Comunicare bene per migliorare l’apprendimento

Il vestito professionale del docente esperto

Il nostro corpo, la nostra voce, i nostri sguardi, il modo in cui ci muoviamo, l’ambiente che allestiamo, persino i nostri silenzi, tutto parla, anche quando non vorremmo ascoltare. Citando Wlatzlawick[1] possiamo dire che “non si può non comunicare”. Non solo attraverso le parole passano i messaggi, tutto il contesto nel quale la relazione si instaura contribuisce alla costruzione del senso, alla tessitura della trama di una conversazione che si fa irripetibile proprio perché nata dal rapporto di contributi mai uguali.

Curare l’efficacia della comunicazione

Esistono modalità più efficaci di altre per far passare un messaggio? Certo che sì: sono quelle caratterizzate dalla coerenza comunicativa. Le nostre parole e i nostri atteggiamenti devono muoversi in armonia affinché ciò che diciamo non venga smentito dagli sguardi, dai gesti, dai toni di voce.

Riprendendo Goffman[2], possiamo immaginarci come attori sul palcoscenico della vita, all’interno del quale ciascuno recita una parte, più o meno consapevolmente, e la maschera che indossiamo dipende dalle situazioni e dagli interlocutori che incontriamo: “Uno, nessuno, centomila”, ci ricorda Pirandello. I ruoli che interpretiamo ogni giorno sono molteplici e variano a seconda dell’età, del sesso, della professione, della posizione sociale, delle convenzioni che la società impone, degli interlocutori presenti, del messaggio che vogliamo trasmettere, dello scopo che ci prefiggiamo.

A scuola… come a teatro

Ovviamente nemmeno la scuola sfugge a questo fenomeno. A differenza del teatro però, dove generalmente il pubblico è passivo, gli studenti sono estremamente interattivi, partecipano e determinano la bontà o meno del copione e della scenografia scolastica. Diventa quindi interessante investigare gli aspetti che influenzano la rappresentazione del docente-attore, l’atmosfera della classe, le reazioni degli alunni a determinati atteggiamenti e ambienti.

Il vestito professionale

Le norme che regolano il ruolo docente ne definiscono il comportamento atteso, che caratterizza ogni insegnante.

Da un punto di vista prettamente professionale, ci si aspetta che dimostri “competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione” (art. 27 CCNL Scuola 2016-2018).

Da un punto di vista comportamentale l’insegnante deve poi tenere una condotta improntata ai principi di diligenza, lealtà, imparzialità, rispetto della legge e perseguimento dell’interesse pubblico, senza abusare della posizione che occupa (DPR 62/2013, Codice di comportamento dei dipendenti pubblici). E ancora, egli è tenuto a esercitare i propri compiti orientando l’azione alla massima economicità, efficienza ed efficacia e assicurando la piena parità di trattamento senza adottare comportamenti discriminatori. Infine, sul piano deontologico ci si aspetta che il docente si ponga nei confronti degli studenti come colui che facilita, sostiene, incoraggia il processo di apprendimento, e dunque che utilizzi forme relazionali e comunicative improntate a questi principi. L’insieme di questi comportamenti attesi rientra appunto nelle aspettative inerenti al ruolo che il docente esercita all’interno dell’istituzione scolastica. Nel loro insieme queste norme di comportamento costituiscono una sorta di vestito professionale astrattamente inteso, che l’insegnante è invitato ad indossare nel momento in cui “recita” la parte del docente.

Una sorta di drammaturgia scolastica

Questa concezione, che si può far risalire a Weber, dimentica però di considerare le peculiarità dell’individuo all’interno dell’organizzazione. Nella realtà è quindi facile osservare che il modo in cui viene concepito e interpretato un ruolo è molto diverso e spesso alquanto distante da quanto previsto dalle richieste ufficiali. Tutto ciò diventa chiaro se ci soffermiamo su come viene agita la comunicazione verbale e non verbale, entrando nel cuore della drammaturgia scolastica, perché l’insegnante-attore si esprime tanto con le parole, delle quali generalmente si fa un uso continuo e pervasivo, quanto con i gesti, le intonazioni, gli sguardi.

Gli elementi della comunicazione non verbale

Sono numerosi gli aspetti che caratterizzano la comunicazione non verbale:

  • La voce: è il modo in cui qualcosa viene detto. Le qualità vocali che caratterizzano un discorso – altezza, timbro, velocità di eloquio, ritmo, intensità – possono arrivare a stravolgere il significato delle parole: l’esclamazione “ma bravo!” può essere tanto un incoraggiamento quanto un rimprovero o, addirittura, una presa in giro. 
  • La postura: è determinata dal vissuto di ognuno di noi e cambia in funzione dei momenti e degli stati d’animo che viviamo. Couloson[3] dimostra che determinati atteggiamenti posturali vengono decodificati e associati a precisi stati d’animo dalla maggioranza degli interlocutori. A mero titolo esemplificativo, una postura militaresca -petto in fuori e pancia in dentro – trasmette l’idea di una certa rigidità anche mentale e di una persona poco incline al confronto.
  • Il movimento: è il modo in cui ognuno di noi occupa lo spazio a propria disposizione. Al di là delle contingenze dettate da momentanee esigenze, il docente che si avvicina agli studenti, cercando un contatto, è percepito in modo molto differente dall’insegnante che, per scelta, decide di restare in cattedra.
  • La mimica facciale: basta pensare agli emoticon che usiamo sui cellulari per capire quanto le espressioni del viso e gli sguardi siano veicolo di sentimenti ed emozioni.
  • I gesti: braccia e mani costituiscono un’appendice molto significativa dei nostri discorsi. Esistono gesti estremamente eloquenti, che comunicano da soli, senza bisogno di parole: pensiamo all’indice che ruota sulla guancia e ci dice quanto appetitoso sia un piatto! Esistono poi gesti che possono facilitare o ostacolare la comprensione di un discorso, che accompagnano le parole o, al contrario, si pongono in conflitto con il messaggio.

L’abito… fa il docente?

Non solo gli aspetti paraverbali comunicano, anche il nostro abbigliamento parla per noi. Un detto popolare ricorda che «l’abito non fa il monaco»; in realtà in tante occasioni e relazioni, è proprio l’abito a definire il ruolo. Pensiamo, ad esempio, a professioni come il medico, il poliziotto, il soldato… A differenza di quanto succede all’estero, in Italia raramente gli alunni indossano una divisa – ad eccezione del grembiule ancora in uso in alcune scuole dell’infanzia – ancor meno ciò accade per gli insegnanti. Eppure ogni istituto ha un proprio dress code non scritto. Scegliere di uniformarsi o meno a tale convenzione trasmette innegabilmente un messaggio.

Lo spazio per comunicare

Infine, riprendendo Hall[4], non possiamo certo ignorare che anche l’ambiente parla. L’esperienza quotidiana di ognuno di noi conferma certamente quest’affermazione: lo spazio non è mai solo un luogo fisico ma, per come è organizzato e vissuto, rimanda una serie di messaggi, sensazioni, emozioni. Ci sono spazi che percepiamo come «caldi» o «freddi», «accoglienti» o «repulsivi», «familiari» o «impersonali». Lo spazio non rappresenta dunque un mero «contenitore» delle esperienze di vita, di lavoro o di apprendimento, ma incide fortemente sulla qualità delle relazioni e delle esperienze che si vivono.

A partire da queste considerazioni, Mario Maviglia e Laura Bertocchi[5], in un recente libro scritto a quattro mani, cercano di disvelare gli elementi di teatralità presenti nell’agito educativo di ogni docente e che però, troppo spesso, rimangono inconsapevoli. Solo la coscienza delle nostre caratteristiche professionali ci consente di governare il nostro agire e di non esserne governati, affinché “l’impossibilità di non comunicare” non sia mai ostacolo al dialogo educativo che ogni insegnante cerca di creare.


[1] P. Watzlawick, J. H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Edizioni Astrolabio Ubaldini, Roma, 1978.

[2] E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1997.

[3] M. Coulson, Attributing emotion to static body postures: recognition accuracy, confusions, and viewpoint dependence, Journali of Nonverbal Behavior, 28 (2), 2004.

[4] E.T. Hall, Il linguaggio silenzioso, Garzanti, Milano, 1972.

[5] M. Maviglia, L. Bertocchi, L’insegnante e la sua maschera. Comunicazione e teatralità nell’insegnamento, Mondadori Editore, Milano, 2021.