Piano Nazionale Scuola Digitale: tempo di bilanci (e di rilancio)

A proposito di coding

Coding, informatica e digitale

Il Piano Nazionale Scuola digitale ha quattro anni di vita piena e rimane un punto di riferimento imprescindibile per qualunque nuovo scenario, per la sua portata culturale e operativa e per le grandi risorse erogate sia in termini di formazione, di investimenti infrastrutturali e strutturali, di progettazione, di idee, di reti. L’impatto del piano sulla scuola è stato importante, ha aiutato a riscoprire nuove metodologie, a stimolare le creatività, a sviluppare nuove competenze. Le resistenze all’innovazione sono state e sono ben presenti e ci consegnano oggi un quadro variegato, in cui le diversità coesistono fra classe e classe, fra scuola e scuola, fra regione e regione. Recenti interventi su qualche quotidiano non si risparmiano nell’osservare le difficoltà di molti docenti ad occuparsi di nuove tecnologie, di rete e di digitale, in particolare in riferimento al coding e al computational thinking, già introdotti nelle scuole del primo ciclo con l’azione #17 del PNSD[1].

Digitale a scuola: eppur si muove…

Ad un’analisi attenta, non siamo all’anno zero come qualche pessimista vuole far credere e sarebbe ingeneroso verso le migliaia di docenti che si sono e si stanno mettendo in gioco con grande professionalità e vivacità su questi temi. Sappiamo bene quanto sia difficile, nella nostra scuola, incidere in profondità e andare a modificare le inerzie tradizionali, le zone comfort e i luoghi comuni. In un contesto dove nell’immaginario di sempre continuano ad esistere i programmi e non le programmazioni, la firma come sigillo regale e non la dematerializzazione, le ore di lezione e non di attività didattica, i voti e non la valutazione, è normale che qualunque incursione innovativa non trovi braccia aperte ma più facilmente conserte. Nonostante questo, i nostri docenti sono sempre più digitali e si dilettano di tinkering, coding, robotica educativa, stampa 3d, autoproduzione, podcast, webradio e tanto altro. Certamente, ci sono docenti che non sanno ancora utilizzare una mail, ma sempre di meno. Ci sono docenti che si sentono totalmente estranei alla civiltà della rete, ma ne stanno diventando quanto meno consapevoli. Poi ci sono le polarizzazioni dei media, che amano contrapporre il vecchio al nuovo, la solidità di una certa tradizione all’evanescenza di ogni innovazione. Eppure con il piano nazionale digitale abbiamo riportato nelle scuole Piaget, don Milani, Papert, Lodi, Manzi, Montessori; abbiamo riportato nuovi ambienti che fanno della bellezza e della funzionalità il loro punto di forza, siamo tornati a “far fare” riproponendo una didattica laboratoriale in cui le dimensioni del digitale e dell’analogico si fondono in attività autentiche e nella creatività, in modo assolutamente trasversale ed interdisciplinare.

Il valore aggiunto del digitale in ogni disciplina

Nonostante questo, si percepisce un senso di precarietà e di fragilità di queste nuove conquiste. È bastato un periodo di balbettio governativo sul PNSD a farci chiedere “e adesso?”. Adesso bisogna accelerare la costruzione dei curricoli digitali, nell’autonomia progettuale di ogni istituto. Bisogna far entrare nella didattica ordinaria quello che è percepito ancora come straordinario (non è un caso che la maggior parte delle attività con il digitale sia legato ad attività extracurricolari o a progettualità esterne all’istituto, promosse in iniziative specifiche). Da un lato c’è bisogno, in ogni disciplina, di capire quale sia il valore aggiunto del digitale e promuoverlo come strumento fra gli strumenti (perché favorisce la multimedialità, il multicanale, la condivisione, la collaborazione anche a distanza, l’efficacia comunicativa, la semplicità di accesso ai contenuti e la loro riorganizzazione, l’efficacia inclusiva e compensativa, la multifunzionalità ). Dall’altro c’è bisogno di inserire nelle progettazioni curricolari percorsi di “educazione” alla cittadinanza digitale, al pensiero computazionale e all’informatica.

Il coding nella scuola di base: un po’ di chiarezza

Leggiamo[2] in questi giorni che tutti i docenti della primaria dovrebbero essere formati al coding dagli animatori digitali (con i mille euro che sono riconosciuti dai fondi del PNSD per la loro complessiva e vasta attività all’interno dei propri istituti! Usque tandem abutere patientia nostra?). Nelle settimane passate abbiamo appreso che per il concorso docenti, tutti i candidati dovranno acquisire 24 cfu sul “coding”, quando il D.lgs. 59 del 13/04/2017 parlava di “competenze relative alle metodologie e tecnologie della didattica digitale e della programmazione informatica (coding) “. Al di là del merito dei contenuti, su cui ci soffermeremo in seguito, c’è molta confusione nei concetti.

Usciamo prima di tutto dall’equivoco che digitale e informatica siano sinonimi. Un conto è saper utilizzare il digitale per uno scopo, un conto è saperlo progettare, programmare, eseguire. Un conto è essere un informatico, un conto è essere uno “smanettone” (in senso positivo e virtuoso del termine). Estremizzando ulteriormente, un conto è saper guidare l’auto in strade diverse per destinazioni varie (digitale), un conto è saperci mettere le mani sopra (informatica). Il coding, di cui tanto si sta parlando anche in termini impropri, altro non è che “il pensare come un informatico per risolvere un problema[3]”.

Come “pensa” un informatico

Come pensa un informatico? È certamente la domanda iniziale che ci apre ad una nuova disciplina molto più vicina alla matematica e alla sintassi che alla storia e alla geografia. Quale dignità dare a questa disciplina all’interno dell’offerta formativa delle nostre scuole è uno dei temi strategici dei nuovi scenari del PNSD. La proposta del 2017 del CINI[4] (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica) per l’insegnamento dell’informatica a scuola definisce bene i confini del coding indirizzandosi con decisione verso il computing e l’informatica. Nel documento, un contributo estremamente prezioso al dibattito, si legge:

“l’informatica è sia la disciplina scientifica di base che fornisce i concetti ed i linguaggi indispensabili per comprendere e per partecipare a pieno titolo alla società digitale, sia una disciplina di interesse trasversale che mette a disposizione un punto di vista addizionale, complementare a quello di altre discipline, per analizzare e affrontare situazioni e fenomeni.”

È opportuno un curricolo specifico? trasversale o disciplinare? Va proposto solo nella primaria od esteso nella secondaria di primo e secondo grado? Non sono domande banali perchè portano con sè tutto il tema della formazione docenti e dell’organizzazione del tempo scuola.

La diffusione del coding: da “Scratch” alla robotica

Ad oggi il pensiero computazionale (e il coding, che ne è una espressione concreta od un suo strumento, a seconda del punto di vista) è già diffuso in tantissime scuole, grazie a piattaforme come “Programma il futuro”, “Code.org”, a MOOC e corsi di specializzazione/perfezionamento universitari e a corsi di formazione ed aggiornamento accreditati dal Miur che hanno formato migliaia di docenti; ancora, la diffusione e l’utilizzo di Scratch, il linguaggio di programmazione a blocchi ideato da Mitchel Resnick al Media Lab del Mit di Boston e lasciato gratuitamente al mondo per essere utilizzato in tutte le sue potenzialità creative e computazionali, sta rendendo il tema del coding sempre più alla portata dei nostri alunni. La logica e il modello della programmazione a blocchi di Scratch è la stessa che troviamo nello sviluppo della robotica educativa nei Lego, nella piattaforma mBlock e in altre piattaforme in commercio. La robotica è un primo sviluppo del coding e permette di uscire dagli schermi e applicare i linguaggi di programmazione su robot e oggetti robotici. Tutto questo aiuta lo sviluppo dell’interazione fra pensiero astratto e concreto, portando il discente a riflettere sugli errori, ad osservare, a risolvere problemi con soluzioni mai univoche e predefinite, strettamente legate alla scelta dei blocchi adatti ad eseguirle. Cambiano le metodologie e gli spazi, cambiano le relazioni didattiche. Le esperienze si susseguono, le “code week” si moltiplicano e diventano sempre più familiari nelle scuole e fuori dalle scuole con i coderdojo e i fablab.

Il pensiero computazionale nelle Indicazioni: verso un curricolo digitale

Le indicazioni nazionali del 2012, nel documento di aggiornamento del 22/02/2018 (Indicazioni nazionali e nuovi scenari), al paragrafo 5.4, recepiscono questo fermento e parlano esplicitamente di sviluppo del pensiero computazionale definendolo “un processo mentale che consente di risolvere problemi di varia natura seguendo metodi e strumenti specifici pianificando una strategia”. Sottolineano il valore strategico della robotica e del coding, citando gli aspetti delle Indicazioni del 2012 relativi alla disciplina “Tecnologia e Informatica” “Quando possibile, gli alunni potranno essere introdotti ad alcuni linguaggi di programmazione particolarmente semplici e versatili che si prestano a sviluppare il gusto per l’ideazione e la realizzazione di progetti (siti web interattivi, esercizi, giochi, programmi di utilità) e per la comprensione del rapporto che c’è tra codice sorgente e risultato visibile”.

Alla luce di tutto questo excursus, si dovrebbe razionalmente prendere la direzione indicata dalle indicazioni nazionali: da un lato aggiornare e potenziare il curricolo di tecnologia dando priorità alla programmazione informatica e alla robotica, al making e all’internet of things, come previsto per altro dall’azione 18 del PNSD. In secondo luogo, sostenere la costruzione di curricola digitali, ben integrati ai curricola delle discipline ma trasversali.

Su questo tema ci sono in essere molte piattaforme di collaborazione su progetti specifici per arrivare a definire un primo modello di curricolo digitale; sono anche auspicabili alcuni documenti di indirizzo da parte del Ministero che aiutino a capire più in profondità la cornice pedagogica in cui si possono sviluppare le attività con il digitale in classe. In fondo, si tratta di normalizzare il PNSD e rendere il digitale in classe una consuetudine, auspicando di conseguenza anche profili di docenti sufficientemente preparati a gestire questa normalità.

La formazione dei docenti: occorre un framework

In conclusione, ne sono consapevole, tratto il tema più spinoso, quello della formazione docenti. In questi anni è stata sovrabbondante e gli insegnanti hanno avuto in tutta Italia un’offerta senza precedenti, così vasta da contemplare proposte estremamente eterogenee e di qualità variabile. È mancata in molte zone d’Italia un’azione più coordinata e di sistema, manca un riferimento ad un framework comune sulle competenze digitali dei docenti che possa tracciare un profilo base, intermedio e avanzato, come potrebbe essere il Digicomp 2.1. Ancora, la non obbligatorietà della formazione rende l’azione formativa necessariamente non capillare, coinvolgendo solo i docenti realmente motivati. Un grande passo in avanti però è stato fatto rispetto al passato: con il nuovo PNSD al centro dell’azione formativa non c’è più lo strumento ma la didattica, e come sosteneva Jonassen, si impara con il digitale e non il digitale, mettendo le “mani in pasta”. Con tutto il rispetto, anche se ci sentiamo tutti un po’ figli di Ios, Windows e Android, diffidiamo sempre delle formazioni dei professionisti che raramente conoscono la complessità e la sfida meravigliosa del nostro essere docenti. Gli aspetti tecnici degli strumenti e del digitale si imparano solo se ne capiamo la potenzialità didattica ed educativa. Quando nei docenti scatta questa consapevolezza, il gioco è fatto.

Una formazione in servizio da riconoscere e valorizzare

Il problema vero è portare a sistema tutto ciò. Ma questo non vale solo per il PNSD, ma anche per tutti gli altri percorsi di aggiornamento e formazione docenti, dalle didattiche disciplinari alle strategie relazionali, inclusive, alla conoscenza della lingua inglese e a tanto altro. La realtà è che il docente del XXI secolo, per tenere la velocità del mondo, deve aggiornarsi molto di più del docente del secolo precedente. Speriamo che nel nuovo contratto ci sia al centro questa presa di coscienza. Ne va del futuro di una professione, oltre che, in primis, dei nostri figli.

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[1] Azione #17 Portare il pensiero computazionale a tutta la scuola primaria.

[2] “Informatica dalle elementari, ma le maestre non sono pronte” da Il Mattino (Lunedì 10 Febbraio 2020)

[3] Efficace definizione di Jeannette Wing : https://www.cs.cmu.edu/~15110-s13/Wing06-ct.pdf

[4] https://www.consorzio-cini.it/index.php/it/component/attachments/download/745