Il Piano per l’inclusione: chi ben comincia…

La cornice educativa

L’art. 8 del decreto legislativo n. 66/2017, integrato dal d.lgs. 96/2019 (art. 7), recita:

“Ciascuna istituzione scolastica, nell’ambito della definizione del Piano triennale dell’offerta formativa, predispone il Piano per l’inclusione che definisce le modalità per l’utilizzo coordinato delle risorse, compreso l’utilizzo complessivo delle misure di sostegno sulla base dei singoli PEI di ogni bambina e bambino, alunna o alunno, studentessa o studente e, nel rispetto del principio di accomodamento ragionevole, per progettare e programmare gli interventi di miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica.”

Il Piano per l’inclusione (PI) rappresenta, pertanto, il “dichiarato” mediante il quale ogni istituzione scolastica esplicita le modalità e gli strumenti operativi volti a realizzare un’inclusione di qualità. Dal momento che esso viene inserito nel PTOF, costituisce la cornice triennale di riferimento per tutti gli operatori della scuola, docenti in primis.

Il Piano triennale dell’offerta formativa, come affermato nel comma 14, comma 4 della legge 107/2015, è elaborato dal collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi definiti dal dirigente scolastico. Si conferma, dunque, la centralità del capo d’istituto nella definizione delle “linee guida” dell’istituzione anche per quanto concerne il Piano per l’inclusione.

Dall’approccio clinico a quello psico-sociale

Il d.lgs.66/2017 introduce un’importante novità nel panorama dell’inclusione del nostro Paese; tale cambiamento tende ad accentuare il peso educativo rispetto al tradizionale approccio clinico, con l’affermazione del modello bio-psico-sociale della Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (OMS – ICF, 2001).

Pertanto, la formulazione del Piano per l’inclusione dovrà recepire tale importante mutamento, accentuando la dimensione pedagogico-educativa dell’intero quadro culturale ed operativo che ogni scuola sarà tenuta a realizzare.

In questo senso, lo strumento “principe” con il quale fare i conti è il Profilo di funzionamento (che sostituisce la diagnosi funzionale e il Profilo dinamico funzionale), posto alla base dell’elaborazione del PEI e del progetto individuale.

Come approcciare, dunque, questo cambio di scenario che, speriamo, non riproponga solo una mutazione lessicale, ma possa costituire una nuova piattaforma per un effettivo rilancio dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità?

Alcune ineludibili “mosse”

In attesa che venga adottato il modello nazionale del Profilo di funzionamento, i dirigenti scolastici, con il supporto della leadership intermedia e/o dello staff di gestione dell’istituto, possono prendere in esame alcuni ineludibili azioni, che costituiscono la “spina dorsale” del Piano per l’inclusione.

Nello schema sotto riprodotto, sono indicati sette punti che, sulla scorta delle storie dei singoli istituti, potranno rappresentare altrettanti “titoli di testa” del Piano stesso (FIG.1).

FIG. 1 Il Piano per l’inclusione visto da vicino

Quali le ragioni di questa scelta?

La governance interna

Gli ambiti esplicitati nella FIG. 1 rappresentano, a mio avviso, alcune irrinunciabili priorità. Nell’economia del presente contributo, mi limiterò ad illustrare sinteticamente ognuno dei sette punti. In ogni realtà scolastica, dirigente e staff rappresenteranno la spinta propulsiva di questo processo di cambiamento.

1. Nello sviluppo professionale di ogni insegnante, la conoscenza della normativa costituisce un impegno inderogabile. Ogni istituzione scolastica rappresenta un presidio in grado di alimentare una costante attività di aggiornamento e di formazione in servizio. Tale impegno, in questa fase, diventa particolarmente importante: l’inclusione, infatti, presuppone la conoscenza sia delle norme che di altri aspetti ad esse correlati (es., l’aggiornamento della ricerca medica di alcune particolari deficit: autismo, disabilità intellettive, comportamenti problema, …).

2. Il presupposto dell’inclusione si basa sulla partecipazione di tutti gli operatori alla gestione della scuola. In particolare, il dirigente è il “garante dell’offerta formativa” (Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità-2009) e la leadership educativa della dirigenza è posta alla base di una “comunità professionale ricca di relazioni, orientata all’innovazione e alla condivisione di conoscenze”. (Indicazioni nazionali-2012).Il capo d’istituto, pertanto, deve saper gestire direttamente la governance istituzionale e stimolare la gestione inclusiva della classe.

3. Il team nella scuola dell’infanzia e primaria e il consiglio di classe nella secondaria di I e II grado rappresentano gli organi collegiali più importanti per quanto concerne la qualità dell’azione didattica dei docenti. Un’effettiva inclusione scolastica presuppone però un deciso cambiamento: da organo collegiale a gruppo professionale, in grado di saper agire e improntare concretamente lo stile di lavoro a criteri autenticamente inclusivi.

4. La valutazione degli apprendimenti degli alunni con disabilità è uno degli aspetti più critici della funzione docente. Il passaggio da un approccio standardizzato ad una valutazione personalizzata fatica a diventare un aspetto qualificante dello sviluppo professionale di molti insegnanti, soprattutto nella secondaria di II grado. Un “protocollo” di valutazione iniziale deliberato dalla scuola e adottato da tutti i team e i consigli di classe può facilitare la crescita di un’effettiva corresponsabilità educativa ed operativa di tutti gli insegnanti della classe.

5. Andrea Canevaro afferma che “contesti e funzionamento sono legati da una logica, che chiamiamo logica dell’ICF” (Canevaro, 2019), fondata sulle parole chiave attivitàpartecipazione, contesto. La sfida della diversità si gioca prevalentemente nelle dinamiche di vita della classe che, nel nostro Paese, costituisce il principale ambiente di inclusione o di esclusione.

La governance interistituzionale

L’inclusione scolastica e sociale è una conquista che investe l’intera struttura di una comunità (FIG. 2). Nel paragrafo precedente ci siamo soffermati sulle dinamiche interne ad ogni istituzione scolastica; in questo, invece, affronteremo le problematiche che interessano le relazioni tra la scuola e il più ampio contesto sociale.

FIG. 2 I differenti livelli di inclusione

6. L’alleanza scuola-famiglia è un principio costantemente affermato nel nostro quadro giuridico. Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo (D.M. 254/2012) tale istanza è così esplicitata:

la scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza con i genitori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti che riconoscano i reciproci ruoli.

La famiglia costituisce un punto di riferimento essenziale per un’effettiva inclusione scolastica. Non sarebbe immaginabile la condivisione di un Progetto individuale (di vita) in assenza dell’apporto dei genitori. (Rondanini, 2017)

7. La comunità territoriale rappresenta il “luogo” più importante della qualità della vita di una persona con disabilità. “Nascere fragili” significa essere esposti a frequenti rischi di vulnerabilità (famiglie che si disuniscono, isolamento scolastico, carenze relazionali, amicizie saltuarie, …). Di contro, per ovviare a questi pericoli, occorre che la più ampia comunità sociale sappia accrescere i legami di cura, al fine di alimentare i fattori di protezione e di sviluppo.

Un Piano per l’inclusione che sappia declinare nelle singole comunità i punti sopra richiamati rappresenta una buona base di partenza. Certo, si tratta di passare dal dichiarato all’agito: la qualità del “capitale umano” farà la differenza!

Bibliografia

Canevaro A. (2019), Scuola inclusiva e mondo più giusto, Erickson, Trento

Rondanini L. (2017), La valutazione degli alunni con BES, Erickson, Trento

Rondanini L. (2019), L’ICF e la valutazione partecipata del PEI, Tecnodid, Napoli