Maturità, t’avessi preso prima…

Esami di Stato, una prova per il nuovo Ministro

Nella Vita di Augusto, Gaio Svetonio Tranquillo racconta che il primo imperatore di Roma, persuaso che per un buon generale niente risultasse meno indicato della fretta e della temerarietà, fosse solito ripetere «σπεῦδε βραδέως», “affrettati lentamente”, a significare la necessità di un agire cauto, benché privo di indugi.

Con la sua stridente giustapposizione ossimorica di velocità e lentezza, la breve frase era destinata a conoscere grande fortuna.

Come una tartaruga a vela

Basti ricordare che, grande ammiratore di Augusto, Cosimo I de’ Medici, secondo duca di Firenze e primo granduca di Toscana, nel XVI secolo, associando la traduzione latina del motto, festìna lente, all’immagine di una piccola tartaruga con una vela sul carapace, creò un’immagine araldica con cui decorò soffitti e pavimenti di Palazzo Vecchio ad eterno monito dei decisori politici, che devono sapere usare, nel momento della valutazione degli elementi in gioco, il passo lento e pacato della tartaruga, per poi acquistare, nel momento dell’azione, l’impetuosa velocità di una nave con le vele gonfiate dal vento.

Ancora ai giorni nostri la sentenza gode di grande favore popolare e acquista in questi giorni di concitata transizione politica carattere di grande attualità.

Molti sono i problemi, piccoli e grandi, che il nuovo governo dovrà infatti affrontare già dal giorno stesso del proprio insediamento. E, tra gli altri, anche il nuovo ministro dell’Istruzione, al di là delle scelte di medio e lungo periodo, troverà ad aspettarlo tante piccole urgenze che, come una tartaruga a vela, dopo un’attenta ponderazione dovrà portare presto a soluzione.

Il nodo dell’esame di Stato del secondo ciclo: le discipline della seconda prova

Tra i fascicoli aperti che richiedono una risposta immediata, vi è sicuramente quello relativo all’esame di stato finale delle scuole secondarie di secondo grado.

Il D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62, nel normare le prove dell’esame di Stato nel secondo ciclo di istruzione, all’art. 17, comma 7, prevede infatti che “con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono individuate annualmente, entro il mese di gennaio, le discipline oggetto della seconda prova, nell’ambito delle materie caratterizzanti i percorsi di studio, l’eventuale disciplina oggetto di una terza prova scritta per specifici indirizzi di studio e le modalità organizzative relative allo svolgimento del colloquio”.

Un percorso più complesso in tempo di pandemia

La ministra Azzolina sembrava intenzionata, però, a non limitarsi ad emanare il prescritto decreto di individuazione delle materie della seconda prova (e per gli specifici indirizzi di studio che la prevedano, della terza prova) e delle modalità organizzative del colloquio, ma a seguire un altro più complesso percorso.

Infatti, con l’inserimento del comma 504 nella Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021), la ministra uscente, per garantire pur nell’evolversi della epidemia il corretto svolgimento degli esami di Stato, aveva ottenuto, da un lato, la facoltà di assegnare per decreto alle istituzioni scolastiche statali e paritarie sedi di esame le risorse finanziarie a ciò necessarie;  dall’altro si era fatta autorizzare ad emanare una o più ordinanze con cui adottare specifiche misure per la valutazione degli apprendimenti e per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi del primo e del secondo ciclo di istruzione, ricalcando eventualmente quanto previsto dall’art. 1 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito dalla legge 6 giugno 2020, n. 41.

La doppia ipotesi per l’esame di Stato del secondo ciclo

Il Decreto legge dell’8 aprile 2020, n. 22 emanato in piena esplosione pandemica, conteneva infatti, tra le altre, misure urgenti sullo svolgimento degli esami di Stato.

In particolare, il decreto formulava una doppia ipotesi: nel caso in cui le attività didattiche fossero riprese in presenza entro la data del 18 maggio, il ministro dell’Istruzione avrebbe potuto disciplinare con proprie ordinanza le prove dell’esame, prevedendo anche la sostituzione della seconda prova a carattere nazionale sulle discipline di indirizzo con una prova predisposta “in locale” dalla singola commissione di esame, così da essere pienamente aderente alle attività didattiche effettivamente svolte dai candidati, pur nel rispetto di criteri dettati dal Ministero dell’istruzione che ne assicurino uniformità (DL 22/2020, art. 1, comma 3, lettera d).

Nel caso invece di una ripresa della didattica in presenza successiva al 18 maggio, le ordinanze ministeriali avrebbero riguardato l’eliminazione delle prove scritte e la loro sostituzione con un unico colloquio, fissandone contenuti, modalità anche telematiche e punteggio, e dettando specifiche previsioni per i candidati esterni (DL 22/2020, art. 1, comma 4, lettera c)).

Il modello già sperimentato nell’anno scolastico 2019/2020: solo prova orale

Messo in secondo piano lo strumento del decreto con la scelta delle materie della seconda prova, la ministra Azzolina sembrava dunque pronta a emanare un’ordinanza che in qualche modo normasse in via straordinaria la materia. Nelle sue uscite pubbliche lasciava intravedere la propria volontà di riproporre, almeno nelle linee più generali, la formula di esame adottata al termine dell’a.s. 2019/2020. Il 25 gennaio scorso, alla trasmissione televisiva Agorà, la ministra, basandosi sulle risultanze dei colloqui che stava tenendo sugli esami di Stato con famiglie, associazioni, sindacati e studenti, comunicava che l’orientamento che si stava profilando era quello diun esame serio, ma“simile se non uguale a quello fatto l’anno scorso.

Il modello di esame 2019/2020, frutto dell’avverarsi della seconda ipotesi dell’art. 1, comma 4, lettera c) del DL 22/2020, non prevedeva alcuna prova scritta, ma solo un maxi-orale, da sostenere in presenza, davanti ad una commissione composta da sei docenti interni, designati dai competenti consigli di classe, e da un Presidente esterno, nominato dall’USR.

I contenuti della prova orale

La prova orale, della durata indicativa di sessanta minuti, era articolata e scandita in:

  • discussione di un elaborato su un argomento riguardante le discipline di indirizzo che sarebbero dovute essere oggetto della seconda prova scritta, precedentemente assegnato a ciascun candidato dal Consiglio di Classe;
  • discussione di un breve testo, già oggetto di studio nell’ambito dell’insegnamento di lingua e letteratura italiana;
  • analisi del materiale (testo, documento, esperienza, progetto, problema) scelto dalla commissione;
  • esposizione dell’esperienza di PCTO svolta nel corso del percorso di studi;
  • trattazione di un tema relativo a “Cittadinanza e Costituzione”.

In via eccezionale al colloquio venivano assegnati, utilizzando indicatori, livelli, descrittori e punteggi indicati in una griglia di valutazione allegata all’OM. 16 maggio 2020, n. 10, fino a quaranta punti, mentre al credito scolastico erano riservati fino a sessanta punti (a fronte dei venti punti attribuiti “normalmente”, ai sensi del citato D.lgs. 62/2017, a ciascuna delle tre prove di cui consiste l’esame di Stato e dei quaranta punti destinati al credito scolastico).

I requisiti per l’ammissione alla prova orale

Inoltre, in deroga all’art. 13, comma 2, lettere a), b), c) e d) del D.lgs. 62/2017, per l’ammissione all’esame non era necessario che lo studente possedesse i requisiti di:

  • frequenza di almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato;
  • partecipazione, durante l’ultimo anno di corso, alle prove INVALSI;
  • svolgimento nell’ultimo triennio di un minimo di ore di PCTO (percorsi che tuttavia concorrevano alla valutazione delle discipline alle quali afferivano e del comportamento, contribuivano alla assegnazione del credito scolastico ed erano oggetto di discussione nel colloquio);
  • votazione non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina e nel comportamento.

Di fatto risultavano ammessi a sostenere l’esame tutti coloro che erano iscritti all’ultimo anno di corso dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado presso istituzioni scolastiche statali e paritarie.

Tuttavia, stando almeno alle indiscrezioni fatte circolare, diversamente che nel passato anno, nell’ipotesi di esame di Stato a.s. 2020/21 al vaglio della ministra uscente, l’ammissione non sarebbe stata né garantita né scontata e gli studenti avrebbero dovuto garantire almeno il requisito della sufficienza in ciascuna disciplina.

I nuovi possibili scenari

L’improvvisa e per certi versi inaspettata crisi di governo ha bloccato l’iter di una decisione che sembrava ormai già presa, benché non mancasse qualche voce contraria di qualche associazione dei genitori, di talune sigle sindacali e di molte forze politiche, sia di opposizione che di maggioranza.

Con un altro ministro a Viale Trastevere, tutte le soluzioni torneranno ad essere possibili. il nuovo titolare del dicastero dell’Istruzione si troverà a dovere decidere:

  • se emanare, seppure in ritardo, l’annuale decreto di individuazione delle discipline oggetto della seconda prova scritta (ed eventualmente delle discipline affidate ai commissari esterni), sancendo così un più auspicato che realmente ipotizzabile ritorno alla normalità;
  • se fare nuovamente ricorso allo strumento delle ordinanze per disegnare un esame costituito dalla sola prova orale o anche da una o più prove scritte.

Anche in caso di riconferma dell’attuale ministra, la richiesta di discontinuità con il passato del prossimo esecutivo potrebbe, però, portare ad un riesame radicale della questione.

In entrambi i casi, sembra opportuno ricapitolare in questa sede, sine ira et studio, i termini della questione e avanzare un’ipotesi di lavoro da offrire al futuro ministro.

Ripartire dallo stato di emergenza…

Tra poco più di tre settimane si sarà completato un anno da quando in maniera drammatica e improvvisa il DPCM del 4 marzo 2020, con un linguaggio ancora incerto e impreciso, sospendeva i servizi educativi per l’infanzia e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado.

In questi lunghi mesi gli studenti delle superiori, a parte pochi intervalli, più o meno lunghi a seconda della regione di appartenenza, sono stati quasi sempre tenuti lontani dagli edifici scolastici.

Solo in questi giorni, in tutte le regioni di Italia, gli studenti delle superiori sono ritornati a seguire le lezioni in presenza, seppure secondo una turnazione che li vede alternarsi al cinquanta per cento, e spesso con uno scaglionamento dettato dai piani varati dai tavoli di coordinamento prefettizi che vede alcuni di loro varcare la soglia dell’edifico scolastico alle dieci del mattino, per uscirne talvolta alle cinque del pomeriggio.

Mentre una metà è in presenza, l’altra metà di loro (a volte appartenenti alla stessa classe) continua a impegnarsi da casa (se la connessione li sorregge) in una didattica digitale, di cui al pari dei loro professori sono diventati espertissimi. Nonostante però il grandissimo impegno profuso da docenti e allievi, la didattica a distanza, che nell’attuale emergenza ha svolto e continua a svolgere un ruolo fondamentale e insostituibile, non può tuttavia offrire agli studenti le stesse opportunità formative che garantisce l’apprendimento in presenza: per motivi in parte legati alla bontà della strumentazione e della connessione disponibile e in parte intrinsecamente connessi con lo statuto epistemologico delle discipline (lo studio del latino e greco avrebbe la stessa valenza formativa se privato della secolare ritualità della traduzione in classe? e l’attività di laboratorio degli istituti tecnici e professionali può essere sostituita da simulazioni virtuali? Ecc…).

Queste semplici considerazioni dovrebbero dissuadere dalla tentazione di riproporre al termine del corrente a.s. 2020/2021 l’esame di Stato così come era stato immaginato in epoca pre-Covid dal D.lgs. 62/2017 e dai suoi decreti attuativi.

Prevedendo una pur lenta normalizzazione

Eppure in questi mesi gli studenti si sono impegnati molto e, pur nella sofferenza di una didattica che li vedeva inchiodati davanti ad uno schermo per lunghe ore, hanno fatto progressi che i loro docenti sono perfettamente in grado di valutare.

D’altro canto, come abbiamo già ricordato, dal 1° febbraio gli studenti delle superiori di tutte le regioni di Italia sono tornati, seppure al cinquanta per cento, a svolgere attività didattica in presenza; e, se non ci dovessero essere nuove ondate epidemiologiche, nei prossimi quattro mesi dovrebbero avere completamente interiorizzato le regole dettate dalla pandemia alla frequentazione di aule non solo virtuali.

Anche da un punto di vista sanitario, la crescente copertura vaccinale della popolazione (e sarebbe opportuno inserire il personale della scuola e almeno i due milioni circa di studenti ultra sedicenni nella seconda fase del piano vaccinale) e il progressivo avvicinamento alla soglia che garantisce l’immunità di gregge, unitamente all’auspicata diminuzione della carica virale del SARS-CoV-2 in concomitanza dell’innalzamento primaverile delle temperature, dovrebbero costituire ulteriori elementi a favore di un esame in presenza.

Ritornare all’esame tradizionale con qualche lieve adattamento

Perché allora non pensare ad un esame di Stato quale quello ipotizzato dall’art. 1, comma 3, lettera d) del DL 22/2020, in caso di ripresa delle attività didattiche in presenza? Perché non immaginare delle prove che, pur adattate alla situazione contingente, evitino agli studenti delle quinte classi dell’a.s. 2020/2021 lo stigma di un rito di passaggio depotenziato, reso più facile (qualcuno in maniera provocatoria ha definito light l’esame con il solo orale), ma anche meno dignitoso?

Sicuramente, anche quest’anno, come nel passato anno scolastico, sarebbe opportuno prevedere una commissione composta, con la sola eccezione del Presidente, unicamente da docenti interni: sono loro che hanno guidato in questi mesi difficili il percorso formativo dei loro studenti; sono loro che ne valuteranno, disciplina per disciplina, il conseguimento di una preparazione sufficiente per affrontare l’esame; e sono loro che hanno il dovere di esaminarli come candidati.

Le statistiche degli anni passati ci dicono del resto che non saranno giudici meno attenti e meno severi dei commissari esterni.

L’importanza della prova di Italiano

Al momento, nessuna ragione, né di carattere epidemiologico né tantomeno didattico, si oppone a che si svolgano in presenza non la sola prova orale, ma anche entrambe le prove scritte. Si ricorda che in questi giorni le scuole superiori stanno accogliendo quotidianamente un numero di studenti più che doppio rispetto allo scarso 20% della popolazione scolastica delle scuole superiori rappresentato dai circa 469.000 iscritti del quinto anno.

La prova di italiano, di carattere nazionale, risulta uno strumento insostituibile nell’accertamento della padronanza da parte dei candidati della lingua italiana e delle fondamentali e trasversali capacità espressive, logico-linguistiche e critiche. Essa inoltre è di importanza fondamentale nel restituire a tutti i commissari il quadro complessivo della personalità del ragazzo.

Una seconda prova a carattere “locale”?

La seconda prova scritta, nel disegno complessivo di valutazione e certificazione delle competenze disegnato dal D.lgs. 62/2017, riveste una funzione altrettanto importante: incardinata nella specificità dell’indirizzo di studi (di cui ha per oggetto una o più discipline caratterizzanti). Essa consente di accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo, culturale e professionale dello specifico corso.

Tenuto presente l’accidentato percorso formativo compiuto dagli studenti in questi ultimi mesi, si potrebbe tuttavia pensare che essa sia predisposta “in locale” sulla base di quadri di riferimento ministeriali (sul modello di quanto previsto dal DM 11 marzo 2019, n. 205, art. 17, comma 3, per la seconda parte della II prova negli istituti professionali), e valutata sulla base delle griglie allegate al DM 26 novembre 2018, n. 769, dai docenti della Commissione di esame, che hanno vegliato da presso su loro anfrattuoso cammino.

Del resto, collegandosi alla dimensione operativa introdotta nei percorsi di istruzione dai DPR n. 87, 88 e 89 del 15 marzo 2010, il nuovo esame di Stato, che così poco tempo ha avuto per rodarsi, guarda allo studente nella sua interezza, superando l’idea di una sufficienza attribuibile alla singola prova e indicando il solo punteggio minimo complessivo di sessanta centesimi necessario per conseguire il diploma.

I requisiti d’accesso: varrà ancora il tempo di frequenza?

Per quanto attiene ai quattro requisiti di ammissione all’esame previsti dal D.lgs. 62/2017, art. 13, comma 2, nessuna discussione dovrebbe riguardare il mantenimento quest’anno dell’obbligo del possesso di una votazione non inferiore a sei decimi nel comportamento e in ciascuna disciplina (fatta salva la facoltà del Consiglio di classe di ammettere, con giudizio motivato, lo studente anche in presenza di una sola insufficienza).

Qualche perplessità potrebbe invece riguardare il requisito della frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto nel passato anno scolastico, le scuole hanno potuto meglio programmare l’erogazione della didattica digitale e pertanto più limitati dovrebbero essere i casi in cui gli studenti abbiano avuto difficoltà a garantire la presenza e i docenti a registrala. In tal caso comunque, le istituzioni scolastiche, come illustrato anche dalla Circolare del 4 marzo 2011, n. 20, possono approvare motivate e straordinarie deroghe al limitedi assenze, ai sensi di quel medesimo DPR 22 giugno 2009, n. 122, art.14, comma 7, che fissava l’obbligo di frequenza minima.

Le attività di alternanza (PCTO) messe alla prova dall’epidemia

Al contrario, il vincolo di ammissione legato alla frequenza dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, di fatto mai finora applicato, anche per quest’anno molto difficilmente potrà essere proposto. Pur non esistendo una raccolta sistematica di dati al riguardo, l’evidenza empirica sembra indicare che le attività di PCTO abbiano molto risentito, soprattutto nei tecnici e nei professionali, degli effetti negativi della pandemia. Nonostante il grande impegno delle scuole e dei docenti, che hanno in buona parte attivato percorsi virtuali (più di orientamento che di alternanza), parecchi studenti avrebbero difficoltà a totalizzare il numero minimo di ore richiesto ai fini della validità dell’esperienza e quindi dell’ammissione all’esame. All’autonomia delle singole scuole andrà tuttavia affidato il compito di dare il giusto rilievo al valore formativo di tali attività, che continueranno comunque a contribuire alla valutazione delle singole discipline coinvolte, saranno prese in considerazione nell’assegnazione del voto di comportamento, concorreranno all’attribuzione del credito, saranno oggetto di discussione nel corso del colloquio e supporteranno la crescita complessiva dello studente.

E le prove INVALSI?

Un discorso un po’ più complesso andrà probabilmente fatto per l’obbligo di partecipazione alle prove INVALSI. Lo svolgimento di prove scritte di carattere nazionale risulterebbe in questo momento quanto mai necessario: la misurazione dei livelli di competenza raggiunti, al termine del percorso di istruzione secondaria superiore, dai nostri studenti in Italiano, Matematica e Inglese, tornerebbe estremamente utile, non tanto per valutare gli apprendimenti dei singoli e dar loro dei voti quanto per avere un quadro generale dello stato di salute del sistema istruzione italiano. Si ricorda anche che quest’anno, salvo diverso avviso del nuovo ministro, dovrebbe fare il proprio debutto il curriculum della studentessa e dello studente, di cui all’art. 21, comma 2 del D.lgs. 62/2017, in cui saranno indicati, in forma descrittiva, i livelli di apprendimento conseguiti nei test.

Per avere una fotografia di ciò che è andato perso

In un anno scolastico così tormentato, in cui quella a distanza è stata la modalità predominante della didattica, diventa fondamentale avere dei dati attendibili sui livelli raggiunti dai nostri studenti, prima di decretarne in maniera definitiva il deficit formativo. Come dichiarato da Roberto Ricci, responsabile nazionale Area Prove dell’INVALSI, “è necessario avere una fotografia puntuale di ciò che è andato perso in questo periodo oscuro (…) I dati elaborati da INVALSI, in questo senso, sono irrinunciabili per capire meglio come agire per fronteggiare le sfide che … si apriranno domani”.

Tuttavia, tra meno di un mese gli studenti delle classi quinte dovrebbero già sostenere le prove: le prove delle classi campione sono già fissate per i giorni 2-5 marzo, mentre per quelle non campione si svolgeranno in un arco temporale che va dal 1° al 31 marzo.

Sostenere le prove comunque

L’attuale andamento epidemiologico fa presagire che, da un lato, le scuole incontreranno grosse difficoltà ad organizzare nelle date stabilite la somministrazione computer based in presenza; dall’altro, alcuni studenti si troveranno probabilmente nell’impossibilità di parteciparvi per motivi medici (isolamento fiduciario, quarantena, contagio, ecc…). Questi ostacoli non possono né devono impedire a nessuno di essere ammesso all’esame di Stato.

Un atteggiamento prudente consiglierebbe dunque di rinviare nuovamente il requisito al prossimo anno scolastico. Ciò non deve però comportare una facoltatività dell’effettuazione delle prove: per i motivi su esposti, i test vanno sostenuti dal numero più alto possibile di studenti e, in particolare, da quelli con le competenze più basse.

I possibili aggiustamenti

L’ampio risalto mediatico che solitamente viene riservato all’esame di Stato, che nell’immaginario collettivo sancisce il passaggio dall’età dell’adolescenza al mondo adulto, postula una tempestiva risposta del ministro dell’Istruzione, chiunque sia, alle richieste di una linea chiara di indirizzo che giungono pressanti da studenti, famiglie, sindacati e associazioni professionali.

Il ricorso al modello di esame prefigurato dall’art. 1, comma 3, lettera d) del DL 22/2020, consentirebbe di individuare una soluzione che, pur tenendo conto degli attuali scenari, lascerebbe la porta aperta a future differenti scelte, imposte da un eventuale peggioramento della situazione sanitaria, cui il decisore politico dovesse successivamente essere chiamato.