“L’insegnante di sostegno” compie quarant’anni

Le ragioni di una figura controversa

L’inserimento degli alunni “portatori di handicap” nella scuola dell’obbligo (elementare e media) è stato sancito dalla legge 517/1977, che ha portato a compimento un principio stabilito in un precedente provvedimento, la legge 118 del 1971. In essa, all’art. 28 si affermava che l’istruzione dell’obbligo degli alunni con disabilità sarebbe dovuta “avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali”.

Sei anni dopo, la 517/1977, a sostegno di tale “rivoluzione” educativa, aveva previsto:

  • per la scuola elementare (art. 2) “la prestazione di insegnanti specializzati”;
  • per la scuola media (art. 7) l’utilizzazione di docenti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato in possesso di particolari titoli di specializzazione”.

In entrambi gli articoli sopra richiamati non figura l’espressione “insegnanti di sostegno”, ma “forme particolari di sostegno”. Gli insegnanti specializzati a cui si fa riferimento per quanto concerne la scuola elementare erano i docenti che operavano nelle scuole speciali, che avrebbero ottenuto, nell’arco di alcuni anni, il trasferimento alle scuole “normali”. Per la scuola media, l’esistenza di docenti con specializzazione era più remota, in quanto le scuole speciali di questo grado d’istruzione risultavano non particolarmente diffuse.

L’ufficializzazione dell’espressione “insegnante di sostegno”

L’espressione “insegnanti di sostegno” è stata ”coniata” dagli operatori della scuola, immediatamente dopo l’emanazione della 517, con una seconda variante (meno felice) “insegnanti di appoggio”.

Di fatto, con la circolare ministeriale del 28 luglio 1979, n. 199, (“Forme particolari di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap”), il Ministero della P.I. prende atto che la locuzione “insegnanti di sostegno” è “ormai così invalsa nell’uso comune che si può anche accettarla ufficialmente”. Viene invece ribadito nella circolare di evitare il rischio che i compiti di tale figura

siano interpretati in modo riduttivo e cioè in sottordine all’insegnante di classe, come purtroppo sta avvenendo in qualche caso. L’insegnante di sostegno deve essere quindi pienamente coinvolto nella programmazione educativa e partecipare a pieno titolo all’elaborazione e alla verifica delle attività di competenza dei consigli e dei collegi dei docenti”.

La CM 199 si sofferma poi sulle difficoltà di promuovere un’organica qualificazione degli insegnanti di sostegno e di formulare “una più chiara identificazione del loro ruolo”. 

Si prende ufficialmente atto che, a soli due anni di distanza dalla legge di riforma, il meccanismo dell’inserimento degli alunni con disabilità manifesta significative criticità. Per ovviare a queste disfunzioni, si esplicitano alcuni principi ancora oggi molto attuali.

Non un professionista della solitudine

Seguiamo le indicazioni esemplificate nella C.M. 199/1979.

Primo. L’attività di sostegno non è un’azione “creativa” da affidare all’inventiva di singoli operatori. La responsabilità dell’integrazione deve essere assunta “non dalla singola classe ma da tutta la comunità scolastica, che costituisce di per sé uno dei sostegni più validi”. Questa affermazione è stata ripresa in tutti i provvedimenti successivi, non ultimo il decreto legislativo n. 96/2019, nel quale si sottolinea che l’inclusione

  • si realizza nell’identità culturale, educativa, progettuale, nell’organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche …;
  • è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunita’ scolastica le quali, nell’ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad assicurare il successo formativo delle alunne e degli alunni. (art. 1)

Secondo. La circolare pone esplicitamente il problema dei “bisogni educativi” degli alunni “portatori di handicap”. I docenti della classe vengono sollecitati ad acquisire il quadro relativo alle condizioni soggettive del bambino, individuando gli ostacoli che si frappongono ad un armonico sviluppo. In sostanza, la progettazione del PEI è un’intrapresa collettiva e collegiale!

Terzo. L’integrazione scolastica non solo deve essere congiuntamente progettata, ma altrettanto congiuntamente realizzata. Questa “raccomandazione” è rivolta, nella circolare, in particolare ai docenti della scuola media che, indipendentemente dalla “materia che essi professano” devono rispondere ai bisogni degli alunni con “interventi calibrati sulle condizioni personali di ciascuno”.

In sintesi, quali criticità?

Da quel lontano 1979 sono passati quarant’anni. Rimangono però tuttora insoluti alcuni dei rilievi contenuti in quella “polverosa” circolare. In particolare, segnalo alcuni evidenti criticità che, per comodità di lettura, mi limito a segnalare nella figura sotto riprodotta.

Molta strada è stata fatta. Molto (forse troppo) resta ancora da fare!