Investire nell’infanzia per il benessere di un Paese

Un investimento che incrementa il PIL

Durante questo periodo di emergenza pandemica, la condizione dei bambini e delle bambine è stata posta al centro del dibattito sociale. Si è diffusa contestualmente la consapevolezza che i piccoli di oggi saranno gli adulti di domani, che la cura educativa dei primi anni di vita risulterà fondamentale per il successo di qualsiasi paese. Gli investimenti nella primissima infanzia, non solo contrastano le vecchie le nuove povertà ma finiscono con l’incrementare lo stesso PIL: è il valore di capitale umano su cui le società potranno scommettere il successo e il benessere di un paese[1].

A tale proposito l’INDIRE ha curato un Rapporto “Misure per la riapertura delle strutture per l’educazione e cura della prima infanzia nell’emergenza Covid-19 in alcuni paesi europei” (FI 2020) in cui vengono illustrate le diverse scelte operate da 11 paesi UE proprio per la maturata necessità di aprire i servizi per l’infanzia come una delle imprescindibili esigenze di cura ed educazione.

La paura del contagio ha generato in Italia la sospensione delle attività educative di tutti i servizi comprese le scuole dell’infanzia da fine febbraio a giugno 2020, solo il periodo estivo ha fatto ritrovare forme di apertura con i centri estivi; in autunno le strutture hanno ripreso in presenza le attività secondo l’idea di una possibile convivenza con il Covid 19 al fine di contenere gli effetti negativi della mancata frequenza.

Gli effetti sull’infanzia della sospensione delle attività

Il Comitato ONU per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza[2] ha messo in rilievo che la situazione delle chiusure dei servizi educativi nel mondo ha aumentato le disuguaglianze della popolazione infantile con incremento della povertà educativa, con una maggiore presenza di rischi di esclusione per disabili, per coloro che vivono situazioni familiari disagiate, nella condizione di stranieri o di minori non accompagnati.

Chiara Saraceno[3], in un recente contributo presentato in diretta streaming per la giornata nazionale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha sottolineato che i bambini e gli adolescenti pagano costi molto alti a causa della pandemia, a livello educativo e di apprendimenti, con ricadute anche nello sviluppo dei processi di autonomia.

In questa situazione diviene strategico rilanciare e riprendere le rilevazioni internazionali come PISA e INVALSI per l’Italia, per monitorare i livelli di apprendimento conseguiti dagli alunni nelle diverse annualità; per valutare gli scostamenti dai livelli rilevati prima della pandemia e su queste basi impostare indispensabili azioni compensative.

Pensando ai bambini piccoli, da 0 a 6 anni di età, tali dati sono più complessi da raccogliere ma, dai numerosi documenti presenti a livello internazionale, europeo e nazionale si può avanzare l’ipotesi che le perdite educative siano state notevoli e proporzionalmente più incisive nelle fasce di soggetti che vivono in situazioni familiari più svantaggiate[4].

Disuguaglianze e opportunità

Il rapporto di Save the Children dello scorso settembre 2019, presentato prima della pandemia, definisce la povertà educativa come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”[5], su questa convinzione si è allestita una indagine pilota volta ad analizzare i fattori che determinano le disuguaglianze educative fin dalla prima infanzia raccogliendo dati su quattro dimensioni di competenze e sviluppo: fisico, del linguaggio, matematico e socio-emozionale.

È emerso che i bambini che vivono in famiglie con genitori di livello socio-economico più alto, già a 3 anni accumulano un vantaggio in termini educativi e di sviluppo rispetto ai coetanei che vivono con genitori di livello più basso. Da sottolineare che l’accesso ai nidi e ai servizi educativi avviene in misura più rilevante dalle famiglie di ceto sociale medio alto, vuoi per le necessità lavorative dei genitori, vuoi per una maggiore disponibilità economica che permette di coprire le spese di frequenza.

Nel caso dell’Italia, tra l’altro è presente anche una consistente disparità territoriale tra le Regioni[6], quelle del nord e del centro hanno più servizi e garantiscono maggiore accesso, a differenza di quelle del Sud e Sud-Isole in cui non sono attivi servizi o lo sono in misura molto limitata.

La povertà educativa non è inevitabile né irreversibile, si dice sempre nel Rapporto, pertanto investire in cura ed educazione per la prima infanzia come pure sostenere la genitorialità possono contribuire ad interrompere il circolo vizioso della trasmissione generazionale della povertà e delle disuguaglianze.

Questa linea di intervento potrebbe ripristinare l’opportunità di garantire, tramite l’accesso all’educazione e all’istruzione, la funzione della scuola come ascensore sociale che da molti anni non viene più realizzata con ricadute anche sul piano dell’appetibilità motivazionale a conoscere, apprendere e maturare competenze.

Lavorare per l’equità

Molti sono i documenti che in tempi recenti stanno analizzando il problema. L’ultimo in ordine di tempo è il The Future of Jobs 2020[7]. Qui si individuano come strategiche per le professioni del futuro le competenze digitali, la resilienza e le competenze critiche unitamente ad una forte attenzione alla sostenibilità. Diventa, conseguentemente, prioritario pensare a come agire per garantire equità di esiti all’intera popolazione giovane, a partire dai più piccoli, anche utilizzando le risorse che l’emergenza Covid-19 prevede con il Next Generation UE.

Alcune direttrici chiave chiamate priorità trasversali[8] potrebbero essere:

1. ridurre le disuguaglianze territoriali nella disponibilità dei servizi pubblici;

2. incentivare la partecipazione di bambini e adolescenti nel disegnare le azioni che li riguardano;

3. investire il 15% del Fondo Next Generation UE per aumentare i nidi e il tempo scuola delle scuole dell’infanzia e primaria;

4. favorire una cultura digitale negli adulti e nei bambini investendo su device, connettività e sulle competenze digitali che sono tuttora basse nella popolazione giovane.

Gli ultimi dati riferiscono che dai 14 ai 17 anni d’età 2 ragazzi su 3 posseggono competenze digitali basse, o solo di base, e che sono molto contenuti i numeri dei laureati in informatica, big data, ingegneria[9]. In questo scenario investire sull’infanzia, ossia sulla prossima generazione adulta, significa scommettere sul nostro futuro e garantire vitalità ad un paese.

Investire sui piccoli e sui servizi ad essi collegati implica anche sostenere la genitorialità e le famiglie in generale per garantire una buona qualità delle relazioni per i bambini e l’attenzione ai loro bisogni educativi. Sul versante delle comunità occorre facilitare l’accesso alle attività extrascolastiche dei territori in quanto ulteriori fattori di compensazione educativa e di diminuzione delle disparità in ottica di equità.

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[1] Save the Children, Il miglior inizio, Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita, settembre 2019.

[2] Cfr. http://gruppocrc.net/tipo-documento/pubblicazioni/ 11° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Novembre 2020.

[3] Chiara Saraceno coordina il gruppo di lavoro infanzia e Covid-19 istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia.

[4] Commissione europea/EACEA/Eurydice, 2019. Cifre chiave sull’educazione e cura dalla prima infanzia in Europa- Edizione 2019 Rapporto Eurydice, Lussemburgo: Ufficio delle Pubblicazioni dell’Unione europea.

[5] Cfr. nota 1, Introduzione.

[6] Nidi e Servizi educativi per l’infanzia. Stato dell’arte, criticità e sviluppi del sistema integrato 0-6, giugno 2020 Rapporto Istat – Cà Foscari e Consorzio MIPA; Report ISTAT del 27.10.2020, Offerta di asili nido e servizi integrativi in crescita ma ancora sotto il target europeo.

[7] Rapporto The Future of Jobs ottobre 2020 del World Economic Forum.

[8] Cfr. nota 2 Rapporto CRC.

[9] Cfr. nota 5