risultati hanno confermato quanto la dimensione amministrativa, gestionale e contabile occupino gran parte della sua vita lavorativa determinando un forte squilibrio, in termini di tempo e spazio, a danno degli ambiti didattici ed educativi che sempre più spesso vengono delegati ai suoi collaboratori.

Il profilo del Dirigente scolastico italiano

Il D.Lgs. n. 165 del 2001 attribuiva al Dirigente scolastico con il duplice ruolo di manager in grado di assicurare la gestione dei processi organizzativi e didattici della scuola, e di leader che si prende cura delle risorse professionali del proprio istituto. Un superamento di queste posizioni, perlopiù inadeguate per il ruolo richiesto, si raggiunge con la Legge 107 del 2015[3] che, nei commi 78 e 93, descrive una figura professionale dalla natura complessa. Il quadro che emerge è quello di un Dirigente che “garantisce un’efficace ed efficiente gestione della risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali …, svolge i compiti di direzione, gestione, organizzazione e coordinamento …”, ma che è anche un garante dei “livelli unitari e nazionali del diritto allo studio”[4]. Egli si occupa della “promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole” e del ‘miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti’[5] regolando così la dinamica valutazione-miglioramento.

La Legge 107 pone, dunque, l’accento sulla direzione unitaria della scuola esercitata in una dimensione comunitaria, di partecipazione e di coesione che va ad arginare la deriva manageriale portata avanti dalla stessa normativa.

Queste posizioni trovano conferma in due documenti successivi: le ‘Linee guida per l’attuazione della Direttiva 36/2016 sulla valutazione dei Dirigenti scolastici’[6] e il ‘Piano per la formazione dei docenti 2016-2019’, adottato con DM 797 del 19 ottobre 2016, che pone i Dirigenti scolastici tra i destinatari delle priorità strategiche per il sistema scolastico in materia di formazione.

Il dirigente “costruttore” di comunità professionale

In particolare, occorre curare:

(1) una leadership per l’apprendimento mediante la pratica manageriale con particolare attenzione agli aspetti decisionali, di riflessione e di gestione del tempo e delle risorse;

(2) la gestione del personale e dell’ambiente di lavoro (valorizzazione delle risorse umane, collaborazione, negoziazione, gestione di conflitti, capacità di ascolto);

(3) comprendere e governare l’autonomia scolastica e l’innovazione;

(4) sostenere le scelte in relazione alla qualità nella didattica;

(5) valorizzare i rapporti con la comunità scolastica allargata e i rapporti con il territorio;

(6) analizzare i risultati della valutazione e progettare azioni per il miglioramento.

Ciò che emerge con forza da questo documento è la figura di un capo d’istituto di nuova generazione, costruttore di comunità professionali con cui condivide una visione comune di sviluppo. Centrale è la valorizzare delle risorse umane e la creazione di rapporti di cooperazione con personale scolastico, genitori, studenti, e territorio. La gestione strategica e la spinta evolutiva sono finalizzate all’innovazione e alla qualità scolastica.

Inoltre, richiamando la legge dell’autonomia e valorizzando una comunità scolastica allargata, il ‘Piano’ spinge a riprendere un cammino interrotto affinché autonomia non sia più sinonimo di isolamento e di promessa mancata.

Infine, per la prima volta in un documento ministeriale, si parla di leadership per l’apprendimento, valorizzando così la radice culturale ed educativa di questa professione.

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[1] Delle stesse autrici si rimanda al contributo “Leadership per l’innovazione, una sfida possibile” in “Rivista dell’istruzione”, n. 4, luglio-agosto 2019.

[2] M. Cerulo, Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico, Fondazione Giovanni Agnelli, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2015.

[3] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/07/15/15G00122/sg

[4] Legge n.107/15, comma 78

[5] Legge n.107/15, comma 93

[6] Le Linee guida individuano gli obiettivi nazionali per i Dirigenti scolastici relativamente al triennio 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019: (1) assicurare la direzione unitaria della scuola, promuovendo la partecipazione e la collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, con particolare attenzione alla realizzazione del Piano triennale dell’offerta formativa; (2) assicurare il funzionamento generale dell’istituzione scolastica, organizzando le attività secondo criteri di efficienza, efficacia e buon andamento dei servizi; (3) promuovere l’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche; (4) promuovere la cultura e la pratica della valutazione come strumento di miglioramento della scuola, anche attraverso la valorizzazione della professionalità dei docenti.