Nuovo governo e nuovo programma per la scuola?

La pazza estate del 2019

Avrebbe dovuto essere un governo di legislatura quello giallo-verde e invece in poco più di un anno siamo ad un cambio di scenario e l’unico decreto legge riferito alla scuola non ha fatto in tempo ad essere varato lasciando così al palo l’unica promessa di un certo rilievo: la sistemazione dei precari, che così dovranno continuare a vagare in attesa della soluzione di un difficile “rebus” che sta impegnando il nuovo governo rosso-giallo. Ad inizio di anno scolastico non si è fatto in tempo a sostituire i pensionati e quelli di quota 100, arrivando alla nomina di un’ enorme quantità di supplenti, a molti dei quali manca anche l’abilitazione: un record per chi aveva promesso una stabilizzazione di massa. Niente concorsi per ora, nemmeno quelli riservati, e sulle nomine dei nuovi dirigenti scolastici pende ancora una decisione della magistratura, seppure in uno scenario molto lontano. Senza parlare dei concorsi ordinari che dovrebbero rappresentare la stagione della normalità, rivolti soprattutto ai giovani che possono entrare nella scuola in tempi brevi, senza passare attraverso anni di precariato.

Le ambasce del reclutamento

Per quanto riguarda il reclutamento occorre tornare a valorizzare la dimensione professionale, soprattutto per la scuola secondaria, riprendendo i tirocini che accompagnano i titoli accademici e comprendendo per tutti la dimensione psicologica che oggi appare fondamentale per l’esercizio responsabile delle relazioni tra le diverse componenti che concorrono al progetto educativo.

Se com’è auspicabile si deve rendere più flessibile l’organizzazione della didattica, classi di concorso per aree disciplinari e diversificazione degli ambienti di apprendimento dovranno favorire i contatti con il territorio e il mondo del lavoro.

Il contratto dovrà finalmente avvicinare le retribuzioni alla dinamica europea, lasciando aperta la possibilità di integrazioni salariali provenienti da enti territoriali e realtà produttive.

Provvedimenti legislativi “a rate”

La politica scolastica dell’ultimo anno e mezzo aveva trovato uno spazio (minimo) in provvedimenti di tutt’altra destinazione (bilancio dello stato, provvedimenti economici, ecc.). Nessuna proposta di legge era stata costruita in modo specifico per la scuola, rivelando l’assenza di un’idea complessiva di cambiamento, fosse pure per motivare un ritorno al passato (ci si riferisce al ridimensionamento dei percorsi di alternanza scuola-lavoro). I cambiamenti sono avvenuti senza una verifica dei difetti della precedente legislazione (si pensi all’abolizione dei tirocini formativi per diventare insegnanti).

Come primo atto il governo giallo verde aveva di molto ridimensionato l’attività valutativa, anche ponendosi al di fuori del confronto internazionale e comunque cercando di attutire l’impatto delle prove INVALSI. 

Autonomia, valutazione e responsabilità

Non è “popolare” parlare di valutazione nel nostro sistema educativo, ma la valutazione delle persone e delle scuole sarà accettata e significativa solo se andrà di pari passo con una reale autonomia professionale e istituzionale. Dovrà rispondere dei risultati chi potrà compiere scelte effettivamente autonome e mettere in atto piani di miglioramento che possano avere ricadute sui salari aggiuntivi e sulla gestione del personale e delle scuole, che siano in grado di raggiungere standard nazionali e internazionali e soddisfare la domanda sociale del proprio territorio.

Nell’ambito della suddetta flessibilità curricolare ci dovrà essere spazio per i curricoli locali con la relativa assunzione diretta dei docenti, nonché per un organico di istituto potenziato.

Dove trovare le risorse?

La legge finanziaria approvata lo scorso anno faceva rilevare un netto taglio di risorse, con la riduzione dei contributi dello stato per il funzionamento delle scuole (mentre le somme giacenti nei loro bilanci avrebbero dovuto essere restituite); il Documento di Economia e Finanza dell’autunno 2018 prospettava la diminuzione dell’investimento statale per i successivi anni per effetto del decremento demografico. Non si sa ancora come poter utilizzare i fondi per l’edilizia scolastica a beneficio dei Comuni. L’autonomia finanziaria delle scuole non è stata mai completata, ma ormai siamo incamminati verso forme di autofinanziamento con contropartite fiscali; il così detto decreto crescita prevedeva un bonus contributivo per un periodo massimo di un anno per quelle imprese che avessero offerto almeno diecimila euro per i laboratori delle scuole secondarie ed assumessero i diplomati con contratti a tempo indeterminato.

Le risorse per il sistema scolastico però devono venire dal PIL del Paese, siamo infatti tra gli ultimi in Europa e nell’area OCSE, senza togliere la possibilità di fare ricorso a contributi di privati. Per il diritto allo studio si dovrebbero valutare costanti adeguamenti alle condizioni economiche richieste dalla frequenza ai diversi livelli scolastici, anche attraverso la creazione di appositi fondi regionali.

Una svolta, già scritta nel programma del nuovo governo, potrebbe essere costituita dalla possibilità di rendere gratuito l’intero percorso di studi, dalla prima infanzia all’università (o quanto meno esonerare dai costi i ceti sociali più fragili). Si è parlato anche di nidi gratis per tutti…

Le possibili azioni (riforme) di sistema

Per quanto riguarda le così dette azioni di sistema:

  • occorre realizzare compiutamente, d’intesa con gli enti locali, servizi per l’infanzia universalistici che arrivino fino alla scuola primaria;
  • nel primo ciclo andranno generalizzati gli istituti comprensivi per porre attenzione alla formazione delle competenze di base;
  • nel secondo ciclo si dovrà operare il coinvolgimento dei giovani nella definizione dei piani di studio, mantenendo un’ampia autonomia e flessibilità dei curricoli, che potranno terminare al diciottesimo anno;
  • l’alternanza scuola – lavoro è da mantenersi nella sua originaria proposta, riqualificandone i percorsi e impegnando adeguatamente docenti e tutor aziendali. Tale impostazione potrebbe avere una ricaduta sulla valutazione degli studenti, anche all’esame finale;
  • un’intesa tra Stato e Regioni sull’istruzione e formazione professionale dovrà portare ad un canale unico, anche per proseguire nell’istruzione superiore non universitaria.

Dal controllo con le telecamere al ripristino della fiducia nell’educazione

Dal ministero dell’Interno sono arrivati fondi per l’installazione delle telecamere nelle scuole. Non è ben chiaro se queste servano a tutelare gli utenti, specie i più piccoli, da educatori stressati che hanno perso il controllo o i docenti, in particolare nelle superiori, che vengono oltraggiati dagli studenti ed a volte anche dai genitori. Il tentativo di trasformare ogni luogo di relazione in una questione di ordine pubblico ha caratterizzato l’operato del precedente governo; si spera di tornare a considerare la scuola un processo in cui i conflitti possano essere affrontati nell’ottica della crescita e non della repressione. Un patto educativo tra le diverse componenti può essere messo alla base di comunità di adulti che operano dentro le mura scolastiche e nei territori.