Mense scolastiche: le buone pratiche da non abbandonare

Il legame fresco-caldo

La ristorazione scolastica in gran parte delle scuole italiane propone tradizionalmente pasti in “legame fresco-caldo”, cioè composti da cibi che vengono preparati e cotti contestualmente allo sporzionamento e al loro consumo prevedendo, per il tempo intercorrente tra la preparazione e la distribuzione, il mantenimento a temperatura non inferiore a 65° per i piatti caldi e a 10° per i piatti freddi. Questa metodologia permette risultati ottimali in termini di qualità, sicurezza, igiene e gradimento. Il dibattito sull’applicazione dei protocolli di igiene e sicurezza anti-Covid 19 ha riguardato questo tema e altri due aspetti significativi nella gestione e organizzazione della ristorazione a scuola.

Dove consumare il pasto?

In primo piano c’è stata a lungo la questione della scelta degli ambienti per la distribuzione e il consumo dei pasti, in considerazione del fatto che anche i refettori possono essere riconvertiti in spazi per una didattica che assicuri un adeguato distanziamento tra gli alunni. Le aule diventano così, a partire soprattutto dalla scuola primaria, il luogo dove gli alunni pranzano, come è abitudine in gran parte dei servizi educativi e scolastici 0-6 anni. In tal modo si propone un’organizzazione che consente di fruire del servizio di mensa, ma che è resa più complicata dai protocolli e per questo più costosa in considerazione del maggior impegno orario richiesto al personale nella pulizia degli ambienti, nella distribuzione e controllo dei pasti, nel presidio delle turnazioni. E si tratta di un maggior costo che deriva anche dalla moltiplicazione delle strumentazioni impiegate (es. carelli termici) e dei materiali non riutilizzabili (es. piatti, posate), che viene a gravare sui bilanci dei comuni in un contesto di accentuata crisi economico-sociale.

E il lunch box?

La questione che ha fatto maggiormente discutere riguarda però l’indicazione, stabilita in documenti ufficiali, per la fornitura del pasto in lunch box, cioè in vaschette monoporzione termosigillate. Dopo che l’Anci e diverse associazioni e comunità di esperti hanno preso posizione contro questa scelta, dimostrando che è inadeguata ad assicurare la qualità dei pasti e non più sicura di altre nel contrasto alla diffusione dell’epidemia, le autorità preposte hanno cambiato posizione, precisando che le monoporzioni in lunch box devono essere considerate una soluzione “residuale”, da adottarsi come estrema ratio. E hanno specificato che per “monoporzione” si intende più semplicemente la porzionatura individuale del pasto.

Le sporzionamento per gli alunni

Dunque, la modalità principe del consumo del pasto, in refettorio od anche sui banchi di classe con l’eventuale impiego di carrelli termici, resta quella tradizionale dello sporzionamento diretto, da parte degli addetti, del pasto fornito in multiporzione in “legame fresco caldo”. Con la possibilità, se ritenuta sostenibile sotto il profilo organizzativo, di mantenere l’impiego di piatti in ceramica o in melamina, posate in acciaio inox, pane, frutta e acqua nelle borracce in dotazione ad ogni alunno. In alcuni casi, per semplificare e velocizzare lo sporzianamento, si sono adottati vassoi compostabili multi scomparto, fermo restando il trasporto in contenitori termici multi porzione e la composizione dei vassoi in un momento immediatamente antecedente il consumo.

La monoporzione è meno appetibile…

Pertanto, allo stato attuale dell’arte, parliamo di un ritorno consigliato al passato prossimo da preferirsi, anche sotto l’aspetto economico, alle monoporzioni sigillate e preconfezionate. Si valuta infatti come questa modalità di erogazione dei pasti aumenti i passaggi nel ciclo produttivo con un incremento della plastica e dei rifiuti da smaltire ed anche dei costi, peggiorando la qualità sensoriale e nutrizionale delle pietanze con un aumento del cibo rifiutato dagli alunni. Monoporzioni che, tra l’altro, non risulterebbero più efficaci nel mitigare il rischio di contagio.

Attenzione al pasto “semplificato”

Il terzo aspetto critico riguarda l’indicazione della possibilità di fornire un “pasto semplificato” che viene vista come una scelta che favorirebbe una dieta poco equilibrata e monotona sotto il profilo nutrizionale, che riduce la varietà degli alimenti e non mantiene le promesse di una corretta dieta mediterranea. Il tutto con conseguenze negative soprattutto per gli allievi che in famiglia faticano a ricevere pasti adeguati alle loro esigenze di crescita e di salute.

Il pasto a scuola ha anche un significato educativo

In questi mesi non sono mancate le raccomandazioni e i buoni esempi di una collaborazione fattiva tra i comuni e le direzioni dei servizi educativi e delle istituzioni scolastiche per contestualizzare al meglio il modello organizzativo della ristorazione, col concorso delle aziende e il pieno coinvolgimento delle centrali di produzione gestite direttamente dall’ente pubblico.

Tutto bene dunque? Dipende da quali aspetti prendiamo in considerazione. Se la mensa scolastica è un dispositivo che si propone una mission educativa, è necessario allora verificare quali sono gli impatti della concreta e contestuale applicazione dei protocolli igienici e di sicurezza sulla qualità educativa del momento del pasto, per valutare se l’effetto è favorevole o meno.

La socialità in mensa: un problema su cui riflettere

L’esperienza del mangiare a scuola in epoca di Covid 19 ci pone delle domande. Ad esempio: può essere ancora consentita la pratica del servirsi da soli a tavola, che già decolla coi bimbi più grandi del nido e nella scuola dell’infanzia per diventare un aspetto importante del percorso di sviluppo delle autonomie e di definizione della propria personale relazione col cibo? Saranno ammessi durante l’epidemia i comportamenti prosociali dei bimbi più grandi che sostengono i più piccoli nella preparazione dei tavoli per il pasto e le merende, nella distribuzione di fondine, stoviglie e cestini col pane e la frutta e li aiutano a manipolare al meglio i mestoli e le pinze per raccogliere il cibo dai piatti di portata e versarli nel proprio? E saranno ancora promossi i laboratori di cucina dove i bambini sperimentano in piccolo gruppo un rapporto diretto e polisensoriale con gli alimenti, affinando nello scambio gusti, conoscenze e vocabolario. Le perdite educative vanno messe nel conto. Proviamo a identificarle e contenerle nel confronto con i vincoli che l’evoluzione dell’epidemia ci pone.