La formazione in servizio: una strategia up-down per la ripartenza

Le indicazioni sulla formazione nel Piano scuola

Nel Piano scuola 2020-2021Documento per la pianificazione delle attivita? scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione, non poteva mancare il capitolo Formazione, sempre nell’eterna convinzione che i docenti, al pari dei discenti, debbano essere istruiti dall’alto su ciò che debbano o non debbano fare. Non basta il codice di comportamento dei dipendenti pubblici? Su quali sfere si vuole entrare per ritenere che gli insegnanti siano meritevoli? La formazione nel piano va dritta al punto: sarà sulle

Metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento

– Metodologie innovative per l’inclusione scolastica

– Modelli di didattica interdisciplinare

– Modalita? e strumenti per la valutazione, anche alla luce di metodologie innovative di insegnamento e di apprendimento realizzate, ad esempio, attraverso le tecnologie multimediali.

La formazione in servizio tra dirigenti e sindacato

Dunque, è questo il punto. Si ritiene che gli insegnanti non siano professioni riflessivi (Schön)[1], ma manodopera da formare all’uso, menti da disciplinare, corpi e lavoro da regolare con la strumentazione sindacale. Se si introducono elementi di qualificazione, questo passa esclusivamente attraverso la forma premiante del bonus che però viene ad essere distribuita in base a meccanismi che hanno un sapore antico: Comitati, componenti esterni, verbali, contenziosi. Il tutto per evitare che la partita dei premi da distribuire passi troppo sfacciatamente nelle mani del presunto datore di lavoro, il dirigente scolastico. Che poi la qualifica di datore di lavoro abbia le sembianze di un vero e proprio cappio al collo quando si tratta di responsabilità per la sicurezza aprirebbe una interessante riflessione. Dunque non si vede l’opportunità di rivendicare tale qualifica in questo campo, ma tutto sommato nemmeno nel discorso premiale ai docenti. Se gli studenti sono al centro, che si adottino questionari di gradimento dei docenti, come accade nelle Università, altrimenti si rischia di considerare un buon docente colui che presta soccorso organizzativo al dirigente scolastico, che è altro da insegnare.

Miti e riti della partecipazione

Nella scuola si è ancora nell’epoca degli organismi partecipativi, memoria di un post sessantotto che rivoluzionò anche la scuola, ma quella struttura è ormai arcaica, una mera facciata, cornice falsa e vuota in cui gli insegnanti sembrano vivere in una comunità partecipata. In realtà nessuno sa più chi sono e dove operano, se in una comunità educante (perché questo termine che riecheggia una visione parrocchiale?), se in una comunità professionale e scientifica, come sarebbe auspicabile, in cui tra pari si impara e si sperimenta (l’apprendimento tra pari non può essere pensato esclusivamente per gli alunni) e il dirigente scolastico, primus inter pares, orchestri la musica che dovrebbe elevarsi dalla scuola, quella di armonia educativa e culturale per la crescita della persona.

Se fosse concepita davvero così, allora non ci sarebbe bisogno di produrre linee guida che si preannunciano nel documento di pianificazione per istruire il popolo, perché il bisogno di formazione nascerebbe dal basso e sarebbe governato dai diretti protagonisti.

La vicenda delle reti di scuole

Ma nel Piano scuola 2020-21, si dirà, si parla di organizzazione trasversale, si fa infatti riferimento alle reti di scuole, quelle che la L.107/2015 ha tanto enfatizzato, distinguendo inutilmente tra reti di ambito e di scopo, giacché le prime si sono realizzate esclusivamente per gli ambiti della formazione, laddove una concentrazione di compiti amministrativi e gestionali sarebbe stata la vera rivoluzione. Le secondo sono sempre esistite, chiamate in vario modo, o direttamente definite reti per l’inclusione, ad es., senza allusioni al metaconcetto dello “scopo”, ma insomma servivano per mettere insieme le scuole su una determinata tematica che stava a cuore, e dunque realizzavano di per sé “lo scopo”. E ce ne erano tante e diverse, ogni provincia le ha create a suo piacimento e ci sono realtà territoriali in cui ci si può perdere tra i vari intrecci di reti, scuole polo, scuole per la formazione, reti di ambito e via di questo passo. Un proliferare di docenti che operano in distacco su queste sedi e realizzano la “formazione”, come tante cellule di un sistema.

La cornice normativa: qualcosa manca

Bene, si fa riferimento alle reti di scuole, ma guarda caso nella sfilza di Visti che aprono ogni decreto ministeriale, reso l’omaggio alla normativa anti Covid-19 che ormai la fa da padrone, nonché alle deliberazioni del Comitato Tecnico scientifico, entrato di prepotenza nella regolamentazione del vivere quotidiano, manca proprio il riferimento alla L. 107/2015.

In pratica, nel contenuto del decreto, laddove si parla di reti nel capitolo appunto della formazione, non vi è la corrispondenza formale dovuta nei Visti.

Singolare appare pure, sempre nei visti che subito dopo la citazione dell’art. 21 della L.59/1997, non vi sia il dovuto omaggio al regolamento sull’autonomia, il dpr 275/1999, che tanto si è prodigato nel dare contenuto a quell’autonomia decantata nell’art. 21.

Certo vi è il riferimento al T.U. istruzione, il d.lgs. 297/94, padre indiscusso della legislazione scolastica, ancora saldamente al suo posto, segno di un impianto normativo che non sa rifondare le sue radici, ma che annaspa e si dibatte tra pulsioni verso la dirigenza, assimilando tout court la normativa sul pubblico impiego, in particolare sulla dirigenza scolastica (l’art. 25).

Eppure il disegno dell’autonomia iniziato e dettagliato prima con l’art. 21 della L. 59/1997 e poi con l’apposito regolamento del ’99 è stato ripreso solo dal bulimico art. 1 della L.107/2015 che ha voluto riprendere e potenziare l’idea delle reti, già delineate nel regolamento (art. 7).

Dunque, un passaggio obbligato era la citazione anche della L.107/15, che pure si dà per scontato nel riferimento alle reti, come di fatto poi si sono realizzate, ovvero esclusivamente reti di ambito per la formazione, che vivono in realtà un rapporto complicato con le scuole polo per la formazione,queste ultime funzionali all’afflusso di fondi dedicati che transitano dal Ministero o che derivano da fondi europei, o addirittura raccolti attraverso le forme più moderne di crowdfunding (per cui si è attivata una piattaforma del Ministero[2]) che caldamente consiglia il ricorso a questa modalità di finanziamento.

Le tematiche prescelte dall’alto e l’assillo della tecnologia

Si sollecitano dunque le singole scuole o le reti di scuole ad organizzare la formazione sulle metodologie didattiche innovative «al fine di non disperdere e potenziare ulteriormente le competenze acquisite, dai docenti, nel corso del periodo di sospensione delle attività didattiche»[3], precisando subito che «è in via di predisposizione un documento recante Linee guida per la Didattica digitale integrata, che reca proposte e indicazioni finalizzate alla pianificazione metodologica (…)»[4].

Viene da pensare che l’intento sia quello di potenziare il discorso delle tecnologie nella didattica, come si è fatto durante l’emergenza Covid-19, con il ricorso alla c.d. DAD, cui i docenti hanno aderito senza esitare, in un moto spontaneo e incontrollato, che ora si intende meglio regolare.

Ma la didattica a distanza realizzata con le tecnologie didattiche non è che uno strumento, perché se a monte non si ha ben chiaro come organizzare e strutturare il contenuto disciplinare, a valle l’uso dei meet, o delle G-suite, o semplicemente delle piattaforme legate al registro elettronico, possono rivelarsi strumenti di disagio o inascoltate eco che non giungono alle orecchie di chi dovrebbe farne tesoro.

Ripensare la formazione

Dunque, in che forma e modo si vuole organizzare questa formazione su queste metodologie didattiche innovative? Sul mero uso dello strumento? Una strada già percorsa, che sì ha quantomeno imposto l’uso della tecnologia, ma irrisolto il nodo della strategia didattica necessaria.

Se invece si volesse mettere il docente al centro (unico modo per dare significato allo slogan “lo studente al centro”), allora il ripensamento di quello che è stato l’insegnamento impartito in modalità blended, dovrebbe essere davvero lasciato ad ogni singola scuola, o alle reti di scuola, le sole in grado di autovalutarsi, ben sapendo quali sono stati i percorsi svolti e quale l’apporto dei singoli docenti. Quale migliore occasione per valorizzare quei docenti che abbiano saputo utilizzare lo strumento delle piattaforme e delle videoconferenze per stimolare la curiosità degli studenti e indurli a preparare elaborati in cui sono andati alla ricerca delle implicazioni scorte dai suggerimenti dei docenti?

Non sono mancati esempi di questo tipo nei colloqui d’esame di quest’anno e sarebbe interessante che ogni Commissione ne lasciasse traccia, proprio come feedback alle scuole per un’opportunità di ripensamento e quindi di miglioramento. Molto di più che leggere le preannunciate Linee guida, probabilmente.

Il reclutamento di nuovi docenti

Non manca però nei Visti un riferimento alla procedura ordinaria e straordinaria di reclutamento del personale docente[5], segno inequivocabile da un alto che si voglia rispondere alle legittime aspettative alla stabilizzazione di tanti dei quei docenti che ne hanno titolo e dall’altro che finalmente si dia la possibilità alla generazione dei millenians di entrare a far parte della schiera dei docenti. Millenians che sapranno parlare ai centennials e che naturalmente padroneggiano la tecnologia per quello che può servire, senza mistificazioni di sorta.

Di questo ha bisogno il Ministero dell’istruzione, di un corpo docente che non subisca la mortificazione di rimanere precario a vita, ma che ha anche bisogno di un costante rinnovamento di energie professionali.

Il reclutamento quindi dovrebbe essere la priorità dell’azione governativa, lasciando che di didattica si occupi chi la pratica.

Last but not least: la formazione del personale ATA

Per il personale Ata, tra le tematiche di aggiornamento prescritte le più ermeneutiche sono senz’altro sono quelle relative ai «Principi di base dell’architettura digitale della scuola», da interpretare probabilmente, sempre alla luce dei Visti in cui il riferimento è alla normativa anti Covid-19, nonché al verbale del Comitato tecnico scientifico, come un aggiornamento sulla disposizione dei banchi per rispettare il distanziamento sociale, o meglio di sicurezza.

Anche qui, un’occasione perduta: perché non ripensare allo spazio scuola che non è detto debba essere sempre e ancora ristretto nel perimetro di un’aula come da scuola ottocentesca e napoleonica?

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[1] D.A. Schon, Formare il professionista riflessivo, Franco Angeli, Milano, 2006.

[2] https://idearium.pubblica.istruzione.it/crowdfunding/.

[3] Cfr. Piano scuola 2020-21, foglio n.8

[4] Ibidem.

[5] D.L. 126/19, conv. in L. 159/19, Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti