Autonomia vo cercando, nella prossimità

Note a margine del Piano Scuola 2020-21

L’articolo 5 della Costituzione

Nell’art. 5 della Costituzione la parola autonomia, in poco più di quattro righe, è pronunciata due volte, oscillando tra l’idea di decentramento e quella di autogoverno. Lo sviluppo della legislazione ha portato ad evidenziare soprattutto il valore della seconda: non solo trasferimento sul territorio di uffici centrali, ma anche sviluppo di servizi di prossimità in relazione ai bisogni della comunità.

La svolta

Una novità è stato il Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato, consegnato alle Camere il 16 novembre 1979 da Massimo Severo Giannini in qualità di ministro della Funzione Pubblica. Una lucida denuncia nei confronti del modello burocratico dominante. Un compito – nonostante il tempo trascorso – tutt’altro che esaurito.

142 e 241, un parto gemellare

Gli effetti di quel documento hanno cominciato a tradursi in atti legislativi circa un decennio più tardi: da un lato, con il parto gemellare della legge 142 dell’8 gennaio 1990 e della legge 241 del 7 agosto 1990: rilancio degli Enti locali e principio di trasparenza.

La legge 421

Dall’altro con la legge 421 del 23 ottobre 1992. Presidente del Consiglio Giuliano Amato. Sul fronte delle OO.SS. il ruolo non secondario di Bruno Trentin(che ne ha scritto nei suoi Diari1988-1994, Roma, Ediesse, 2017). Giù per li rami sino al D.Lgs. 29 del 3 febbraio 1993 e, nell’ambito scolastico, al D.Lgs. 35 del 12 febbraio 1993.

Relazioni sindacali

La contrattualizzazione del rapporto di lavoro (espressione più corretta di quella di privatizzazione) rimanda al Codice Civile, Libro V, Titolo II, Capo I. Il contratto entra nella vita scolastica. Per chi si chiede come mai siano fondamentali le relazioni sindacali, questo il motivo.

La legge “Bassanini”

Sino alla legge “Bassanini” n. 59 del 15 marzo 1997. Parliamo di quasi un quarto di secolo fa. A questo punto, les jeux sont faits. Non senza alcune conseguenze. Per esempio, la costitutiva duplicità delle fonti normative nella scuola: autonomia e contrattualizzazione.

Autonomia e contrattualizzazione

Con un vincolo reciproco: l’una non si dà senza l’altra. La missione risiede nel governare tale duplicità, rendendola fertile, non contraddittoria. La peculiare responsabilità del dirigente nel tenere insieme, in modo conforme, Codice civile e produzione legislativa, non esclusa quella, nella gerarchia delle fonti, di rango secondario.

Vedremo come, nel recente passato, siano stati determinanti alcuni decreti ministeriali e come sempre più lo siano, oggi, note e circolari.

Autonomia dopo la pandemia

Un altro settore nel quale il principio autonomistico ha comprensibilmente attecchito è quello degli Enti locali. La legge 59/1997 rappresenta un cambio di senso che comprende sia il governo locale sia il governo scolastico.

Diciamo subito che questa intima relazione tra autonomia scolastica e locale è significativa specie in presenza di una situazione straordinaria come quella nella quale siamo a seguito dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

Anche in questo caso gli strumenti non mancano: dalla legge n. 23 dell’11 gennaio 1996 al DI n. 129 del 28 agosto 2018 (subentrato al DI n. 44 del 1° febbraio 2001), grazie ai quali vi sono tutti i presupposti per sviluppare una collaborazione tra scuole autonome e autonomie locali, competenti in materia di edilizia scolastica, per impostare un salto di qualità nella manutenzione ordinaria e straordinaria. Bisognerebbe solo credere di più nella programmazione.

Sperimentare l’autonomia

Cuore dell’autonomia, da 23 anni, è l’art. 21, capo IV, della legge 59/1997. Lì poggia il riconoscimento della personalità giuridica delle scuole. Da lì scaturisce il Regolamento dell’autonomia, il DPR n. 275 dell’8 marzo 1999, con l’art. 3 sul POF (prima della triennalità inserita dalla 107 del 13 luglio 2015 con l’aggiunta della “t” del PTOF).

Poi l’art. 4 (Autonomia didattica). L’art. 5 (Autonomia organizzativa). L’art. 6 (Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo). L’art. 7 (Reti di scuole).

Infine l’art. 8 (Definizione dei curricoli) e l’art. 12 (Sperimentazione dell’autonomia), comma 2, nel quale si spiega che il “decremento orario di ciascuna disciplina e attività è possibile entro il quindici per cento del relativo monte orario annuale”.

I decreti mancanti

In questa ricostruzione emerge un punto da chiarire. La legge 30 del 10 febbraio 2000, voluta dal ministro Luigi Berlinguer, aveva sospeso i vecchi ordinamenti. Ma mancavano i decreti attuativi. A pochi mesi dall’inizio dell’a.s. 2000/2001, si ritenne di provvedere, non senza qualche affanno, colmando la lacuna, con un DM – il 234 del 26 giugno 2000 – che ripristinò i vecchi ordinamenti e, per non tornare completamente a prima, riprendendo l’ispirazione del DPR 275/1999, fissò una quota di autonomia nella misura del 15%.

Da un DM all’altro

Poi un altro DM, quello del 28 dicembre 2005 (ministro Letizia Moratti), ha portato la quota di autonomia al 20%. Infine il decreto 47 del 13 giugno 2006 (ministro Giuseppe Fioroni) l’ha estesa al primo ciclo.

L’organico dell’autonomia

Con la 107/2015, 18 anni dopo la 59/1997, 16 anni dopo il DPR 275/1999, 15 anni dopo il DM 234/2000, con i commi 5 e 63, si esplicita il concetto di “organico dell’autonomia”. Non più “lezioni”: ma “attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”.

Gli effetti sui Licei

Guardando alla secondaria superiore, nei Licei l’autonomia è stata portata sino al 30% nel secondo biennio, mentre è rimasta al 20% nel primo e nell’ultimo anno. Nei Licei la flessibilità non è prevista.

Sugli Istituti tecnici e professionali

Lo è invece negli Istituti tecnici, nella misura del 30% nel secondo biennio e del 35% nell’ultimo anno. Negli Istituti professionali, a seguito del D.Lgs. 61 del 13 aprile 2017, nella misura del 40% nel secondo biennio e nell’ultimo anno (con 264 ore di personalizzazione degli apprendimenti nel primo biennio).

Gli insegnamenti opzionali

Questo quadro – grazie all’utilizzo delle quote di autonomia e degli spazi di flessibilità – può consentire, nelle scuole secondarie di secondo grado, l’introduzione di insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nell’ultimo anno, secondo quanto ha previsto il comma 28 della 107/2015 e ribadito la nota MIUR n. 1830 del 6 ottobre 2017.

L’autonomia come metodo

Come si vede, le leggi non mancano. Anzi. Detto questo, un’autonomia rettamente intesa è, prima di tutto, un metodo. Uno stile di lavoro. Nulla a che vedere con le distorsioni aziendalistiche. In questione l’interesse pubblico e la qualità del servizio. L’universo, ricco di accenti e sfumature, del fattore umano, in formazione.

Semmai l’autonomia implica lo spirito d’iniziativa, inteso nel senso non dell’impresa, ma, talvolta, delle audaci imprese. Educare (letteralmente) comporta qualche dose di coraggio (parola del cuore). La competenza imprenditoriale, secondo le Raccomandazioni europee (2006 e 2018), si riferisce alla capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri.

Relazione e prossimità

Autonomia è il contrario della chiusura in una enclave. Significa relazione, in una chiara disposizione di compiti. Prossimità con un’ampia platea di interlocutori istituzionali e associativi.

Esercizio, non rivendicazione

Rivendicare l’autonomia è un fraintendimento, una contraddizione in termini.

Di fronte alle scelte da compiere, è sterile la disputa dei poteri, molto più utile la collaborazione, ovvero il buon andamento (due parole tanto semplici quanto eloquenti).

“Rime buccali”

Ciò detto, veniamo alla vexata quaestio dell’apertura del nuovo anno scolastico, in presenza, in sicurezza.

Due regole, già espresse.

La prima. A pagina 5 del Piano scuola 2020-2021, approvato dalla Conferenza unificata, e reso pubblico con nota del MI n. 3655 del 26 giugno 2020, viene riportata una affermazione netta del Comitato Tecnico Scientifico in cui si spiega: “Il distanziamento fisico (inteso come 1 metro fra le rime buccali degli alunni), rimane un punto di primaria importanza nelle azioni di prevenzione…” (Stralcio dal documento CTS del 22 giugno).

Statico o dinamico?

Chiarisce il Documento del 28 maggio del CTS: “Il layout delle auledestinate alla didattica andrà rivisto con una rimodulazione dei banchi, dei posti a sedere e degli arredi scolastici, al fine di garantire il distanziamento interpersonale di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento. Anche l’area dinamica di passaggio e di interazione (zona cattedra/lavagna) all’interno dell’aula dovrà avere una superfice adeguata tale da garantire comunque e in ogni caso il distanziamento di almeno 1 metro, anche in considerazione dello spazio di movimento”.

Ma nel documento del 22 giugno del CTS quel metro diventa 2 metri: “In ogni caso, va prestata la massima attenzione al layout della zona interattiva della cattedra prevedendo tra l’insegnante e i banchi uno spazio idoneo di almeno 2 metri”.

Ovviamente sulle rime buccali si leggono molte facezie. Un’espressione della lingua italiana certo inconsueta, in controtendenza rispetto agli anglicismi piuttosto improbabili come cyberbullismo

15 giorni prima?

Seconda regola. Sempre il CTS ha aggiunto che: “almeno 2 settimane prima dell’inizio dell’anno scolastico, aggiornerà, in considerazione del mutato quadro epidemiologico, le proprie indicazioni in merito all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per gli alunni e per gli insegnanti all’interno dell’aula e/o negli spostamenti e nella permanenza nei locali comuni”.

Quindi, se si tornerà a scuola con la mascherina, a carico della Protezione civile, verrà comunicato due settimane prima dell’inizio dell’a.s. Forse troppo tardi per preparare quel che occorre. Quella comunicazione potrebbe essere anticipata.

In relazione alle criticità concernenti l’attuazione del Piano scuola 2020/2021, il 2 luglio si è svolto un incontro in videoconferenza con il CTS alla presenza del MI e delle OO.SS. in vista della formalizzazione di un Protocollo di intesa; la discussione è stata aggiornata a questa settimana.

14 settembre 2020

Nel frattempo i corsi integrativi cominceranno il 1° settembre, secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 6 dell’O.M. n. 11 del 16 maggio 2020. L’avvio dell’a.s. è previsto dal 14 settembre (ma non in tutte le regioni).

DM 39/2020: il Piano Scuola

Ora, chiarito che l’autonomia si occupa del diritto all’apprendimento e del successo scolastico e formativo, di questioni ulteriori come quelle che vanno dalla tutela della salute pubblica all’infrastrutturazione edilizia o informatica, è chiamata ad occuparsi una filiera di istituzioni ulteriori, possibilmente sotto una regia nazionale.

Per essere chiari: in un contesto come quello che si dispiegherà nei prossimi due mesi, da ora alla prima metà di settembre, l’autonomia, da sola, non ce la può fare.

C’è da sperare ne siano tutti consapevoli. Il DM n. 39 del 26 giugno 2020 – vale a dire il Piano scuola 2020-2021 – è tanto necessario quanto non sufficiente. Un avvio, non una conclusione. Il cammino è ancora molto impegnativo.

Partecipazione: tavoli e conferenze

Importanti sono le opportunità per la partecipazione e la concertazione. Dalle Conferenze dei servizi, su iniziativa dell’Ente locale competente, finalizzate ad analizzare le criticità delle singole istituzioni scolastiche, ai Tavoli regionali insediati presso gli USR, sino al monitoraggio, promosso dal MI, sulla base dei dati emergenti dai Tavoli regionali e dalle Conferenze di servizio, per garantire, nel rispetto delle misure sanitarie indicate dal CTS, la riapertura delle scuole, attraverso adeguati incrementi dell’organico e del personale scolastico.

Sarebbe utile anche la diffusione di una newsletter con le FAQ (Frequently Asked Questions) sul Piano scuola.

Il cosiddetto cruscotto informativo sugli spazi delle aule didattiche espresse in metri quadrati a carico degli Enti locali proprietari dei beni.

L’“a capo” di Antonio Scurati

Tra i contributi offerti al dibattito pubblico meritano un’attenzione l’articolo di Antonio Scurati uscito sul “Corriere della Sera” del 30 giugno e il documento di un nutrito gruppo di dirigenti scolastici campani.

Antonio Scurati fa ricorso al genere, di sicura presa, dell’invettiva. Auspici come “per la scuola dei nostri figli pretendiamo il meglio” o l’attesa di un radicale “a capo” non possono che essere condivisibili.

Meno polemos, più polis

Forse la fase è così delicata e inedita da richiedere altro: meno polemos, più polis. La critica aiuta a far meglio; ma è necessario anche uno stringersi alla comunità scolastica, aiutandola a compiere le scelte giuste.

La scuola campana

In questa prospettiva si colloca la riflessione di un nutrito numero di dirigenti scolastici campani, soprattutto di Napoli e Salerno, che hanno diffuso un testo tanto ben scritto quanto chiaro: aspetti che non possono passare inosservati.

È utile riprendere alcuni punti.[1]

Alcuni suggerimenti

1. “Prima di cercare spazi esterni bisogna rendere nuovamente abitabili quelli delle scuole”.

2. “Al fine di garantire le necessarie misure di sicurezza, anche in relazione alla gestione dell’emergenza epidemiologica, occorre prevedere un adeguato contingente di docenti e collaboratori scolastici”.

3. “Se poi, come ipotizzabile, sarà necessario proseguire l’esperienza della DaD anche se solo a margine della didattica in presenza, diventano necessari gli assistenti tecnici di cui le scuole del I ciclo sono prive, nonostante la strumentazione digitale divenga sempre più imponente”.

Appuntamento strategico

Una strada opportuna sul piano dell’approccio è essere consapevoli del fatto che la riapertura dell’anno scolastico non è un fatto semplicemente tecnico, o burocratico; ma di grande valore

C’è un enorme problema di risorse, da investire bene. Tornare a scuola dopo 6 mesi, dopo quello che è successo e che ha posto in evidenza limiti presenti anche prima della pandemia, non può non comportare una riflessione strategica su quale idea di scuola, su quale rilievo intende dare alla scuola la politica.

Politiche pubbliche

Già prima della pandemia erano necessarie e, a maggior ragione, lo sono adesso, dopo la sua fase più acuta, politiche pubbliche orientate verso direzioni quali:

1) il contrasto alla dispersione;

2) lo sviluppo dell’inclusione, in relazione alla diversabilità, ai disturbi specifici di apprendimento, ai bisogni educativi speciali, in ordine al disagio sociale e culturale;

3) la diffusione della competenza digitale;

4) la crescita dei valori costituzionali e di cittadinanza.

La ripartenza non può essere un tornare a prima, deve portare il segno di una svolta.

Impegno corale

Al Ministero dell’Istruzione spettano compiti primari, indicati ancora una volta nell’art. 21 della legge 59/1997. Vale a dire: “i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato”.

Per questo l’autonomia non può essere un alibi.

Ci sono due pericoli: la logica degli adempimenti formali, il movimento delle carte, e il fai-da-te senza un disegno coordinato. Per evitarli, accanto all’autonomia delle scuole, sul territorio conta molto il ruolo di regia che possono svolgere gli Uffici scolastici regionali e provinciali.

Pensare agli studenti

Ultimo ma non ultimo: gli studenti. Non sono ospiti. La scuola è casa loro. Vanno coinvolti nelle scelte e nelle soluzioni, per quanto è possibile, in relazione all’età, insieme alle famiglie, valorizzando tutte le occasioni per la loro partecipazione attiva e consapevole, a partire dagli organi collegiali.

Anche questo fa parte dei compiti educativi di una scuola che, pur tra non poche incognite e difficoltà, vuole rimettersi in cammino.

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[1] “Si richiede pertanto al Ministero dell’Istruzione e al Governo un piano assunzionale straordinario che miri ad incrementare il contingente dei docenti, con particolare riferimento ai docenti di sostegno, e che sia significativamente esteso anche al personale Ausiliario, Tecnico e Amministrativo”. A proposito delle classi pollaio e dell’esigenza di porre mano dopo l’emergenza epidemiologica a limiti strutturali precedenti: “A parere degli scriventi, gli unici modi per contenere il sovraffollamento e ridurre gli assembramenti sono contenere il numero di alunni per classe e articolare diversamente l’orario di lezione. Tali soluzioni, per quanto non ottimali, si impongono come criteri di equità nei confronti di alunni e famiglie e come scelte di flessibilità, ma richiedono un’azione di mediazione alla scala nazionale con le parti sociali e le Organizzazioni Sindacali”. Ancora: “Per quanto attiene le scuole, si richiede che il MI non imponga la formazione di classi numerose tramite i consueti accorpamenti che ogni anno servono a ridurre la spesa pubblica, ma consenta, anche in organico di fatto, l’attivazione di classi con il numero minimo di alunni attualmente previsto dalla legge (18 infanzia, 15 primaria, 18 secondaria di I grado, 27 secondaria di II grado) e mai superiore al numero di 20 alunni per classe in caso di presenza di un allievo con disabilità, nonché, ove se ne presentasse la necessità, la sopravvivenza di classi in deroga”.